Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 7 gennaio 2018

Frosinone. Commemorazione dell'eccidio dei Tre Martiri Toscani, alcune riflessioni.

Luciano Granieri

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Una intima e sentita commozione, così si può descrivere il sentimento   che ha coinvolto gli intervenuti  alla    commemorazione  dei tre ragazzi toscani  trucidati dai fascisti il 6 gennaio del 1944, svoltasi   sabato  scorso presso il monumento a loro dedicato all’interno del curvone di Viale Mazzini.  

Proprio davanti alla stele posta in memoria di Giorgio Grassi, Pierluigi Bianchi e Luciano Lavacchini, scolpita dal Maestro Alberto Spaziani,  gente comune, membri dell’ANPI provinciale di Frosinone, delle sezioni  ANPI cittadine di Frosinone e Ceccano, esponenti dell’associazionismo locale e di partito (era presente l’Osservatorio Peppino Impastato,  una delegazione del Partito Socialista, di  Possibile  e del Partito Comunista  Italiano)  si sono riuniti, come ogni 6 gennaio, per commemorare i tre ragazzi trucidati dalla crudele mano  fascista . 

Il momento di riflessione  sulla violenza nazifascista e sui risvolti storico-sociali conseguenti   -che  l’associazione Tre Martiri Toscani invita tutti  a condividere  ogni 6 gennaio  -   è diventato un evento  istituzionale estremamente significativo. Anche quest’anno ha presenziato il sindaco Nicola Ottaviani,  con la  partecipazione della banda cittadina “Romagnoli”. La cerimonia ha visto il puntuale intervento del Primo Cittadino, e i contributi di  Giovanni Morsillo, presidente dell’ANPI provinciale, di Simone Campioni  presidente della sezione di Frosinone. A seguire sono intervenuti membri di associazione e partiti. La banda Romagnoli, oltre ad eseguire l’Inno d’Italia, il Silenzio militare d’ordinanza , ha suonato   la Canzone del Piave. 

Proprio gli interventi della banda mi hanno indotto ad alcune riflessioni. La Canzone del Piave, il Silenzio militare d’ordinanza - eseguito da un trombettista solitario quando il sindaco Ottaviani ha deposto, insieme al presidente provinciale dell’ANPI Giovanni Morsillo, una corona d’alloro davanti al monumento -sono brani di guerra. Ma Giorgio Grassi, Pierluigi  Bianchi, Luciano Lavacchini non erano militari. Non volevano combattere. Furono costretti ad arruolarsi altrimenti i loro genitori sarebbero stati arrestati dai fascisti.  

Ma prima  di raggiungere  Cassino, sulla linea Gustav  decisero che nessuna guerra avrebbe potuto  toglierli la gioia di passare le feste con i propri cari,  nessuna difesa  di linee strategiche avrebbe potuto   devastare in modo così profondo  la loro  vita. Per cui ad Aquino  tentarono la fuga ma furono catturati. Non fu un atto di guerra  , ma un moto di ribellione verso chi voleva togliere loro la possibilità di una vita normalmente dignitosa in nome di una folle ubriacatura di sopraffazione,  razzismo e crudeltà . 

A pensarci ben neanche i  Partigiani  furono  contenti di  prendere il fucile. Avrebbero tutti preferito continuare la propria vita, fatta di lavoro, rapporti  sociali,  familiari, normali . Ma la protervia , il delirio nazifascista li costrinse a combattere, a difendere la libertà di vivere e progredire in pacifica convivenza. Non erano soldati i Partigiani, a parte gli sbandati provenienti dall’esercito in disfacimento dopo l’8 settembre.  Furono costretti a diventare combattenti.

Purtroppo quella libertà di condurre  una vita normale, dignitosa,  serena, ancora oggi non è conquistata. Quante persone vessate da un'esistenza precaria  stanno patendo la stessa disperazione dei ragazzi toscani per non poter passare le feste di fine d’anno in serenità! Quante persone combattono per conquistare la possibilità di tirare avanti ogni mese, cercando un lavoro, o resistendo contro lo spettro di un licenziamento!  Non sono soldati, ma anche loro sono costretti a combattere. 

Sono i nuovi partigiani in  lotta per la  librazione da un invisibile giogo che tiranneggia i "diversi", per censo, genere ed etnia.  Il guaio è che la maggior parte di questi nuovi  partigiani non sanno come si condivide una  lotta di liberazione. Ognuno vede nel suo compagno di montagna un potenziale nemico. Non vuole dividere con lui il magro pasto procurato dalla staffetta.  Una dittatura eterea che usa altre armi,oltre a quelle da fuoco,  è riuscita ad insinuare il germe della guerra fratricida fra Partigiani i quali  non sono consapevoli di  stare dalla stessa parte . 

Ecco allora che lo stringersi attorno al monumento dei tre martiri toscani, condividere l’indignazione  la costernazione per  la barbarie  fascista, può indurre la riflessione per cui il compito dei Partigiani, vecchi e nuovi non è finito. Abbiamo bisogno ancora di  combattenti come Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse, Tom , Enrico Giannetti,  Vitaliano Corsi, Sergio Collalti, che insegnino ai nuovI Partigiani l’importanza della condivisione della lotta. 

Quelli di allora non ci sono più. E allora tocca a chi ancora non ha perso la consapevolezza dell’identità del nemico, prendersi la responsabilità di aiutare i nuovi Partigiani nell' indirizzare  la loro lotta. L’incombenza tocca anche a noi che ogni 6 gennaio ci riuniamo  per commemorare tre ragazzi ventenni caduti sotto la mannaia nazifascista.  

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