Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 27 novembre 2017

Cento anni dalla Rivoluzione russa

Martín Hernández
(dirigente della Lit-Quarta Internazionale)
 


Nell’anno 1917, il giorno seguente al trionfo della Rivoluzione russa, Lenin, il suo grande dirigente, iniziò il suo discorso al Congresso panrusso dei soviet con le seguenti parole:
“Passiamo ora all’edificazione dell’ordine socialista”.
 Settant’anni dopo, nel 1987, già non restava più niente di questo “ordine socialista”. La borghesia aveva recuperato il potere e, con esso, il capitalismo iniziava ad essere restaurato.
Questa realtà ha provocato e continua a provocare – come non potrebbe essere altrimenti – enormi dubbi nella sinistra di tutto il mondo, dal momento che i fatti sembrerebbero dimostrare il fallimento del socialismo o, come minimo, della strada adottata dai nostri maestri per raggiungerlo.
 
Il diritto alla vittoria del socialismo
Come marxisti elaboriamo le nostre opinioni a partire dall’analisi della realtà. Non può essere diversamente in questo caso. La restaurazione del capitalismo in Russia e nel resto degli Stati operai ci obbliga a trarre delle conclusioni ma, per farlo, si rende necessario studiare attentamente ciò che avvenne realmente in Russia, la culla della più grande rivoluzione socialista della storia.
La Rivoluzione russa avviò la strada verso socialismo. Questo è un fatto. Questa strada non portò al socialismo. Anche questo è un fatto. Ma non basta segnalare i fatti. Bisogna spiegarli. Perché questa strada non portò al socialismo? Fu perché la strada era tracciata male o fu perché, anche se ben tracciata, questa fu interrotta?
Queste due domande sono decisive, non solo per comprendere il passato ma anche per agire con cognizione in futuro, poiché se la strada era tracciata male, noi che aspiriamo a conquistare il socialismo saremmo obbligati a trovare nuove strade. Al contrario, se la strada era tracciata bene e fu interrotta, allora si tratta di rimuovere gli ostacoli che la interruppero per poterla riprendere.
 
Il socialismo, un vecchio ideale
Di solito si ritiene che l’idea di una società socialista o comunista (che sebbene siano idee differenti, nell’immaginario popolare risultano sinonimi) corrisponda a Marx e ad Engels. Però non è così.
E' un ideale molto antico. Già Platone, nel 380 a.C., si riferiva ad esso nella sua opera La Repubblica. Dunque probabilmente fu Platone il primo a parlare di una società “comunista”.
D’altra parte, l’idea del comunismo si sviluppò tra i primi cristiani e assunse, attraverso varie centinaia di anni, differenti espressioni e formulazioni, come quelle di Tommaso Moro, che nel suo libro L’utopia, scritto nel lontano 1516, affermava: “Mi sembra che dovunque vige la proprietà privata, dove misura di tutte le cose è la pecunia, sia alquanto difficile che mai si riesca ad attuare un regime politico basato sulla giustizia o sulla prosperità”.
D’altro canto, come corrente d’opinione dichiaratamente socialista (è importante ricordare che ad esempio Platone difendeva un “comunismo” con gli schiavi), quella che probabilmente raggiunse un maggiore sviluppo fu quella che si ebbe alle fine del XVIII secolo e agli inizi del XIX, con i cosiddetti “socialisti utopisti”: Charles Fourier, Robert Owen, Saint-Simon, Etienne Cabert, Pierre Leroux, e il grande divulgatore di queste idee, Victor de Considerant.
Questi autori, la maggioranza dei quali provenivano dalle classi alte della società, costruirono una poderosa corrente d’opinione che nacque in Europa e si estese ad altri continenti. Così, in America Latina, più precisamente in Argentina, questa raggiunse un certo peso fra gli intellettuali, avendo come massimo esponente Esteban Echeverría (1805-1851), autore del libro Il dogma socialista.
I socialisti utopisti credevano che le loro idee su una società egualitaria, per il fatto di essere molto belle (ed effettivamente lo erano), avrebbero finito per essere accettate da tutta la società. Non solo dagli sfruttati ma anche dagli sfruttatori. In ciò risiedeva propriamente il carattere utopico delle stesse.
Il ruolo di Marx ed Engels non fu, pertanto, di aver elaborato una teoria sulla necessità di una società socialista ma di aver posto le basi, scientificamente, del perché sia necessaria questa società e di aver elaborato, sempre scientificamente, il cammino per la sua realizzazione.
Marx ed Engels, a partire da uno studio profondo della società capitalista, giunsero alla conclusione che il capitalismo, in un processo irreversibile, si sarebbe trasformato in un ostacolo sempre più grande per lo sviluppo dell’umanità e che solo la classe operaia, conquistando il potere, distruggendo lo Stato capitalista e costruendo il suo proprio Stato, avrebbe potuto iniziare il cammino della sua liberazione per poi, a partire da lì, liberare l’intera umanità da tutti gli ostacoli che il capitalismo le imponeva. In questo modo, la strada in direzione del socialismo, come prima fase della società comunista, era tracciata.
Il progetto di Marx ed Engels, sul terreno delle idee si mostrò vittorioso, come fu dimostrato quando il meglio della classe operaia, così come molti intellettuali onesti, costruirono, sulla base delle idee di Marx ed Engels, la Seconda Internazionale, che raggruppò centinaia di migliaia di militanti in tutto il mondo.
Però né Marx né Engels poterono vedere le proprie idee concretizzarsi. Questo compito fu assunto dal Partito bolscevico.
 
La questione del potere della classe operaia
La classe operaia russa, diretta dal Partito bolscevico, affrontò la sfida di testare, nella pratica, le idee di Marx ed Engels.
Già la Comune di Parigi aveva dimostrato, con Marx ed Engels in vita, che gli operai potevano prendere il potere. Però non riuscirono a mantenerlo. Dopo due mesi i comunardi furono massacrati dalla borghesia.
Avrebbero potuto i bolscevichi, alla testa della classe operaia, superare l’esperienza della Comune e mantenersi al potere? Era questa la prima sfida, e non era facile da vincere.
La borghesia pensava che i bolscevichi non sarebbero riusciti a superare questa prima sfida. Per questo, la stampa borghese, nell’ottobre del 1917, si chiedeva più e più volte: “Per quanti giorni resteranno i bolscevichi al potere?”. E la maggioranza della direzione del Partito bolscevico si faceva la stessa domanda. John Reed, nel suo famoso libro sulla Rivoluzione Russa, I 10 giorni che sconvolsero il mondo, presentava una testimonianza di questa realtà: “Ad eccezione di Lenin e Trotsky, degli operai di Pietrogrado e dei soldati, nessuno credeva che i bolscevichi potessero resistere per più di tre giorni”. (1)
Ciononostante, passavano i giorni, le settimane e i mesi, e i bolscevichi, alla testa della classe operaia, continuavano a stare al potere.
A quel punto, la borghesia russa, e del resto del mondo, smise di farsi domande per passare all’azione diretta, con l’obiettivo di ripetere l’esperienza (cioè il massacro) della Comune di Parigi. Ma non ci riuscirono.
Quattordici eserciti invasero la Russia per raggiungere questo obiettivo, e poi si allearono con i capitalisti russi per portare avanti una guerra civile.
Per difendersi, il nuovo Stato si vide obbligato a costruire un esercito e, per farlo, si scontrò con un grosso problema. Nel Partito bolscevico non c’erano generali né colonnelli né alcun tipo di esperto militare. Come fare allora per costruire un esercito capace di sconfiggere gli eserciti nemici? A chi affidare questo compito?
Il Partito bolscevico designò per questo scopo un dirigente politico, Lev Trotsky, che mai aveva usato un'arma in vita sua. Costruire un esercito sembrava una missione impossibile. Vincere la guerra ancora di più. Tuttavia, sebbene i miracoli non esistano, una rivoluzione, con la classe operaia alla sua testa, riesce a fare “miracoli”. Trotsky organizzò l’Armata Rossa con più di cinque milioni di persone, si trasformò in uno dei massimi specialisti militari al mondo, e portò questo esercito alla vittoria.
 
La seconda grande sfida
Con la vittoria nella guerra civile, la classe operaia, con la sua direzione rivoluzionaria, superò l’esperienza della Comune di Parigi, il che dimostrò che Marx ed Engels avevano ragione: la classe operaia poteva assumere il potere. Tuttavia, pur essendo una sfida importante, non era quella più grande. La sfida più importante era sapere se la classe operaia poteva stare alla testa di uno Stato senza la borghesia, perché questo non era mai successo. E ancora più importante era sapere se la classe operaia, stando alla testa dello Stato, sarebbe stata capace di fare ciò che la borghesia si era mostrata incapace di realizzare: generare uno sviluppo superiore nell’economia e nella cultura. E la classe operaia russa, a partire dalla presa del potere, ci riuscì.
Era trascorso pochissimo tempo dal trionfo della Rivoluzione e già alcuni numeri iniziarono a sorprendere. Prima del trionfo della rivoluzione c’erano in Russia 32.000 scuole e 10.000 biblioteche. Un anno e mezzo dopo c’erano 60.000 scuole e 100.000 biblioteche. La Russia, un Paese enormemente arretrato, con l’80% della sua popolazione contadina e il 78% di analfabeti, in pochi anni sarebbe diventato una potenza. Il Paese degli analfabeti  si sarebbe trasformato in uno dei pochi Paesi al mondo senza analfabeti, ed è necessario sottolineare che lì si parlavano 147 lingue differenti, molte delle quali erano solamente orali.
Il Paese, che prima del trionfo della rivoluzione aveva l’80% di contadini, arrivò ad occupare il secondo posto per quanto riguarda la produzione industriale, dietro solo agli Stati Uniti. Al tempo stesso, si sarebbe trasformato nel primo produttore di petrolio, acciaio, cemento e trattori al mondo.
La Russia, il Paese delle grandi masse incolte, conseguì sul terreno della cultura prodezze che nessun Paese capitalista dell’epoca (né di oggi) raggiunse. A Mosca arrivarono ad esserci circa 300 teatri lirici, molti dei quali funzionavano di mattina, di sera e di notte.
Nelle Università, gli studenti ricevevano un salario per studiare, mentre gli operai che volevano farlo avevano i loro orari di lavoro subordinati ai propri orari di studio nelle facoltà, al punto che avevano tra una settimana e un mese di licenza pagata per prepararsi agli esami.
E' importante sottolineare che tutti questi risultati furono raggiunti in un Paese che soffrì come nessun altro, nell’arco di 30 anni, le conseguenze delle tre guerre devastatrici. La Prima guerra mondiale, la guerra civile e la Seconda guerra mondiale.
Nessun altro Paese al mondo soffrì tanto le conseguenze delle guerre. Per fare un paragone, gli Stati Uniti, che parteciparono alla Prima guerra, all’invasione della Russia e alla Seconda guerra ebbero in totale 600.000 morti. La Russia, in queste tre guerre ebbe, come minimo, quaranta milioni di morti.
Ognuna di queste guerre provocò una completa devastazione del Paese. Durante la guerra civile morirono quattro milioni di persone e, come conseguenza di questa, a posteriori ne morirono altri sette milioni per malattie, fame e freddo. Fu tale il grado di distruzione provocato dal tentativo di porre fine al nuovo Stato da parte del capitalismo, che in questi anni divenne abbastanza comune il cannibalismo. Centinaia di migliaia di bambini e giovani senza casa vagavano per le strade e molti di essi si organizzavano per attaccare le persone, ucciderle e mangiarle, al punto che era comune che le madri legavano i propri figli per evitare che, a causa della fame, si mordessero tra di loro. (2)
Ma la Seconda guerra mondiale superò largamente gli orrori della Prima e della guerra civile. Solo nei primi sei mesi, dall’attacco a sorpresa di Hitler, morirono due milioni e mezzo di russi, e solo nella battaglia di Stalingrado ne morirono un milione. Durante la Seconda guerra mondiale morirono, come minimo, ventisei milioni di sovietici.
 
Sulla strada del socialismo
Come poteva un Paese arretrato, a maggioranza contadina, con quasi l’80% di analfabeti, arrivare, in meno di 20 anni, a una tale crescita economica e culturale?
Sembrava un miracolo. Ma non lo era. Il “miracolo” si spiegava sulla base di quello che disse Trotsky nel 1936, nella presentazione de La rivoluzione tradita: “Il mondo borghese finse, all’inizio, di non vedere i risultati economici del regime dei soviet, cioè la prova sperimentale della percorribilità dei metodi socialisti”. (3)
E aggiunge poi nello stesso libro: “Gli immensi risultati ottenuti dall’industria, l’inizio promettente di un rifiorire dell’agricoltura, la crescita straordinaria delle vecchie città industriali, la creazione di nuove altre, il rapido aumento del numero di operai, l’elevazione del livello culturale e delle necessità sono i risultati indiscutibili della Rivoluzione d’Ottobre, nella quale i profeti del vecchio mondo credevano di vedere la tomba della civiltà. Già non c’è più la necessità di discutere con i signori economisti borghesi: il socialismo ha dimostrato il suo diritto alla vittoria, non nelle pagine de Il Capitale, bensì in un’arena economica che costituisce la sesta parte della superficie del globo; non nel linguaggio della dialettica, ma in quello del ferro, del cemento e dell’elettricità. Anche ne caso che l’URSS, per colpa dei suoi dirigenti, soccomba sotto i colpi esterni – cosa che speriamo fermamente di non vedere – rimarrebbe, come eredità per il futuro, il fatto indiscutibile che la rivoluzione proletaria è stata l’unica ad aver permesso ad un Paese arretrato di ottenere risultati senza precedenti nella storia.” (4)
I fatti: la crescita spettacolare dell’economia e della cultura sembravano indicare che la Russia marciasse in direzione del socialismo come prima tappa del comunismo, nel quale, a detta di Marx, ogni persona produrrà secondo le sue capacità e riceverà secondo le sue necessità. Vale a dire una società nella quale tutte le necessità degli esseri umani potranno essere soddisfatte.
Logicamente, la Russia non poteva arrivare al socialismo, e tanto meno al comunismo, se la rivoluzione non fosse trionfata nel resto del mondo, in particolare nei Paesi più avanzati, in quanto pensare ad una società comunista nel contesto di un’economia mondiale dominata dall’imperialismo era qualcosa che non passava per la testa a nessun marxista.
Ma i bolscevichi, coscienti di ciò, aprirono due strade con lo stesso obiettivo: la vittoria del socialismo. Da un lato, iniziarono col prendere il potere in Russia e, allo stesso tempo, utilizzarono questa vittoria per sviluppare la rivoluzione internazionale promuovendo la costruzione della Terza Internazionale, il Partito mondiale della rivoluzione socialista.
I bolscevichi, seguendo la tradizione di Marx ed Engels, nel mezzo della guerra civile si posero alla testa della fondazione di questa organizzazione mondiale.
Tra il 1919 e il 1922 la Terza Internazionale realizzò un congresso mondiale all’anno, ognuno dei quali durò circa un mese. In questi congressi si discuteva dei problemi più urgenti della rivoluzione mondiale, così come della situazione e della politica di ciascun Paese.
Documenti dell’epoca mostrano che Lenin e Trotsky, accolti con ovazioni da tutti i delegati, lasciavano i propri compiti, di Stato il primo e il comando dell’Armata Rossa il secondo, per partecipare attivamente a questi congressi. D’altra parte, queste testimonianze mostrano anche che i congressi della Terza Internazionale erano l’evento più importante del Paese. Si organizzavano cortei e manifestazioni di massa per celebrare l’apertura di un nuovo congresso. Ed è importante sottolineare che i principali oratori di queste manifestazioni non erano i dirigenti russi ma i delegati dei differenti Paesi.
La presa del potere da parte della classe operaia, l’espropriazione della borghesia, il monopolio del commercio estero, l’economia centralmente pianificata da un lato, e la costruzione della Terza Internazionale dall’altro, furono la strada adottata dai bolscevichi per marciare in direzione del socialismo.
D’altro canto, questo cammino iniziato dalla Rivoluzione russa fu bruscamente interrotto dallo stalinismo.
 
Lo stalinismo interruppe il cammino verso il socialismo
L’arretratezza delle masse russe, in maggioranza contadine, la quasi sparizione della classe operaia durante la guerra civile, la stanchezza delle masse prodotta dalla guerra stessa, la sconfitta della rivoluzione tedesca ed il riflusso della mobilitazione andarono a rafforzare uno spirito conservatore tra le masse e, in questo modo, diedero una base per il rafforzamento dei settori più burocratici e conservatori del Partito bolscevico e dello Stato. Dall’altra parte, la malattia e la morte di Lenin potenziarono questo processo.
Con Lenin in vita, per le ragioni segnalate, esistevano già la burocrazia all’interno dello Stato e le deviazioni burocratiche all’interno del Partito bolscevico. Ma Lenin, col suo enorme prestigio, le denunciò e le combatté dal 1919. La sua morte prematura significò non solo un calo qualitativo di questa lotta, ma aprì il cammino affinché la burocrazia si impossessasse del potere.
Alla testa di questo processo comparve il più mediocre dirigente del Partito bolscevico: Stalin. Lui aveva giocato un ruolo secondario nella rivoluzione ma finì per compiere un ruolo centrale quando giunse l’ora di approfondire l’arretramento e le sconfitte, così come la burocratizzazione dello Stato e del Partito.
Stalin, già nel 1923 (quando Lenin era fuori gioco per la sua grave malattia) elaborò una teoria giustificazionista, che si poggiava sulla stanchezza e la smobilitazione delle masse, che chiamò “socialismo in un solo Paese”, e che trovò un complemento politico nella “coesistenza pacifica con l’imperialismo”.
Alle masse stanche diceva: smettiamo di lottare, non è necessaria la rivoluzione mondiale per arrivare al socialismo. Noi possiamo fare il socialismo da soli, nel nostro Paese. Per questo, basta che ci mettiamo d’accordo con le potenze imperialiste. Coesistiamo pacificamente con loro.
Questo orientamento portò Stalin non solo a mettere da parte la lotta per il trionfo della rivoluzione internazionale, bensì a firmare accordi con le più importanti potenze imperialiste, per evitare che questa avvenisse.
Il primo fu con la Germania di Hitler. Un patto di non aggressione e di spartizione di aree d’influenza per il quale Stalin si impegnava a non fare nulla di fronte ad una futura invasione di Hitler in Polonia per occupare la metà del suo territorio e, in compenso, Hitler consentiva a Stalin di occupare l’altra metà del territorio polacco.
Poi, quando Hitler ruppe questo patto e invase l’URSS, Stalin si vide obbligato ad entrare nella Seconda guerra mondiale in alleanza con gli Stati Uniti e l’Inghilterra, e questa alleanza culminò in un nuovo patto di Stalin con i suoi nuovi alleati, con lo stesso carattere controrivoluzionario di quello che precedentemente aveva firmato con Hitler: la coesistenza pacifica e la divisione di aree d’influenza.
Come parte di questo patto, Stalin, su raccomandazione del primo ministro inglese Winston Churchill, sciolse la III Internazionale e svendette all’imperialismo, per mantenere la coesistenza pacifica, le rivoluzioni in Francia, Italia e Grecia.
 
La vittoria del terrore
Questa politica, che si iniziò a sviluppare a partire dal 1923, sebbene si vide favorita dalla smobilitazione e dalla stanchezza delle masse russe, incontrò una forte resistenza nel Partito bolscevico. Ma Stalin vinse questa battaglia. Non sul terreno delle idee, bensì su quello del terrore.
Gli oppositori di Stalin, la maggioranza dei quali avevano avuto un ruolo di rilievo nella Rivoluzione d’Ottobre e nella guerra civile, iniziarono ad essere calunniati, poi rimossi dagli incarichi di responsabilità, per poi essere espulsi dal partito, fatti prigionieri ed infine fucilati. In questo modo si impose lo stalinismo in Russia e nell’ex URSS.
Quello che accadde nell’URSS negli anni '30 fu il trionfo di una vera controrivoluzione.
 
Dalla controrivoluzione alla restaurazione
Di solito, quando si parla di Russia, si dice: dalla rivoluzione socialista alla restaurazione capitalista, mentre l’espressione corretta sarebbe: dalla controrivoluzione stalinista alla restaurazione capitalista, perché è proprio a partire dal trionfo della controrivoluzione stalinista che si interrompe il cammino in direzione del socialismo e inizia un nuovo cammino, questa volta di ritorno al capitalismo, nonostante, in quegli anni, l’apparenza indicasse il contrario.
Negli anni ’30, al netto di tutte le prodezze controrivoluzionarie di Stalin, l’economia e la cultura non smettevano di crescere, al punto tale che Stalin arrivò a dichiarare che la Russia e l’URSS erano arrivati al socialismo e marciavano verso il comunismo. Senza dubbio la realtà era diversa.
La politica di Stalin, di collaborazione con le principali potenze imperialiste, rese l’URSS sempre più isolata nel contesto di un’economia mondiale dominata dalle potenze imperialiste.
In questo senso, se l’URSS continuava a crescere non era grazie alla politica di Stalin, bensì nonostante questa. Continuava a crescere perché ancora persisteva l’impulso dato all’economia dalle principali misure economiche assunte a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre. Però questa situazione, a causa della conduzione dello Stato da parte della burocrazia, non sarebbe durata per molto tempo.
E' per questo che Trotsky, mentre riconosceva questa crescita spettacolare, avvertiva nel 1938: “Il pronostico politico ha un carattere alternativo: o la burocrazia, convertendosi sempre di più come l’organo della borghesia mondiale nello Stato operaio, eliminerà le nuove forme di proprietà e tornerà a sommergere il Paese nel capitalismo, oppure la classe operaia abbatterà la burocrazia e aprirà il cammino verso il socialismo”. (5)
Gli accordi di Stalin con l’imperialismo ebbero un costo elevato per l’URSS. Nel 1941 l’URSS fu molto vicina ad essere distrutta quando Hitler, in modo unilaterale, ruppe il patto con Stalin ed la invase .
Dopo la Seconda Guerra Mondiale esisterono piani degli USA per fare la stessa cosa di Hitler, ma i rapporti di forza non lo consentirono. Nonostante ciò, questo non rese le cose più facili per l’URSS.
Da un lato, l’arretratezza tecnologica (in relazione ai Paesi più avanzati) e, dall’altro, la conduzione burocratica, fecero sì che già alla fine degli anni ’50 la crescita economica iniziò a diminuire. L’economia continuava a crescere ma ad un ritmo abbastanza inferiore.
Tra gli anni 1963 e 1968, in tutto l’Est europeo si portarono avanti profonde riforme per provare a superare la situazione. Queste riforme, che da un lato volevano modernizzare la gestione e dall’altro aumentare il commercio estero per trarre nuove tecnologie, finirono in una clamorosa sconfitta; non solo l’URSS, ma l’insieme dei paesi dell’Est europeo, iniziarono ad entrare in una crisi economica senza via d’uscita.
Da un lato, la stessa burocrazia, nel provare ad applicare i nuovi piani di gestione, resistette ad essi perché vedeva i suoi interessi compromessi. Tutti erano a favore di questi piani, fino a quando non venivano applicati nel proprio settore. Dall’altro lato, l’aumento del commercio estero (questa tappa fu conosciuta come l’“Età dell’Oro del commercio Oriente-Occidente”) finì in una crisi brutale, perché fu un commercio – come quello che realizza l’imperialismo con le sue colonie – completamente diseguale.
La fase successiva delle direzioni burocratiche fu il tentativo di uscire dalla crisi per mezzo dei prestiti dell’imperialismo. In questo modo, le economie dell’Est europeo furono prigioniere del debito esterno con l’imperialismo, il che li portò ad una crisi terminale.
La burocrazia governante, colpevole di aver isolato l’URSS con la sua politica di “coesistenza pacifica con l’imperialismo”, scaricava la crisi sulle spalle dei lavoratori. Alcuni numeri mostrano questo con chiarezza. Nell’URSS, l’istruzione, che negli anni ’50 impegnava il 10% delle risorse nazionali, agli inizi degli anni ’80 impegnava solo il 6%. Ed ancora più tragico: l’aspettativa di vita, che in quel periodo aumentava in tutto il mondo, nell’URSS decresceva in modo allarmante. Nel 1972 era di 70 anni. Agli inizi degli anni ’80 era caduta a 60 anni.
In questo modo, la parodia stalinista del “socialismo in un solo Paese”, che in realtà significava “lunga vita all’imperialismo”, giungeva alla sua fine.
L’URSS e il resto degli Stati operai avevano solo un’alternativa per uscire dalla crisi economica terminale che l’imperialismo aveva imposto loro: fare appello alla rivoluzione mondiale. Ma non erano disposti ad intraprendere questa strada. Preferirono offrirsi come soci minori dell’imperialismo, e questo fu quello che fecero. Per mano dei loro padroni, restaurarono il capitalismo in tutti questi Stati.
In questo modo, i burocrati governanti portarono fino alle estreme conseguenze la politica di Stalin e si convertirono nei becchini delle poche conquiste che restavano della gloriosa Rivoluzione d’Ottobre.
 
Nuove strade per il socialismo?
In nome di un presunto “realismo” ci sono quelli che dicono che il socialismo è fallito perché era un’utopia di Marx ed Engels. Altri affermano che non era un’utopia, ma che si tratta di cercare “nuove strade per il socialismo” poiché ciò che è fallito è stata la strada adottata dai bolscevichi. Entrambe le idee sono sbagliate.
Di che utopia si può parlare quando, con i metodi socialisti, un Paese arretrato come la Russia riuscì, in meno di 20 anni, a trasformarsi in una potenza mondiale sul terreno dell’economia e della cultura?
Perché pensare a nuove strade per il socialismo se fu proprio il cammino tracciato dai bolscevichi (la strada di Marx ed Engels) che rese possibili questi primi passi vincenti in direzione del socialismo?
Il socialismo e il comunismo non sono un’utopia. I fatti lo dimostrano. Ciò che è un’utopia è pensare che il capitalismo possa liberare l’umanità dalla fame, dallo sfruttamento, dell’oppressione, dalla distruzione della natura.
Non si tratta di trovare nuove strade. Già lo stalinismo cercò una nuova strada. Arrivare al socialismo sulla base degli accordi con l’imperialismo a livello internazionale, e arrivare al socialismo, in ciascun Paese, sulla base dei governi di conciliazione di classe, i cosiddetti governi di fronte popolare.
Quello che bisogna fare è riprendere la strada che Marx ed Engels delinearono, che i bolscevichi concretizzarono, e che gli stalinisti interruppero.
Quello che bisogna fare è rimuovere gli ostacoli che si interpongono su questa strada, che hanno reso possibile, invece di portare al socialismo, il ritorno al capitalismo.
Le masse dell’Est europeo, nello sconfiggere l’apparato stalinista a livello internazionale (o come minimo ferirlo a morte), hanno rimosso, in larga misura, questo ostacolo. Quello che bisogna fare ora è completare questo compito rimuovendo dalla coscienza dell’avanguardia operaia le idee che il putrefatto apparato stalinista ha lasciato nelle loro teste e che sono vive nel programma di tutti quelli che oggi, in nome del “realismo”, parlano di nuove strade.
Quello che bisogna fare è finirla con l’idea che si possa arrivare al socialismo conciliando con la borghesia; che si possa arrivare al socialismo senza democrazia operaia, o che si possa arrivare al socialismo senza costruire il partito mondiale della rivoluzione.
La strada di Marx ed Engels, la strada dei bolscevichi, la strada dei primi anni della III Internazionale, è la strada che rende possibile la vittoria. La strada dello stalinismo, che tutt'oggi è adottata dai nuovi e vecchi riformisti, è la strada della sconfitta. Di nuove e nuove tragedie. E' necessario studiare la Rivoluzione russa. E' necessario apprendere dalla Rivoluzione russa.
 
Note
1) Lenin raccomandò questo libro che tracciava “… un quadro esatto e straordinariamente vivo dei fatti…”.
2) Vedere a tal proposito lo studio di Wendy Z. Goldman: “La donna, lo Stato e la rivoluzione”.
3) Trotsky, Lev, La Rivoluzione tradita, Editorial Fontamara, p. 27
4) Ídem, pp. 33-34.
5) Trotsky, Lev, Programma di Transizione.

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