Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 11 febbraio 2017

Foibe, la dignità di un dolore corale

Tommaso di Francesco – il manifesto


Il Giorno del ricordo. A dieci anni dalla sua istituzione, un bilancio dello scrittore Predrag Matvejevic
«Certo che biso­gna tor­nare sulle foibe, ogni volta, ogni anno». A dieci anni esatti dall’istituzione del Giorno del Ricordo (il 10 feb­braio), il bilan­cio di Pre­drag Mat­ve­je­vic è ancora una volta cri­tico e insi­ste a «ricor­dare tutti i ricordi». Nel 2004 un’iniziativa revi­sio­ni­sta sto­rica della destra post-fascista, rici­clata e diven­tata di governo ed elet­to­ral­mente can­di­da­bile gra­zie a Sil­vio Ber­lu­sconi, portò a buon fine la sua bat­ta­glia nega­zio­ni­sta del pas­sato di cri­mini ita­liani nell’ex Jugo­sla­via. Cen­trando l’obiettivo di ridurre la pro­spet­tiva all’ultimo, infau­sto periodo, delle respon­sa­bi­lità slave.
A que­sto punto di vista tutto l’arco costi­tu­zio­nale s’inchinò. Favo­rendo negli anni pro­cessi cosid­detti cul­tu­rali — fic­tion, ceri­mo­nie, opere tea­trali — di rimo­zione della verità sto­rica. Su que­sto abbiamo voluto ancora una volta ascol­tare per il grande scrit­tore dell’asilo e dell’esilio, l’autore di Bre­via­rio medi­ter­ra­neo — per citare solo una delle sue opere — che ama ancora defi­nirsi jugo­slavo.
«A pro­po­sito di sto­ria, che ver­go­gna che qui, in Croa­zia, la Chiesa che ha così gravi respon­sa­bi­lità nella con­ni­venza con il nazi­fa­sci­smo e con l’ideologia usta­scia, abbia pra­ti­ca­mente diser­tato due set­ti­mane fa le cele­bra­zioni del Giorno della Memo­ria» ci dichiara subito Pre­drag Marvejevic.

Sono pas­sati dieci anni dall’istituzione di que­sta Gior­nata da parte delle isti­tu­zioni ita­liane, che ha sem­pre visto la pro­te­sta dei nostri sto­rici demo­cra­tici. Che bilan­cio va fatto?
Intanto che non biso­gna smet­tere di rac­con­tare la verità. André Gide diceva: «Biso­gna ripetere…nessuno ascolta». Ognuno, soprat­tutto in que­sta epoca sem­bra chiuso nella pro­pria sor­dità. Il bilan­cio non è posi­tivo, se a cele­brare il Giorno della memo­ria alla Risiera di San Sabba, il lager nazi­sta al con­fine tra due popoli, accor­rono anche post-fascisti abili a can­cel­lare i cri­mini del fasci­smo ita­liano nelle terre slave. E ogni anno abbon­dano fic­tion e rap­pre­sen­ta­zioni che invece di rac­con­tare il pathos col­let­tivo che riguarda almeno due popoli, ridu­cono tutto, nella forma e nei con­te­nuti, alla sola tra­ge­dia delle vit­time ita­liane. Ho scritto sulle vit­time delle foibe anni fa in ex Jugo­sla­via, quando se ne par­lava poco in Ita­lia.
Ero cri­ti­cato. Ho avuto modo di soste­nere gli esuli ita­liani dell’Istria e della Dal­ma­zia (detti “eso­dati”). L’ho fatto prima e dopo aver lasciato il mio paese natio e scelto, a Roma, una via “fra asilo ed esi­lio”. Con­ti­nuo anche ora che sono ritor­nato a Zaga­bria. Con­di­vido il cor­do­glio ita­liano, nazio­nale e umano, per le vit­time inno­centi. Cre­devo comun­que che le pole­mi­che su que­sta tra­ge­dia, spesso uni­la­te­rali e ten­den­ziose, fos­sero finite. Invece si ripe­tono ogni anno, sem­pre più strumentalizzate.

C’è qual­che epi­so­dio par­ti­co­lare di stru­men­ta­liz­za­zione che ricorda?
Voglio ricor­dare il caso del 2008 dello scrit­tore di con­fine, il grande Boris Pahor. Ecco uno scrit­tore che ha fatto della cora­lità del dolore la sua mate­ria, e infatti ha rac­con­tato la tra­ge­dia dei cri­mini com­messi dai fasci­sti in terra slava e il lascito di odio rima­sto. Di fronte all’onorificenza che gli offriva il pre­si­dente della repub­blica Gior­gio Napo­li­tano, insorse dichia­rando che avrebbe detto no, l’avrebbe rifiu­tata, se dalla pre­si­denza ita­liana non arri­vava una chiara presa di posi­zione con­tro i silenzi sugli eccidi per­pe­trati da Mussolini.

Che cosa fu in realtà il cri­mine delle Foibe?
Sì, le foibe sono un cri­mine grave. Sì, la stra­grande mag­gio­ranza di que­ste vit­time furono pro­prio gli ita­liani. Ma per la dignità di un dolore corale biso­gna dire che que­sto delitto è stato pre­pa­rato e anti­ci­pato anche da altri, che non sono sem­pre meno col­pe­voli degli ese­cu­tori dell’ “infoi­ba­mento”. La tra­gica vicenda è infatti comin­ciata prima, non lon­tano dai luo­ghi dove sono stati poi com­piuti quei cri­mini atroci. Il 20 set­tem­bre 1920 Mus­so­lini tiene un discorso a Pola (non certo casuale la scelta della loca­lità). E dichiara: «Per rea­liz­zare il sogno medi­ter­ra­neo biso­gna che l’Adriatico, che è un nostro golfo, sia in mani nostre; di fronte ad una razza come la slava, infe­riore e bar­bara».
Ecco come entra in scena il raz­zi­smo, accom­pa­gnato dalla “puli­zia etnica”. Gli slavi per­dono il diritto che prima, al tempo dell’Austria, ave­vano, di ser­virsi della loro lin­gua nella scuola e sulla stampa, il diritto della pre­dica in chiesa e per­sino quello della scritta sulla lapide nei cimi­teri. Si cam­biano mas­sic­cia­mente i loro nomi, si can­cel­lano le ori­gini, si emi­gra… Ed è appunto in un con­te­sto del genere che si sente pro­nun­ciare, forse per la prima volta, la minac­cia della “foiba”.
È il mini­stro fasci­sta dei Lavori pub­blici Giu­seppe Caboldi Gigli, che si era affib­biato da solo il nome vit­to­rioso di “Giu­lio Ita­lico”, a scri­vere già nel 1927: «La musa istriana ha chia­mato Foiba degno posto di sepol­tura per chi nella pro­vin­cia d’Istria minac­cia le carat­te­ri­sti­che nazio­nali dell’Istria» (da “Gerar­chia”, IX, 1927). Affer­ma­zione alla quale lo stesso mini­stro aggiun­gerà anche i versi di una can­zo­netta dia­let­tale già in giro: «A Pola xe l’Arena, La Foiba xe a Pisin», che ha fatto bene a ricor­dare,  nei giorni scorsi, Gia­como Scotti nel suo sag­gio. Le foibe sono dun­que un’invenzione fasci­sta. E dalla teo­ria si è pas­sati alla pra­tica. L’ebreo Raf­faello Came­rini, che si tro­vava ai “lavori coatti” in que­sta zona durante la seconda guerra mon­diale ha testi­mo­niato nel gior­nale trie­stino Il Pic­colo (5. XI. 2001): «Sono stati i fasci­sti, i primi che hanno sco­perto le foibe ove far spa­rire i loro avver­sari». La vicenda «con esito letale per tutti» che rac­conta que­sto testi­mone, cit­ta­dino ita­liano, fa venire brividi.

Come è vis­suto il Giorno del Ricordo nell’ex Jugo­sla­via, quali “ricordi” reali va a risvegliare?
La sto­ria (con la S maiu­scola) potrebbe aggiun­gere alcuni altri dati poco cono­sciuti in Ita­lia. Uno dei peg­giori cri­mi­nali dei Bal­cani è cer­ta­mente il duce (pogla­v­nik) degli usta­scia croati Ante Pave­lic.
E il campo di Jase­no­vac è stato una Ausch­witz in for­mato ridotto, con la dif­fe­renza che lì il lavoro mici­diale veniva fatto “a mano”, men­tre i nazi­sti lo face­vano in modo “indu­striale”. Aggiun­giamo che quello stesso cri­mi­nale Pave­lic con la scorta dei suoi più abietti seguaci, poté godere negli anni trenta dell’ospitalità mus­so­li­niana a Lipari, dove rice­ve­vano aiuto e corsi di adde­stra­mento dai più rodati squa­dri­sti. Le “cami­cie nere” hanno ese­guito nume­rose fuci­la­zioni di massa e di sin­goli indi­vi­dui.
Tutta una gio­ventù ne rimase fal­ciata in Dal­ma­zia, in Slo­ve­nia, in Mon­te­ne­gro. A ciò biso­gna aggiun­gere una catena di campi di con­cen­tra­mento, di varia dimen­sione, dall’isoletta di Mamula all’estremo sud dell’Adriatico, fino ad Arbe, di fronte a Fiume. Spesso si tran­si­tava in que­sti luo­ghi per rag­giun­gere la risiera di San Sabba a Trie­ste e, in certi casi, si finiva anche ad Ausch­witz e soprat­tutto a Dachau. I par­ti­giani non erano pro­tetti in nes­sun paese dalla Con­ven­zione di Gine­vra e per­tanto i pri­gio­nieri veni­vano imme­dia­ta­mente ster­mi­nati come cani.
E così molti giun­sero alla fine delle guerra acca­niti: “infoi­ba­rono” gli inno­centi, non solo d’origine ita­liana. Sin­gole per­sone esa­cer­bate, di quelle che ave­vano per­duto la fami­glia e la casa, i fra­telli e i com­pa­gni, ese­gui­rono i cri­mini in prima per­sona e per pro­prio conto. La Jugo­sla­via di Tito non voleva che se ne par­lasse. Abbiamo comun­que cer­cato di par­larne. Pur­troppo, oggi ne par­lano a loro modo soprat­tutto i nostri ultra-nazionalisti, una spe­cie di “neo-missini” slavi. Ho sem­pre pen­sato che non biso­gne­rebbe costruire i futuri rap­porti in que­sta zona sui cada­veri semi­nati dagli uni e dagli altri, bensì su altre espe­rienze. Ad esem­pio cul­tu­rali… Per que­sto auspico la pro­cla­ma­zione con­giunta de “Il giorno dei ricordi”. E que­sto mi sem­bra il nuovo inten­di­mento che emerge e per i quale dob­biamo batterci.

Riportiamo questa intervista, ancora di grande attualità in questi giorni, uscita sul manifesto solo tre anni fa il 9 febbraio 2014

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