Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 16 luglio 2017

Il famoso contrabbassista di jazz Ron Carter sceglie i suoi migliori 10 dischi fra i 2.200 che ha registrato

Mark Stryker fonte: Detroit Free Press. traduzione di Luciano Granieri


Affermare che il contrabbassista, cresciuto a Detroit, Ron Carter ha realizzato moltissime incisioni è come dire che il nuotatore americano Micheal Phelps, l’atleta olimpico più decorato di tutti i tempi, ha vinto molte medaglie. 

Carter,  nato a Ferndale, diplomatosi alla Cass Tech, ha più di 2.221 incisioni registrate a suo nome. Secondo il guiness dei primati è il contrabbassista  che ha registrato di più  della storia del jazz. Nel ’79 Carter era nella ristretta cerchia dei maggiori  capiscuola  del contrabbasso nella storia della musica afroamericana.


Carter è stato l’ospite d’onore ai giochi olimpici del jazz organizzati proprio nella sua Detroit. La trentasettesima edizione del Detroit  jazz Festival che si è svolto tra venerdì 2   settembre   e lunedì 5 settembre 2016 nel centro di Detroit, lo   ha ospitato come artista residente.   Il bassista si è esibito quattro volte. Dalla serata di apertura, in cui è andato in scena accompagnato dal suo gruppo di nove musicisti, fino al concerto di chiusura del Labor Day quando ha suonato al timone   della sua orchestra. Nel mezzo ha guidato il suo quartetto sabato e il suo trio domenica. 

In generale il festival ha ospitato 60 scuole musicali nazionali, e regionali.  Fra queste molti jazzisti rappresentativi come i chitarristi George Benson e John Scoffield, pianisti come Jason Moran e Stanley Cowell, il sassofonista Chris Potter, il trombettista Roy Hargrove e la Vanguard jazz Orchestra. Ma i riflettori più luminosi   hanno posato la loro luce su Ron Carter, il diplomato alla Cass Tech   balzato alla fama delle cronache musicali come membro del pionieristico quintetto di  Miles Davis del 1960. 

Per quasi sei decadi l’approccio comprensivo di  Carter al basso, la profonda conoscenza armonica, il groove swingante, una rapida percezione sonora, l’istinto impeccabile, l’affidabilità ritmica e la versatilità, lo hanno reso una scelta irrinunciabile, per musicisti (e produttori) attraverso una serie di stili che va dal mainstream jazz al Cutting Edge. Se si chiede ad alcuni seri musicisti di jazz o a fan in generale di redigere una lista dei loro dischi favoriti, Carter sarà sicuramente incluso nei gruppi che suonano in quelle incisioni. Come nei classici di Miles Davis, Wayne Shorter, Herbie Hancock, Bobby Hutcherson, McCoy Tyner e  Joe Henderson.


Per esplorare la   sua vasta discografia ho chiesto a Carter di scegliere le sue dieci incisioni preferite che illustrano lo sviluppo della sua carriera da sideman a band leader. Non ha voluto che gli chiedessi di scegliere fra i dischi  storicamente più  significativi o importanti o meglio registrati, ma quelli che erano semplicemente memorabili per lui per una ragione o per un’altra. Le sue scelte con i successivi commenti sono supportate da mie introduzioni   con l'aggiunta di alcune domande occasionali.

Wes Montgomery, "So Much Guitar" (Riverside). Aug. 4, 1961

L’allora ventiquattrenne Carter era appena arrivato  a New York, quando il produttore Orrin Keepnews lo scritturò per una data con il chitarrista Wes Montgomery, uno dei musicisti jazz più discussi dai critici agli inizi degli anni ’60. Nel periodo 1976-1981 Carter avrebbe registrato estensivamente per l’etichetta di Keepnews la Milestone.
Carter: Questa fu veramente, ma veramente, la mia prima   grande data per Orrin Keepnews  e la Riverside Records. Avevo sentito di questo soggetto chiamato Wes Montgomery che era considerato un innovatore della chitarra e un esecutore veramente  eccezionale. Per Orrin chiamami come  ragazzo giovane in città, per  farmi partecipare a questa importante seduta, fu un vero onore…Wes era molto timido, molto riservato, molto preso dal come sarebbero potuto andare le cose chiedendosi se avesse la testa giusta per la buona riuscita del set. Wes era sempre quieto e riservato e sempre questo tipo di calma portava a chiedersi se lui fosse completamente integrato  in questo ambiente.



Miles Davis, "Seven Steps to Heaven" (Columbia). Recorded April 16-17, May 14, 1963.

Quando Carter entrò nella band di Miles Davis, all’inizio del 1963, il bassista divenne il centro attorno al quale Davis costruì il nuovo gruppo. La prima parte di “Seven Steps to Heaven” fu registrato a Los Angeles con i musicisti West Coast: Victor Feldman al piano e Frank Butler alla batteria. La seconda parte fu registrata, un mese più tardi, a New York con quello che sarebbe diventato il nucleo del quintetto storico del trombettista negli anni ’60 con il pianista Herbie Hancock  e il batterista Tony Williams. Il sassofonista tenore George Coleman era nel gruppo quando Carter vi entrò ma fu sostituito nel 1964 da Wayne Shorter un visionario compositore e sassofonista.

Carter: La mia prima registrazione con il gruppo di Miles Davis…..In “Baby Won’t You Please Come Home”Victor Feldman  suonò veramente dei grandi accordi Era un eccellente  pianista con cui suonare, ma era    straordinario anche  da ascoltare –  trasmette al meglio ottime vibrazioni-Prima di allora avevo suonato con lui insieme a Cannonbal Adderley in Europa . Ho fatto un tour con Cannonball e quando Sam Jones suonava il violoncello i suonavo il basso per un brano a notte.

Se ascolti la traccia molto attentamente facciamo una gioco di coppia, e sto provando  a indurre Victor a suonare un accordi diminuiti all’interno di uno di questi giri di routine, lui non lo capisce fino all’ultimo momento  in cui finiamo di eseguire il giro . Sapevo che stava ponendo attenzione su ciò che   stavo facendo,  e capì che quella era una soluzione armonica molto buona quindi  cercò di suonare   per  assecondare questa soluzione? Miles intuì qualcosa e indagò su ciò che stava accadendo fra Victor e me.

Stryker: Miles ti ha mai  parlato direttamente  su cosa gli piacesse del tuo modo di suonare.


Carter: Non direttamente . Il brano di apertura dei concerti era sempre “Autumn Leaves”. Una volta suonai una nota dell’ultima misura della canzone necessaria  ricollegarmi all’inizio del brano. Era un  nota che  Miles non si aspettava di ascoltare. Non appena ci spostammo per suonare dietro George lui mi passo accanto e disse “Cos’era quella nota?”Risposi:  “E’  un Si naturale, il terzo di un  accordo in Sol dominante settima, che torna indietro a un Do minore,  ma non posso parlare mentre sto suonando dunque non farmi altre domande”. 




Eddie Harris, "The In Sound" (Atlantic).  Aug. 9 and 30, 1965 

Ampiamente riconosciuto come il migliore Lp del sassofonista tenore Eddie Harris “The in Sound” è apprezzato in special modo dai musicisti per l’alchimia e il carisma del gruppo, per  la profondamente swingante sezione ritmica, composta dal pianista Cedar Walton, Carter , il batterista Billy Higgins, nonchè  per  il seducente programma, che introdusse due standards nel lessico jazz “The Shadow of Your Smile” di Johnny Mandel e “Freedom Jazz Dance” di Harris.

Carter:  Ho ricevuto una una chiamata da Eddie Harris, nel quale mia annunciava  che stava per comporre un brano dal titolo “The Shadow of Your Smile” e fino ad allora non aveva una traccia da seguire. Doveva essere il tema della sigla per il film “The Sandpiper”. Ero  a Boston stavo lavorando con Tony Williams e Gàbor Szabò. Così mi sono dovuto recare presso il  teatro Copley Square con una matita, una torcia e un blocco notes e tirare giù la melodia di questa canzone dal titolo “The Sandpiper” sulla  cui traccia costruire "The Shadow of Your Smile"Non riuscii a capire   cosa avevo annotato fino a che non tornai all’Hotel.  Infatti   al buio non avevo potuto realmente leggere ciò che avevo  scritto.


Passammo dei bei momenti e la musica rispecchiava il suo modo di essere. Se vuoi sentire una tempesta perfetta questa è l’occasione buona. Eddie faceva fare alla band ciò che lui voleva facesse in modo da incanalare le esecuzioni nella sua idea di musica. 




Roberta Flack, "First Take" (Atlantic). Feb. 24-26, 1969  

L’LP di esordio di Roberta Flack, cantante di Soul e R&B. Influenzata dal jazz, questa  è un’incisione speciale, con la scoperta di una profondità esecutiva ed espressività  non sempre presenti negli anni a venire, quando il materiale musicale da lei prodotto  sarebbe  andato verso una direzione più popolare. La potente linea di basso funky è il primo contributo sonoro che si ascolta nella registrazione di apertura “Comparated to What”

Carter: Lei fu scoperta da Les McCann in Washington DC, e decisero di incidere questo disco. Come seppi  più tardi, il trio che la supportava  arrivò a New York,  passarono diversi giorni a provare prima di  incidere. Per una qualche ragione la cosa non funzionò, così ricevetti una chiamata che mi invitava ad  andare da loro per  incidere un disco con una giovane cantante chiamata Roberta Flack e il suo gruppo di New York. Ray Lucas alla batteria – un batterista incredibile- Buck Pizzarelli alla chitarra e in aggiunta,  diversi arrangiamenti meravigliosi. Il disco la pose  al centro dell’attenzione .

Stryker: Chi ha inventato la linea di basso in “Comparated to What”?


Carter: Quella fu una sua idea e mi incaricai di eseguirla. La linee di basso erano fra le sue opzioni ma erano anche fra le mie opzioni. Fra l’altro, Roberta era  una splendida pianista. Quando le  cantanti mi chiedono come  fare per migliorare io suggerisco di ascoltare cantanti che sanno suonare il pianoforte – Carmen McRae, Shirley Horn, Roberta Flack, Sarah Vaughan, Blossom Dearie.





Antonio Carlos Jobim, "Stone Flower" (CTI). March-May, 1970  

La storia d’amore di Carter con la musica brasiliana- e la storia d’amore della musica brasiliana con Carter- iniziò con una serie di registrazioni fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, realizzate con  il santo patrono della Bossa Nova Anton Carlos Jobim. Il modo di Carter di suonare, in questo frangente è magicamente incomparabile nella sua semplicità e finezza.

Carter: Ero rimasto bloccato a Cincinnati in attesa che riparassero il mio contrabbasso. Mi stavo recando ad un seminario presso la Notre Dame University. Avevo sentito questo ragazzo a Cincinnati, era grande. Parlammo per telefono e ciò che decisi di fare fu di guidare da Cincinnati, lasciando il mio basso, fino a South Bend Ind.  per il seminario, e poi tornare indietro a riprendere lo strumento. Quando arrivo laggiù il ragazzo mi dice: “Mi permetti di parlarti un minuto ho portato questa apparecchiatura. Ci sto lavorando sopra per realizzare un’estensione   che consenta una sonorità più bassa di quella che il contrabbasso ha normalmente".

Gli dissi: “Mi puoi mostrare come funziona?

Lo monta sullo strumento e il disco di Jobim è il primo che ho fatto con l’estensione al  Do più basso. In “Brazil”ci sono diversi Do bassi che suonano magnificamente.

Stryker: Cosa ti ha colpito della musica brasiliana?


Carter: Tutte le melodie, brasiliane,   o almeno quelle che ho suonato io,  ci permettono di scoprire nuove armonizzazioni senza perdere l’essenza specifica del tema principale. Io adoro questo tipo di cose.




Ron Carter and Jim Hall, "Live at the Village West" (Concord). November 1982

Hall un chitarrista dalla straordinaria intensità melodica, incise per la prima volta con Carter in una seduta in duo nel 1972 nel disco “Alone Together” (Milestone). Dieci anni più tardi con questa seduta   "Live at the Village West"  registrata dal vivo al New York club  aggiunsero un altro capitolo alla loro relazione musicale  profonda   ed intuitiva.


Carter: Il  club era quel tipo di posto che    ora chiamano  un affare. Un ragazzo entra e compra il club, lo rinnova trova un buon business  che va alla grande e poi lo vende. Qualcuno ha fatto la stessa cosa con questo club chiamato The  Village West.  Il ragazzo che era responsabile della programmazione musicale decise di chiamare a suonare un duo. C’era una grande sala per noi perché si godeva di una grande visuale. Il sound era buono, il cibo molto buono. Ogni sera avresti potuto sentire faville  volanti . Quelle faville  furono catturate e messe su nastro.




Ron Carter, "All Alone" (Emarcy). March 29, 1988
Dischi per solo contrabbasso sono rari e questa chicca  dovrebbe essere conosciuta molto meglio. Una dello incisioni migliori di Carter come leader. Il disco comprende cinque composizioni originali e lo standard “Body and Soul”, performance che brillano di una  purezza che rimanda a Bach.
Carter: Il mio obiettivo era quello di mostrare come molte sfaccettature del suono del basso pizzicato   un archivio di ritmi, di armonie , erano   tali da rendere l’esposizione al pubblico   accattivante: Dov’era il resto della band? Scelsi una gamma  che copriva chiavi differenti, tempi differenti, storie differenti ed entrai in studio. All’inizio della mia carriera a New York le scena dell’avanguardia era molto vasta. I musicisti stavano sperimentando suoni diversi ed io registrai un paio di dischi con due di queste band. Capii il linguaggio. Mi costruii un dizionario personale con tutti questi nuovi sound . Ma non sempre c’è un posto per suonarli  perché la band , o non è inserita in un’area con una buona acustica, o il suono non va bene, o non c’è un’amplificazione tale per rendere questo particolare sound  udibile. Il  disco è stato per me solo l’occasione di provare a diffondere questo tipo di sound

Stryker:  Su “New York Standard Time” tu sperimenti cambiando costantemente le misure    e apri ad un’idea di assolo di basso “itinerante”. La registrazione mostra come non sia necessario che tu vada oltre il basso per essere incisivo o interessante.


Carter:  Sto  ancora cercando di arrivare a quel punto attraverso i miei studenti… Provo a spiegare che se le persone suonano un accordo di blues tu hai queste 48 semiminime,  svariati ritmi e un accordo dissonante  per raccontare la tua storia.


 Ron Carter Nonet, "Eight Plus" (Dreyfus). April 9 and 11, 1990 

Tornando indietro alla metà degli anni ’70 Carter  faceva esperimenti con un “piccolo bass” – uno strumento accordato  in una tonalità più alta rispetto ad  basso normale- per evidenziare il suo ruolo di band leader.  Se ne stava seduto di fronte al gruppo eseguendo melodie e assoli con un altro bassista  nella sezione ritmica,  dotato di uno strumento  normale “Eighty Plus” fu  la seconda registrazione realizzata da Carter con il suo nonetto, aggiungendo il suo piccolo bass ad un trio convenzionale con un percussionista  e quattro violoncellisti.

Carter: Mi occupai di tutti gli arrangiamenti, di scritturare i musicisti, curai  di tutti gli aspetti del disco tranne che dalla stampa della copertina e della vendita. Ritengo che il suono del "piccolo bass" qui sia  veramente molto buono  e la sezione ritmica è sfavillante… Quando la gente mi chiede “come definisci il jazz ” Io gli rispondo di andare a comprare questo disco. C’è tutto: svelto, lento, blues, soul, funk, gospel, stile classico. E’ una straordinaria visione di come nove persone possano suonare questa musica che chiamiamo jazz.



Rosa Passos and Ron Carter, "Entre Amigos (Chesky). 2003 
Un sublime recital di bossa nova realizzato in collaborazione con Rosas Passos. Una delle migliori cantanti brasiliane la cui voce finissima respira con intimità si esprime con un sottile fraseggio e una scaltra spontaneità.
Carter: Non avrei dovuto registrare il disco, avevano ingaggiato un arrangiatore e poi mi chiesero di partecipare come co-leader. “No man, io non conosco questa gente. Non so cosa cantano, come suonano” Avrei potuto farlo, ma qualche volta devi fermarti e dire, qui ho bisogno di fare alcune riflessioni. Venni informato che uno dei miei studenti stava collaborando alla realizzazione del disco. Lo chiamai ed egli mi fece un resoconto di cosa stava accadendo. Chiamai di nuovo il ragazzo e gli dissi: “Ok sono nel vostro progetto”.

Rosa è una splendida cantate e suona anche la chitarra. Non avevo mai suonato con una cantante così sensibile alle mie scelte come lo era lei . Il suo linguaggio del corpo  durante le registrazioni e le prove mi faceva capire come profondamente sentiva le  note e i ritmi che stavo suonando. Cantava una frase e io ero in grado di ripeterla  nelle successive quattro misure  ciò catturò la sua attenzione. Più pensavo di aver guadagnato la sua fiducia, più sentivo di poter portare a termine il disco.



Ron Carter, "Brandenburg Concerto" (Toshiba EMI/Blue Note). Dec. 27, 1995
Carter aveva già  esplorato il connubio fra la musica classica e il jazz , ma questo resta la più ambiziosa avventura nell’idioma classico.  Espone  per 16 sequenze  suoi arrangiamenti  di temi di Bach, Bartok, Ravel, Grieg  integrandole con sue improvvisazioni  sul  contrabbasso e sul  piccolo bass. La vera chicca è una versione di 14  minuti del Concerto Brandeburghese n. 3 di Bach.

Carter: Un disco molto importante per me perché avevo sempre voluto realizzarlo. Quella fu la mia registrazione orchestrale. Per me fu la valida conferma che è possibile combinare la musica classica e il jazz attraverso un certo tipo di approccio,  un certo tipo di temperamento, un  certo tipo di chiarezza e determinazione… Bach è uno dei pochi compositori la cui musica suona bene su strumenti anche  di epoche lontane rispetto a quelli per cui lui aveva scritto. Ritengo  che un giovane suonatore di zampogna potrebbe  suonare alla grande le  suite per violoncello solo per la loro costruzione, il suono, le armonie, le pause. Questo è ciò che mi attrae prima di tutto. In secondo luogo gli accordi che usa per raccontare la sua storia, sono un tipo di accordi che ho fatto miei e se posso combinarli  alla mia maniera, posso raccontare la mia storia usando le sue note  a mio piacimento.


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