Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 10 agosto 2015

Jazz Band di Anton Giulio Bragaglia

Luciano Granieri


L’articolo  che segue  probabilmente  non sarà gradito all’intellighenzia frusinate e neanche  a buona parte della cittadinanza, ma ritengo vada svelato un aspetto non proprio  edificante di un mostro sacro della nostra storia culturale e creativa. 

Mi riferisco ad Anton Giulio Bragaglia, spregiudicato e poliedrico fotograto,  regista di teatro e cinema, scrittore e giornalista. Come è noto soprattutto in  città, l’illustre nostro concittadino ( nacque a Frosinone l’11 febbraio del 1890), fu uno dei primi adepti del movimento futurista, archeologo, ma soprattutto culture dell’immagine, o meglio della combinazioni di  immagini con giochi di luce, e colori ,  fu un pioniere della fotodinamica. Fu anche instancabile “agitatore culturale” animatore di discussioni sull’arte e   sulla politica. Direttore di riviste, fondò il “Teatro degli Indipendenti” nel 1923. Teatro sperimentale, ma anche sede di spettacolini più leggeri con l’esibizione di ballerine. avanspettacolo bello e buono, a cui assistevano in incognito, re, ministri, principi e ambasciatori Diresse in alcune   piece teatrali attrici importanti  del calibro di Anna Magnani. La storia di Anton Giulio Bragaglia, insomma è nota a quasi tutti i ciociari e non sto qui a ripeterla. Bragaglia si è occupato di tutto lo scibile culturale, ma avrebbe fatto meglio a tralasciare la musica jazz. 

Nel 1929 infatti il regista  si cimentò nella redazione di una storia del jazz in Italia. In quell’anno, a sua firma,  per le edizioni Corbaccio, uscì “Jazz Band” il titolo potrebbe indurre il lettore a credere che la pubblicazione fosse di esaltazione  della musica jazz, in realtà li libro, smaccatamente reazionario e razzista, è fortemente  denigratorio verso  questa espressione musicale.

 In verità  la musica di cui Bragaglia si occupa non è jazz ,  quello, per intenderci,  diretta emanazione di New Orleans e di New York, ma è ciò    che si ascoltava nei night club più esclusivi , il Casanova, il Quirinetta, l’Hagy.  All’epoca il jazz era solo musica da ballo, tutte le orchestre, e furono molte, che approdarono in Europa  dagli Stati Uniti e quello che si formarono in Italia, con valenti musicisti, accompagnavano spettacoli di ballerini di colore.  Era considerato jazz  quello dell’orchestra commerciale di Paul Whiteman  uno dei tanti a cui fu attribuita la paternità dal jazz.  Bix Beiderbecke, Joe Venuti, Eddie Lang,  Jimmy e Tommy Dorsey, e tutti gli altri improvvisatori di New York  erano artisti sconosciuti ai più, anche per la mancanza di incisioni che arrivarono in Italia a partire dal 1926. 

Solo i  musicisti italiani delle orchestre ingaggiate nei grandi transatlantici come il Conte Grande o il Conte Biancamano che giungevano a New York da Genova, poterono conoscere i jazzisti americani e portare in Italia i loro dischi. Piero Rizza, Carlo Benzi, Potito Simone e tanti altri straordinari jazz man italiani  grazie alle  traversate su queste grandi navi poterono conoscere e divulgare il jazz improvvisato.



 All’epoca del libro di Bragaglia è possibile che i jazzisti improvvisatori, non avessero mai messo piede  e suonato  nei locali descritti  dal regista. Nel 1928  furoreggiava in Europa e in Italia  il mito di Josephine Baker, icona indigesta al regime e quindi da distruggere.

Ma leggiamo qualche passo di “jazz club
Nel capitolo Prodezze del Jazz  Bragaglia scrive:
Musica ammattita e gambe storte, suoni fischianti, arrugginiti, urli di sirene e crepitare di motori, rauchi e assordanti, cui corrisponde la frenesia  di un gestire corbellone e minchionato, avventuroso e truffaldino.

E ancora nel capitolo Danze del Tempo Fascista si legge:
Le pose dello snobismo  anglo-sassone, l’americanismo e le diavolerie dei negri, con il pariginismo  tradizionale, tengono tutt’ora il campo con le orchestre pazze. Nel tempo fascista,  di conseguenza, la degenerazione che offusca ancora una volta il pregio estetico e pedagogico della danza, non poteva essere tollerata. Ed oggi, invocando danze all’italiana, sottinteso sarà che i piedi si muovono in modo urbano, con eleganza e signorilità senza imbestialirsi in nessun modo, neanche imitando le bestie.

Il  capitolo Negrerie è uno dei più odiosi  e razzisti, scrive  Bragaglia:
Dovrebbe esistere anche un “genio negro” (…), Ma questa è una grave panzana, imperdonabile e odiosa. Come uomini , ci sia rispetto umano fra tutti, ma poi che debbano venire i negri a insegnarci cosa è arte o magari semplicemente cosa si deve fare come divertimento , questa è difficilmente accettata, se non già unanimemente respinta e deprecata. I sollazzi, i giochi e trattenimenti nostrani debbono respirare ben più alto. E nel music-hall, nel caffè-concerto, nel teatro d’attrazione o varietà, nei circhi  e nelle rappresentazioni di ogni sorta , la negreria va respinta in nome del buon senso per lo meno. Le solite Black-Follies ci ammorbano  le sale da spettacoli ci avviliscono senza parere nell’atmosfera isteropilettoide  che vengono a costruire, con i modi selvaggi prevalenti. E’ ora di piantarla colla pretesa  di raddrizzare le gambe ai cani, cani-danzatori in ispecie; e in particolare di colore nero….


Al netto del giudizio artistico che è patrimonio soggettivo di ognuno, l’acrimonia con cui Bragaglia inserisce la questione razziale in una trattazione di valutazione artistica  è sconcertante. In realtà, come suggerisce  lo storico del jazz italiano  Adriano Mazzoletti, le ragioni che spinsero Bragaglia a scrivere un libro denigratorio del jazz furono tutte orientate alla carriera politica. Grazia a questo libro il partito fascista iniziò a considerare politicametne  Anton Giulio Bragaglia.  Poco tempo dopo l’uscita di jazz club, il regista scrittore frusinate entrò a far parte del Consiglio Nazionale (segretario  del Comitato Nazionale  sceno-tecnici in seno alla Confederazione  fascista professionisti e tecnici). In seguito il partito fascista gli avrebbe affidato la direzione del nuovo teatro della Arti, creato a Roma nel palazzo della Confederazione stessa. 

Sicuramente Anton Giulio Bragaglia è stato un grande artista, ma denigrare in senso reazionario e razzista una espressione musicale e artistica per meri motivi di promozione politica è francamente squallido.  Per cui , nonostante l’indignazione  che quanto sto ’ per scrivere susciterà presso gli studenti del Liceo Artistico di Frosinone, istituto a intitolato a Bragaglia, ritengo che un personaggio tale, fascista fino alle midolla e in mala fede, non possa dare il nome ad una scuola dalla storia così importante per la nostra città.  Personalmente avrei evitato, come hanno fatto gli studenti dell’artistico di difendere  così a spada tratta colui che da il nome alla loro scuola. Va bene il giudizio artistico ma esiste anche una eredità storica e morale da rispettare.

1 commento:

  1. Articolo molto interessante, che restituisce ombre piuttosto inquietanti di un personaggio entrato, anche giustamente, nella mitografia del territorio.

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