Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 4 settembre 2015

Trattando come invasori i rifugiati bisognosi di aiuto rischiamo di perdere la nostra umanità

Robert Fisk
La Grande muraglia cinese, le mura di Roma e di ogni città medievale, la linea Sigfrido, la linea Maginot, il Muro Atlantico; nazioni, imperi, dittature, democrazie, hanno usato ogni catena di montagne o fiume per non fare entrare   gli eserciti stranieri. E adesso noi europei trattiamo le masse povere e accalcate, i perfetti innocenti di Siria e Iraq, di Afghanistan ed Etiopia, come  se fossero invasori stranieri decisi a saccheggiare e a soggiogare la nostra sovranità, la nostra patria verde a gradevole.
Fili spinati lungo il confine ungherese. Fili spinati a Calais. Abbiamo perduto l’unica vittoria che gli europei hanno appreso dalla Seconda Guerra Mondiale – la compassione?
Dato che il nostro cliché è di dire al mondo che la “crisi” dei rifugiati è la più grande dalla fine della guerra, mi sono ricordato del modo in cui Winston Churchill reagì alle colonne di profughi tedeschi in fuga attraverso le nevi dell’Europa orientale nel 1945 prima dell’avanzata dell’Armata Rossa vendicatrice. Questi, ricordatevi, erano i civili del Terzo Reich – coloro che avevano portato al potere Hitler, che si erano rallegrati per i barbari genocidi della Germania e delle vittorie militari su nazioni pacifiche. Erano le persone di una nazione colpevole che si trascinava verso l’Anno Zero. Sono passati anni da quando lessi la lettera che Churchill scrisse a sua moglie Clementine, mentre stava andando alla conferenza di Yalta nel febbraio del 1945.
Ma questo fine settimana l’ho cercata, ed ecco la parte cruciale: “Sono libero di confessarti che il mio cuore è rattristato dai racconti delle masse di donne e bambini tedeschi che fuggono verso ovest lungo le strade di qualsiasi luogo, in colonne lunghe 65 chilometri, davanti agli eserciti che avanzano. Sono chiaramente convinto che se lo meritano, ma questo non  rimuove la situazione dal proprio sguardo. L’infelicità dell’intero mondo mi sconvolge e temo sempre di più che possano nascere nuove lotte da quelle cui stiamo ponendo fine con successo.” Churchill avrebbe chiamato il suo sentimento “magnanimità”. Era compassione.
Incredibilmente, è la Germania – la nazione dalla quale decine di migliaia di profughi scapparono davanti alla Seconda Guerra mondiale, e davanti ai cui eserciti sarebbero fuggiti a milioni dopo l’inizio del conflitto – che è ora la destinazione prescelta per le centinaia di migliaia di masse  accalcate che attraversano a piedi l’Europa. La generosità della Germania brilla come un faro accanto alla reazione del PR (Public Relation)  Dave [Cameron]  e dei suoi amici. Il nostro Primo Ministro non ha  mai letto Churchill? Oppure ha letto troppo Tennyson? Gli piace citare un verso dell’Ulisse di Tennyson:
“Lottare, cercare, trovare e non cedere” che era scritto sul muro del villaggio degli atleti alle Olimpiadi di Londra del 2102. Mi chiedo se gli sia piaciuto anche il sonetto preferito dello stesso Tennyson, in cui il nostro Poeta di Corte dell’epoca vittoriana gioisce per i “guerrieri montenegrini che respingono lo sciame/dell’Islam turco…” Una bella parola “sciame”. “Un buon inizio ma è una brutta etichetta,“  come lo stesso Churchill aveva avvertito in un messaggio scritto prima della guerra a Hitler riguardo al disprezzo del  Führer  per un altro popolo ignorante.
Più di 30 anni fa ho incontrato a Gerusalemme quel principe dei giornalisti, James Cameron. Aveva difeso i miei servizi sull’Irlanda del Nord e così era un mio eroe – ma anch’egli, come Churchill, era un uomo di grande compassione. Ho pensato a lui non molto tempo fa quando mi lamentavo di un altro gruppo di ragazzi siriani profughi, “selvatici” che mi avevano inseguito lungo una strada di Beirut. Quasi 40 anni fa Cameron  riferiva per la BBC di un’altra massa di profughi che cercavano la salvezza su imbarcazioni non adatte a navigare.
“E’ stato un compromesso giornalistico disonesto chiamate i profughi vietnamiti “the ‘boat people’,” (https://it.wikipedia.org/wiki/Boat_people), ha scritto nel suo articolo, “che ha un suono quasi rassicurante, come se si trattasse di persone che fanno una vacanza in  crociera. I profughi…sono fuggiaschi, fuggitivi, vittime, i perduti e i soli… Profughi ebrei, profughi arabi, profughi tedeschi, profughi indiani, profughi pachistani, profughi russi, profughi del Bangladesh, profughi coreani.” Cameron ricordava gli Ugonotti del 17° secolo che erano fuggiti in Gran Bretagna, gli ebrei perseguitati che erano fuggiti dall’America nel 1900.
E poi Cameron è arrivato vicino a un momento da  “PR Dave”. “In quei giorni il mondo era un luogo piuttosto vuoto; c’era spazio dovunque per lo straniero senzatetto. In qualsiasi posto in cui uno straniero potrebbe desiderare rifugiarsi, è ora sovrappopolato e ha già problemi suoi.” “E alcuni profughi sono avari, alcuni si stanno salvando la pelle, altri sono su un  carrozzone.  Devo però ancora incontrare un profugo bambino che abbia lasciato la patria per un motivo diverso da quello che era costretto a  farlo. ”Non c’era alcuna “ingiunzione divina”, asseriva Cameron, “che dica che si deve restare dove si è nati.”
I seguaci di Mosé non erano profughi, come lo sarebbero stati per 2000 anni, “fino a quando hanno sostituito il loro esodo con quello di qualcun altro?”
Un’ironia unica della nostra tragedia di oggi è che una nave della marina irlandese ha salvato la vita di migliaia di migranti naufragati a poche miglia dalla costa libica. Un secolo e mezzo fa, l’esodo causato dalla carestia in Irlanda aveva trascinato i profughi sulla costa del Canada; le navi erano piene di uomini, donne e bambini che stavano morendo o erano morti di tifo, ricevuti con compassione, ma anche con la paura che l’epidemia avrebbe contagiato la gente delle Province Marittime del Canada orientale.
E’ toccato a Pól Ó Muirí, il direttore dell’Irish Times in lingua inglese [quotidiano irlandese, n.d.t.), il cui stesso padre era stato un operaio edile emigrato in Gran Bretagna, farci notare, la settimana scorsa, quanti irlandesi avevano contribuito a costruire il tunnel della Manica, e di come oggi “i migranti stanno dall’altra parte, cercando di attraversarlo.”
Sì, “qualcosa andrebbe fatto” riguardo ai profughi,  ha detto Pól Ó Muirí in modo retorico dichiarandosi d’accordo.  Ma allora, e dal momento che mi piace l’ottima scrittura, dovete avere pazienza con me – ha aggiunto: “Tutta la faccenda è un poco spaventosa, non è vero, tutte quelle persone che si lanciano contro le recinzioni all’imboccatura del tunnel che la gente [della contea irlandese ] di Donegal ha contribuito a costruire…E’ stato quando la telecamera è arretrata per fare una panoramica di uomini che stavano in piedi e osservavano, con tutta la dignità che potevano mettere insieme, che improvvisamente mi sono reso conto che stavo vedendo… mio padre in Inghilterra… Anche voi vedete nelle loro facce la vostra famiglia? Guardate un po’ più da vicino. Non abbiate paura.”
Come si dice: la necessità non conosce alcuna legge. E neanche la compassione.

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