A proposito della manifestazione del 13 febbraio dove saranno in piazza tutte le donne che non si identificano con l’immagine femminile emergente dalle ultime vicende berlusconiane, riportiamo l’articolo che Ida Dominijanni ha scritto su “il manifesto” di oggi . Nell’intervento sono riportate opinioni di donne intellettuali, politicamente impegnate, attive nei movimenti femministi, anche contrarie alla manifestazione e al conseguente appello. Riteniamo utile pubblicare questo contributo in modo da fornire uno spettro di opinioni ampio tale da indurre riflessioni più approfondite nel merito.
La Redazione.
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Sciarpe e coccarde bianche a Montecitorio sui banchi dell’opposizioine , mentre un’aula senza dignità respinge al mittente , con l’ennesima maggioranza risicata e blindata, la richiesta della procura di Milano . Quel bianco delle coccarde e delle sciarpe , già usato nella manifestazione del 29 a Milano, è un segno di lutto: il lutto per la dignità della donna offesa e ferita dal Berlusconi-gate. Si potrebbe legittimamente esibire, la contrario come un segno di festa: senza le parole e l’esplosione di alcune donne – da Veronica Lario in poi, inutile rifare l’elenco – e di altre donne che fin da subito le hanno sostenute, il Berlusconi-gate non sarebbe mai scoppiato. Senza il “tradimento” e il racconto di alcuni testimoni, l’inchiesta di Ilda Bocassini – che è una donna- e dei magistrati di Milano non starebbe in piedi. E dunque è proprio la dignità delle donne la vittima numero uno del Berlusconi-gate? E’ proprio alla vittimizzazione delle donne che il discorso sulle donne deve ineluttabilmente portare? Sono le due domande principali su cui ruota il dibattito femminista sulla mobilitazione femminile del 13 prossimo, promossa dai media mainstream con gran dispendio di testimonial e spot – siamo pur sempre dentro la cultura dell’immagine anche quando ci si mobilita contro l’immagine dominante del corpo femminile – ma poco riguardo alle articolazioni del discorso. Che bisogna dunque andare a scovare in rete, nei siti e nelle testate su cui il tanto deprecato “silenzio delle donne” non c’è mai stato: “mai state zitte” ricorda ingenere.it . Cominciamo dunque dalla questione della dignità violata : è solo o in primo luogo, quella delle donne? Eppure al centro del teatro di Arcore c’è una messinscena della virilità che prima delle donne offende, o dovrebbe, gli uomini “Ragazze che si vendono, e fa rabbia- scrive Anna Bravo, storica e femminista storica, su http://www.donnealtri.it -; ma soprattutto uomini che solo grazie al denaro e al potere dispongono del loro corpo, le gratificano con regali comprati all’ingrosso. Eppure, mentre noi ci preoccupiamo della dignità femminile, nessun uomo ha sentito il bisogno di difendere quella del genere maschile. Certo il modello Berlusconiano è così povero e violento che per un uomo di buona volontà può essere difficile vederlo come una ferita inferta anche alla propria identità. Ma come mai la vergogna provata da tanti di voi riguarda l’essere italiani, e non l’essere uomini italiani?”. Come mai tanti uomini (di sinistra) si precipitano in piazza a difendere la dignità delle donne, senza interrogarsi sulla loro? Tanta premura ha un vago sapore di strumentalità . “Il femminismo aveva insegnato a non strumentalizzare le donne – scrivono sullo stesso sito Franca Chiaromonte e Letizia Paolozzi- . Succede invece che le ragazze di Arcore siano ‘usate’ per mandare via l’attuale presidente del consiglio. Giusto obbiettivo ma che dovrebbe trovare altre gambe da quelle diciottenni per realizzarsi”. Analogamente Lea Melandri, su “Gli Altri” : “ Finché lo sdegno non si estende a tutti gli aspetti del privilegio e della violenza maschili, dovrebbe venire il sospetto che delle donne ci si preoccupi quasi sempre solo quando servono”. Di più: “l’oscillazione ambigua fra sdegno e voyeurismo” che caratterizza la campagna mediatica antiberlusconiana aggiunge Melandri, mostra che quella stessa dignità rivendicata per le donne non viene accordata alle giovani frequentatrici di Arcore, trattate come merce tanto dal sultano quanto da chi gli si oppone , e ridotte sbrigativamente a “vittime” o “puttane” senza alcuna seria interrogazione sulla loro scelta, più o meno libera, più o meno asservita, di prestarsi a quel gioco. Ragioni analoghe che spingono Luisa Mauro, in un breve testo pubblicato su http://www.libreriadelledonne.it/, a non firmare l’appello “Ora basta”: “Non lo firmo per due ragioni principali. Per cominciare sono molto critica verso la separazione fatta da Concita De Gregorio (nell’articolo di presentazione dell’appello, in http://www.unita.it/ ndr) fra quelle che non si prostituiscono , alle quali lei si rivolge, e quelle che si prostituiscono , escluse da ogni considerazione. Io sono impegnata politicamente epr la libertà femminile e lotto contro ciò che la ostacola: la ostacolano gli uomini che usano i loro soldi per ridurre il corpo femminile a merce; ma le donne che vanno a questo mercato hanno una soggettività che non mettono in vendita e perciò vanno prese in considerazione, altrimenti dalla politica si scade nel moralismo. In secondo luogo, l’indignazione contro la miseria sessuale di uomini al potere deve venire in primo luogo da uomini loro vicini, se hanno il senso della decenza, anzi doveva venire al primo scandalo e non è avvenuta, chissà perché. Ricorrere alle donne è un espediente di vecchio stampo, quando si assegnava alle donne un ruolo convenzionale, ora per la pace, ora per l’infanzia” , e oggi “di truppe ausiliarie di una politica inefficace”.
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