Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 10 febbraio 2017

La lotta dei disoccupati contro la miseria e la divisione di classe

Piattaforma comunista


Dal primo di gennaio, ai licenziati per crisi o maggior profitto aziendale spetta la nuova indennità di disoccupazione universale, la “Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego” (NASpI).
Non sono i risultati della nuova beneficenza quelli che devono interessare i lavoratori, perché essi già sanno quanto scarsi ne siano i frutti.
La NASpI viene presentata come l’assicurazione contro la disoccupazione estesa a tutto il lavoro dipendente, pur se in verità ne vengono esclusi oltre ai dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni, gli operai agricoli a tempo determinato e indeterminato e i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro stagionale.
La NASpI lusinga con i requisiti contributivi e lavorativi ammorbiditi, ma la durata dell’erogazione del sussidio potrà essere al massimo pari alla metà delle settimane contributive dei 4 anni precedenti (quindi 2 anni), e a regime, dal 2017, non potrà superare le 78 settimane (un po’ più di 19 mesi). L’importo, parametrizzato al 75% del salario medio degli ultimi 4 anni (falcidiato dai vari ammortizzatori sociali) per i primi tre mesi, poi scalerà del 3% ogni mese.
Ma la NASpI pone per il suo ottenimento la condizione che il rapporto di lavoro si sia concluso senza contenzioso.
La particolarità più significativa di questa NASpI è dunque l’estensione della platea di beneficiari e l’introduzione della clausola della risoluzione senza contenzioso: sono questi i due aspetti che la collegano alla possibilità di licenziare con indennizzo e all'estensione di questa nuova disciplina anche ai licenziamenti collettivi.
La NASpI non è solo l’ennesima arma a disposizione dei capitalisti e degli sfruttatori, i quali minacceranno i lavoratori di non ricorrere contro il proprio licenziamento perché, a fronte di un indennizzo misero, perderebbero il sussidio.
Con la NASpI è la funzione del sindacato come istituzione proletaria ad essere ancora più compromessa agli occhi dei lavoratori.
La NASpI sottrae all'azione sindacale i campi sui quali poteva esercitare la sua attività più generale: i lavoratori saranno costretti ad accettare singolarmente risoluzioni “consensuali” del rapporto per presentare la loro domanda per accedere alla NASpI.
I lavoratori sindacalizzati si troveranno presto a dover fare i conti, nonostante tutta la prosopopea e l’arroganza dei capi sindacali, con l’infradiciamento delle radici del sindacato, che conduce alla sua più rovinosa caduta.
I capitalisti continueranno nello stillicidio dei sussidi insignificanti, con la volontà di avere a propria disposizione una manodopera assolutamente indifesa, e quindi in loro completa balia.
Ma non ci si illuda: anche un sistema prolungato di sussidi finisce per rinviare solo di poco quella condizione di esaurimento, di disperazione in cui i capitalisti vogliono trascinare i lavoratori per far precipitare le condizioni del mercato del lavoro.
La classe dei capitalisti ha sempre perseguito con chiarezza uno scopo: impedire il collegamento tra disoccupati e quelli che non lo sono, cercare che sul terreno dell’offerta della forza-lavoro si combatta solo una serie di tenzoni tra il singolo disperato e la fame, privare di forza l’organo tradizionale della difesa degli interessi dei lavoratori, il sindacato.
Il fenomeno della disoccupazione è strettamente connesso alla crisi del regime capitalistico, nell'economia capitalista le oscillazioni della produzione e le crisi continueranno sempre e ad esse corrisponderà un nuovo fluire di disoccupati.
È necessario affermare con insistenza, instancabilmente, che il problema della disoccupazione non ha soluzione nell'ambito dell’economia capitalista e tale considerazione deve ispirare l’azione concreta quotidiana sospingendola verso il suo sbocco logico rivoluzionario.
I capitalisti preparano licenziamenti di massa, nuovi attacchi alle condizioni di lavoro della classe operaia occupata e disoccupata.
Rinunziare a portare l’azione sul terreno concreto della difesa dell’operaio disoccupato vorrebbe dire perdere il contatto con la vita operaia per quello che oggi ne è l’aspetto più espressivo, più tragico, più sentito.
La richiesta di portare il sussidio verso il limite del salario integrale, a spese dei padroni e dello Stato borghese, deve figurare di buon diritto tra le parole d’ordine lanciate dal fronte unito sindacale e deve trovare i suoi sostenitori in tutti gli organismi e le sedi della lotta proletaria, contro ogni resistenza alla sua diffusione tra le fila dei lavoratori.
L’assistenza ai disoccupati e l’azione in loro difesa è squisitamente classista, poiché tende a impedire l’isolamento dell’operaio e del salariato, il suo allontanamento dai compagni che hanno la fortuna di lavorare. Inserire il diritto alla vita dell’operaio nel bilancio dell’economia borghese significa portarvi un elemento contraddittorio insanabile, significa lavorare per creare una situazione rivoluzionaria, poiché nella società capitalista, quando si inasprisce la lotta di classe, che costituisce la sua base, non vi può essere nessuna via di mezzo: o la dittatura della borghesia o la dittatura del proletariato.
Inoltre, poiché la disoccupazione colpisce non più i singoli, ma gli stessi lavoratori organizzati nei sindacati, la ripresa di un’attività generale su questo terreno porrà i lavoratori di fronte ai risultati più insopportabili dell’unione dei capi sindacali con la borghesia capitalista.
L’accusa che occorre muovere ai capi sindacali espressione dell’aristocrazia operaia e della piccola borghesia è di impedire con la forza lo sviluppo dell’iniziativa sindacale di classe per un’azione di più vasta portata.
Il disoccupato per questi capi riformisti e socialdemocratici non è altro che l’operaio “povero” che non può pagare le quote al sindacato.
I capi dell’aristocrazia operaia vogliono ridurre il disoccupato all'oggetto di un’azione di assistenza, di conseguenza impediscono che venga considerato come soggetto di azione politica sindacale. Il riformismo, con la democrazia piccolo borghese, vuole ridurlo a materia di provvedimenti legislativi, per impedirgli di diventare attore, propulsore di un movimento che partecipa alla lotta per l’affermazione dell’ordinamento socialista che lo liberi dalla sua triste situazione. 
L’unica garanzia che i disoccupati hanno oggi di non cadere in preda ai capitalisti non è nei sussidi o in questo o quel provvedimento di carattere particolare, ma nella forza del movimento di massa che svolge la sua azione per strappare i provvedimenti stessi, quando è la sua forza ad imporli, a controllarli, a far sentire la sua presenza dietro di essi.

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