In merito alla manifestazione del 18 luglio a Piedimonte tenuta dalla FIOM e con la presenza di alcuni partiti, gruppi sindacali di base e tanti lavoratori e cittadini, si sono fatte analisi e commenti da più parti, alcune favorevoli, altre molto meno, altre ancora tendenti classicamente a mistificare ponendo l'accento su questioni del tutto marginali (come qualche slogan di contestazione strillato contro il rappresentante del PD o contro il segretario provinciale della CGIL da alcuni simpaticoni con autocertificazione di rivoluzionari) e tentare così di oscurare i temi e le proposte, oltre che gli impegni di lotta, avanzati dalla FIOM stessa nella persona del suo segretario generale Maurizio Landini.
Di questi ci occupiamo poco, non c'è risposta che serva, per quanto argomentata, per chi non vuole capire, e conviene quindi ragionare su chi anche sbagliando esprime giudizi in buona fede. Fra quelli che hanno criticato la posizione della FIOM ci sono naturalmente coloro che pensano che il conflitto sociale sia un male assoluto, e che derivi sempre e solo dall'incontentabile sete di "privilegi" dei sindacati dei lavoratori. Sebbene si tratti di una minestra assai stantìa, possiamo suggerire a costoro di verificare se le condizioni generali della società sono migliori o peggiori dove più alto è il potere dei lavoratori, dove cioè i diritti sono ampi ed estesi rispetto ai luoghi dove essi sono conculcati o semplicemente ignorati. Non ci pare coerente considerare i paesi in cui i lavoratori sono schiavi e poveri fino all'inverosimile come "Terzo Mondo" e poi proporre più o meno le stesse ricette per le società più avanzate!
I commenti favorevoli che abbiamo registrato sulla stampa e l'informazione locale, a meno di una nostra svista, hanno però generalmente trascurato un paio di aspetti di quanto espresso da Landini e dalla FIOM che riteniamo invece cruciali limitandosi a registrare le prese di posizione sui temi e le vertenze più classiche e imminenti. Il segretario provinciale della CGIL ha avuto invece il merito (ed oggi si può parlare anche di coraggio) di mettere in discussione il ruolo monopolistico della Fiat nella produzione di auto in Italia, spiegando anche come fare. Quella che una volta si chiamava lotta alle concentrazioni, quella che si poneva l'obiettivo di smantellare i monopoli o gli oligopoli, è la politica che riemerge dalle parole di De Santis, e gliene va reso ampio merito. Da sempre le forze del lavoro si oppongono alla formazione di concentrazioni in grado di imporre alla politica ed alla società i loro disegni grazie alla propria potenza economica e al conseguente potere di ricatto. Da tempo però questa consapevolezza ha registrato un affievolimento generale, vinta in parte dalle ideologie dominanti del mercato e dall'isolamento conseguente delle forze meno asservite. Bene De Santis, quindi, e la sua proposta di creare alternative reali alla Fiat per non dismettere anche il comparto automotive nel paese dopo la fine fatta dalla siderurgia, dall'elettronica, dalla chimica, dal tessile, dall'agroalimentare e da tutti quei settori d'eccellenza la cui misera fine è stata ampiamente analizzata e documentata da studiosi del livello di Gallino ed altri economisti e sociologi.
Landini, ha superato poi ogni banalità sconvolgendo gli schemi cui ci hanno avvezzati decenni di remissivismo anche sindacale, ed ha spiccato il volo: ha detto che il tema dei temi è la rappresentanza, che fonda ogni possibilità di conquista dei diritti, sia sul campo specifico del lavoro che più in generale sul terreno della democrazia. Ottimo l'intervento, sia per consequenzialità, per coerenza che per il livello dei temi e degli argomenti. La rappresentanza è stata espulsa dall'agire civile sia nella costruzione dello Stato, e quindi degli organismi che ne regolano il conflitto interno, sia dal lavoro, con il tentativo di riduzione del sindacato da una parte a gestore di pezzi di stato e di welfare (INPS, CAAF, fondi pensione, ecc.) dall'altra a semplice notaio certificatore delle volontà padronali. Questo è il nuovo corso del capitalismo, il sistema post-democratico nel quale non è previsto il dissenso. Benissimo Landini, quindi. Ma bisognerà tornare a scuola, ad imparare che il vero problema non sta nell'effetto, ma nelle cause che lo determinano. Solamente in questo modo si potranno fare scelte in grado di affrontare le crisi non solo economiche, soltanto aggredendo le radici del problema e creando gli strumenti perché non si possano sviluppare. Per capirci, è pura illusione da bravi ragazzi pensare di risolvere la crisi con un po' di soldi elargiti dall'UE o dalla BCE, e non affrontare il problema complessivo del modello economico fondato sulla speculazione mettendo in discussione santuari come la Borsa, il FMI, il WTO e tutta l'impalcatura dell'economia finta che chiamiamo finanza. Landini non risolverà il problema. Non da solo. Per farlo occorre riconcepire la società, darsi obiettivi certi e lottare per quelli, recuperando la saldatura necessaria fra tematiche e lotte sindacali e questione politica generale. Il lavoro non è un pezzo qualsiasi della democrazia: ne è la sostanza più profonda, ma occorre ricostruire la consapevolezza di questo.
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