Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 2 gennaio 2018

L’opinione degli Americana rispetto agli aiuti Usa ad Israele e gli altri programmi top dell’AIPAC (Commissione per i Pubblici affari israelo-americani)

Le lobby israeliane e la politica americana

Grant F. Smith traduzione di Luciano Granieri



Dale Sprusansky: Grant Smith è il direttore dell’Istituto per la ricerca sul rinnovamento delle politiche per il Medio Oriente. E’ l’autore del libro, pubblicato nel  2016:” La Grande Israele: Come  le  Lobby Israeliane   muovono l’ America”. Un’opera che si occupa  della storia, dei ruoli e delle attività di efficienti organizzazioni israeliani operanti negli Stati Uniti . Grant ha inoltre scritto due storie non ufficiali dell’AIPAC  e molti altri libri.

La sua organizzazione  di sondaggi è costantemente al lavoro all’interno del  Freedom of  Information Act  (FOIA), è sempre al lavoro , e ha scoperto   importanti documenti   riguardanti, in modo particolare,  il programma nucleare israeliano. Potremmo dire poco sull’argomento se molte persone non lavorassero così intensamente come fa Grant.  Considerando  le sue frequenti ricerche,  le sue apparizioni nel tribunale del FOIA, i suoi sondaggi le sue E-Mail delle  5 del mattin ,possiamo realmente affermare  che Grant è un One Man Machine.

Oggi, ci rivelerà i dati di  alcuni sondaggi condotti dalla sua organizzazione e da altre agenzie sugli aiuti americani ad Israele.

Grant Smith:  Grazie Dale, l’opinione del  pubblico  rivelata dai sondaggi è molto importante, ovviamente, ma non c’erano molte considerazioni da fare  in relazione alle domande su cosa la gente  pensi  dei programmi fondamentali delle lobby israeliane. Ma qualcosa oggi è destinata a cambiare. I sondaggi che stiamo per analizzare, in relazione al contributo che potrebbero e dovrebbero offrire gli eletti, coloro i quali sono incaricati di agire  nell’interesse pubblico, rimarcano che in merito  ai programmi della lobby israeliane prese in esame, si sta verificando  un distacco crescente  fra ciò che pensa l’opinione pubblica  e le azioni governative pianificate  in favore di queste .

L’anno scorso ho qui trattato della nascita delle lobby israeliane negli Stati Uniti, la loro crescita, la loro grandezza, il loro organigramma, e la loro organizzazione operativa . Su questo argomento era incentrato il mio libro “La Grande Israele”in cui ho illustrato come un patrimonio di 3,7 miliardi di dollari  detenuto da  organizzazioni no profit sono  in campo per arrivare ad  ottenere nel 2020 un profitto di 6,3 miliardi. 14.000 impiegati, 350.000 volontari,  una membership  con remunerazioni  pari a 774mila dollari, congiuntamente a campagne per  finanziamenti di infrastrutture,   ingenti donazioni individuali ,oscure azioni politiche di diversi comitati, contribuiscono  a consolidare gli  aiuti americani  che Israele altrimenti  mai avrebbe potuto avere. Tutto ciò apparirà in un luminoso display quando 15.000 membri dell’AIPAC  si riuniranno il prossimo week end nel  loro congresso  annuale. Comunque ritorniamo alle lobby e a ciò che gli Americani pensano dei loro programmi.

Le indagini   che di seguito    sto per mostrarvi sono state condotti  dall’Istituto di Ricerca per i Consumatori di Google, l’unico e più accurato servizio di sondaggi disponibile oggi in America .

Diamo  un’occhiata a cosa gli Americani pensano del singolo e più importante programma in base al quale Israele sta ottenendo aiuti  da parte del Dipartimento di Stato  Americano,  inclusi armamenti  avanzati, finanziamenti per le aziende di armi israeliane  orientate all’esportazione.  Tale programma è compreso nel  memorandum d’intenti decennale , altrimenti noto come MUOs

Il  MUOs decennale che ci accingiamo ad analizzare sovraintende all’intera questioni dei piani  d’armamento nucleare israeliani  che sono sul tavolo.

Gli Stati Uniti hanno provveduto, a fornire  254 miliardi di finanziamenti   conosciuti  ad Israele, più di ogni altro paese. Ora c’è stato un recente tentativo da   parte di studiosi come il Prof. Hillell Frisch finalizzato a  spostare la questione affermando che Giappone, Germania e  Sud Corea sono i maggiori destinatari  di aiuti.  Naturalmente questa notazione è errata. Giappone, Germania e Sud Corea sono in un’altra categoria, quella degli alleati di frontiera. Le spese per le alleanze militari con contribuzioni da entrambe le parti impongono obblighi reciproci minimamente comparabili  con gli aiuti ad Israele con non ha alcun obbligo.

Quando è stata resa nota questa notizia   il 60% degli americani  ha ritenuto  che gli aiuti stranieri americani ad Israele fossero  veramente troppi.  Queste conclusioni possono ritrovarsi  nei sondaggi di Shibley Telhami e in altri di Gallup. Il  risultato si è confermato costante nel tempo. Gli ultimi anni, 2014-2015-2016 hanno mostrato lo stesso esito . Gli Americani che hanno risposto al sondaggio sapevano che gli aiuti israeliani   si potevano quantificare intorno al 9% del totale del budget destinato ai finanziamenti  stranieri. Ma questa domanda sarà destinata a cambiare in futuro,  secondo Dale, fino  a quando non si attuerà la  proposta dell’amministrazione Trump di ridurre il budget al Dipartimento di Stato, mantenendo inalterati gli aiuti ad Israele.  Quando ciò accadrà Israele otterrà fondi  per il 10,il 20, 30% dell’intero budget? Ancora non lo sappiamo.

Nel Memorandum d’Intenti del settembre 2014, gli Stati Uniti garantiscono un MOUs che va oltre I 10 anni. Non ci sono obblighi per  Israele e oltre il 28% dei fondi  potrebbe essere investito nelle industrie di proprietà israeliane orientate all’esportazione, questo è l’ultimo di una serie di impegni. In pubblico è stato detto che ciò garantirà il livello qualitativo militare di Israele.

Quando il Congresso approva gli aiuti a favore di Israele li presenta  in un documento da sottoporre alla firma del presidente , entrambi  (congresso e presidente) confidano in un  sotterfugio ,cioè che gli Stati Uniti, non possono realmente conoscere se Israele possieda armi nucleari. In base al  protocollo di controllo sull’esportazione  delle armi (Arms Export Control Act), ogni volta che gli Stati Uniti pianificano aiuti militari devono  conoscere  quali sono  le  potenze che non hanno firmato il trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Nel 2012 sotto la crescente pressione esercitata da una  giornalista Helen  Thomas, l’amministrazione americana di Obama, emanò un ordine di censura  che  punì alcuni impiegati  e funzionari  federali i quali diffusero informazioni, che molte persone già conoscevano,  sull’entità di armamenti nucleari in possesso di Israele.

Da  un sondaggio  sulla pubblica opinione, primo nel suo genere, emerge che  la maggior parte di Americani preferiscono un’onesta discussione sugli armamenti nucleari israeliani. Il 52% si è espresso a favore del fatto che il Congresso avrebbe dovuto tenere in considerazione la questione nucleare.  Ufficialmente il  Congresso ha dichiarato di non voler prendere alcuna decisione sulla tema. Ma sotto la pressione di reporter, della pianificazione di   una serie di azioni legali  per bloccare gli aiuti statunitensi, incuranti  di  questi programmi nucleari ,  e un’ampia azione di denuncia , ciò potrebbe cambiare.

Di seguito un’intervista  di Sam Husseini ( scrittore e attivista politico direttore della comunicazione dell’ Institute for  Pubblic Accuracy, un organizzazione  informativa no profit)  al Senatore  democratico  Chuck Schumer

Sam Husseini:  Riconosce che Israele possiede armi nucleari signore?

Sen.  Chuck Schumer: Non lo so, ma può leggere ciò che scrivono i giornali in merito.

Sam Husseini:  Riconosce che Israele possiede armi nucleari signore?

Sen. Chuck Schumer: E’ un fatto ben noto  che Israele possiede armi nucleari, ma il governo israeliano non ha mai ufficialmente rivelato che tipo di armi  possieda, dove siano allocate etc. etc.

Sam Husseini: Potrebbe il governo degli  Sati Uniti essere più franco
Sen. Chuck Schumer: Ok sarà così.

Grant  Smith: Questo era Sam Husseini .  Nel 1985 Isreale e le sue lobby erano le forze primarie che  offrivano  accessi preferenziali nel  mercato  statunitense ad aziende esportatrici israeliane. Questa dinamica  fu definita    come il primo accordo americano sui liberi affari. Siccome le aziende e le forze sindacali americane erano unanimemente contrarie a ciò, un agente clandestino dell’Ambasciata Israeliana intercettò un rapporto segreto   di 300 pagine contenente dati  industriali riservati di proprietà dell’ITC , e li usò  per aiutare l’AIPAC a neutralizzare la contestazione. Ciò fu l’oggetto di un indagine dell’FBI  e classificato  come un problema di controspionaggio.

Come  probabilmente ci si sarebbe potuto aspettare da tali processi, essi sostituirono un bilanciato rapporto commerciale con un  cronico squilibrio  a favore di  Israele.

Infatti  alla presenza di un’inflazione stagnante , l’accordo di liberi affari  fra gli Stati Uniti ed Israele è il peggiore mai realizzato con un deficit cumulativo pari a 144 miliardi di  dollari.

In quest’epoca di disapprovazione popolare di accordi commerciali, comprendenti fra gli altri l’iniziativa della partnership trans-pacifica  o i liberi accordi commerciali  nord americani, una volta appreso dell’accordo di libero scambio con Israele, il 63% degli americani  avrebbe voluto   rinegoziarlo o cancellarlo.

Un altro pessimo affare, in campo da molto tempo,  concernente Israele e le sue  lobby riguarda lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme. Sin dal 1948 Israele ha tentato di persuadere le ambasciate straniere ricollocarsi  a Gerusalemme, la cui  ripartizione è  sancita   da accordi internazionali . Ma , sfruttando le aspirazioni presidenziali di Bob Dole, nel 1995 l’organizzazione sionista d’America e l’AIPAC hanno sostenuto una legge, per altro  approvata, in cui si prevedeva  di de-finanziare  il bilancio del Ministero Degli Affari esteri se l’ambasciata non fosse stata trasferita. Il presidente statunitense di allora si rifiutò di dare corso alla norma, ma ci sono oggi molti fautori di questo trasferimento presso l’amministrazione Trump .

Gli Americani non sono così entusiasti di essere coinvolti  nel valutare questa situazione. Le lobby israeliane degli Stati Uniti, vogliono che l’ambasciata americana venga trasferita da Tel Aviv a  Gerusalemme. Nessun altro Paese, nel rispetto degli accordi internazionali, opponendosi a tale trasferimento ha fatto pressioni  in questo senso.  Il 56% degli americani  si è espressa contro il trasferimento dell’ambasciata , mentre il 38% si è rivelata a favore. C’è una rinnovata spinta affinchè si ritorni ad una politica di accordi poco trasparenti fra Israele e Stati Uniti. Questa politica e particolarmente sostenuta dal Primo Ambasciatore Israeliano negli Stati Uniti. Michael Oren sostiene  che Stati Uniti ed Israele possono anche non essere d’accordo su alcune questioni , ma non  mostrarlo apertamente , in quanto ciò rafforzerebbe i comuni nemici e renderebbe Israele vulnerabile.  Naturalmente  tale politica beneficia grandemente Israele, come merce di scambio , questa può  speculare sull’apparenza di un incondizionato supporto degli Stati Uniti nelle proprie relazioni . Quindi   è  in corso un grande sforzo in questo senso . Gli Americani, quando si sono espressi e sono stati invitati ad esprimersi su Israele e le sue lobby americane , in particolare sull’affermazione:”Israele e le sue lobby americane non desiderano una politica alla luce del giorno,  il presidente non condanna  gli insediamenti israeliani in Palestina,  fornisce aiuti economici e un supporto in seno all’ONU” La maggior parte  , il 56%, la maggioranza sostiene che non dovrebbe esistere una politica occulta.

Abbiamo qui con noi oggi Maria LaHood, la quale potrà fornirci un ottimo lavoro descrivendo cosa è Boycott, Disinvestiment and Sanctions (BDS) , un movimento  che cerca  il  supporto internazionale affinchè si ponga fine all’oppressione israeliana in Palestina  e si oppone  allo  sforzo delle lobby israeliane nel proporre leggi che blocchino le attività del movimento stesso     sancendone  l’illegalità in tutto il paese .

Dunque dirò solo che le campagne dirette di raccolta fondi messa in campo dalle lobby israeliane sono virtualmente ed inequivocabilmente focalizzate a fermare BDS, come l’iniziale, attuale, programma prioritario dimostra. E’ estremamente palese. E’ l’obiettivo numero  uno.

Domanda:  “Israele e le sue lobby americane vogliono una politica non alla luce del giorno un presidente che mai apertamente   critica  gli insediamenti israeliani in Palestina,  che ha fornito miliardi in aiuti  e supporto diplomatico  nel consesso dell’ONU”

Ma gli Americani sono ambivalenti .Quando gli abbiamo sottoposto un sondaggio sul BDS   il 60% né supporta né si oppone alle  leggi riguardanti l’organizzazione , il 21%  si oppone ad esse e il 18% le approva. Quindi gli americani non seguono BDS, non sono estremamente in sintonia con esso , non concepiscono  nemmeno    l’idea    di un singolo centro di potere che fa pressioni su un solo paese straniero.

Quella che segue penso sia la più importante indagine  del sondaggio perché ci porta nel cuore dell’intero meccanismo per il quale le lobby  hanno  accumulato una così grande influenza nell’orientare campagne di finanziamento. Il fatto è questo. Il  sistema parte  dalla selezione di candidati  cui finanziare la campagna elettorale,  raccogliendo fondi   attraverso l’azione spesso poco chiara di alcuni  comitati . Ciò allo scopo di  eleggere politici   impegnati   ad   assicurare leggi pro Israele  e a favore dei più grandi finanziatori israeliani . Janet McMahon e due  primari membri del congresso, parleranno di questo, ne sono sicuro.

Il 71% degli Americani non approva questo sistema .

Probabilmente non sanno perché i lobbisti per Israele non parlano lungamente di armi e diplomazia per il loro Paese. Parlano del mantenimento  delle relazioni privilegiate fra Stati Uniti ed Israele e c’è una ragione legale per questo. I lobbisti per  Israele, compreso un veterano  come Abrham Feinberg e il fondatore di AIPAC  Isaiah Kenen, nei loro scritti e nei loro discorsi erano molto più franchi all’inizio. Loro affermavano onestamente  che il loro obbiettivo erano le armi, i soldi e supporto diplomatico perché Israele ne aveva bisogno. Non c’era alcuna dichiarazione sul perché l’America avesse bisogno di Israele.

AIPAC ha indirettamente ricevuto   soldi per iniziare a lanciarsi e oggi lo stretto coordinamento con il governo d’Israele è ancora in atto. Ma il quadro delle pubbliche relazioni è mutato. Ora c’è l’unico obiettivo di preservare interessi speciali e  valori comuni. Dal 1970 non ci si è posti alcun problema su cosa le lobby facessero. Il Dipartimento di Giustizia smise di indagare se alcuni di questi attori  fossero agenti  segreti stranieri  e quindi  trattarli  come tali . E fino a quell’anno un numero crescente di indagini per spionaggio sull’AIPAC  e anche sull’ADL furono avviate , ma poi tranquillamente insabbiate  senza alcun giustificabile motivo. Il 1970 infatti fu l’ultimo anno in cui il Dipartimento di Giustizia  trattò le lobby di Israele come possibili componenti dei servizi segreti. Ci furono nel 1962 e 1963 echi clamorosi  su richieste all’IRS (Internal Revenue Service, dipartimento per il  controllo fiscale ndr ) di verifica del  loro status di esenzione fiscale, ma nulla accadde.

Naturalmente gli Americani sembrano approvare un ritorno a quei tempi più autentici  quando gli agenti segreti stranieri erano costretti ad adeguarsi a leggi di trasparenza e non godevano di un potere maggiore rispetto al congresso e agli eletti . Il 66%  delle persone coinvolte in questo sondaggio  si sono dichiarati favorevoli al ripristino di un sistema di norme funzionale a disciplinare queste problematiche.

Forse ciò è emerso per opera  di  un coraggioso tipo di   giornalismo investigativo che ha indagato  sul coordinamento delle lobby con i funzionari di governo israeliani, i quali  stanno ancora usando tutti i mezzi ,compreso  quelli segreti, per vincere. Fra essi  è compreso il tentativo di modificare i trattati sul  nucleare stipulati dall’amministrazione Obama  con l’Iran, JCPOA, accolti con favore  dalla maggior parte di Americani  ma inviso ad Israele e alle sue lobby.

Quindi , grazie ad un giornalismo efficiente è emerso  il  controllo che il governo Israeliano ha esercitato  sui negoziati con l’Iran,  è risultato chiaro come questo si sia  offerto di fare tutto quanto fosse necessario verso singoli membri  del Congresso affinchè  essi  si opponessero   alla approvazione di JCPOA , impegnando l’intero principale establishment:  lobby israeliane-AIPAC-, l’ADL , L’AJC (American Jewish Committee)  unito  nell’opporsi all’ accordo.

Quindi, in conclusione, una solida maggioranza dell’elettorato americano,  ritiene  che gli aiuti americani ad Israele siano veramente troppi.  In verità non approvano nemmeno i mezzi con cui le lobby  hanno ottenuto ciò che volevano , i fondi, gli impegni unilaterali americani pronti ad essere mantenuti. Ovviamente è una maggioranza passiva . Nessuna di queste opinioni o punti di vista si è recentemente tradotta, salvo poche eccezioni,  in azioni dirette da parte dei membri del Congresso.  Per cui solo attraverso un’opposizione attiva , non  passiva,  che chiaramente oggi sta venendo fuori sarà possibile  rendere  gli Americani capaci di convincere il loro governo a tornare a rappresentare i propri interessi . Solo con l’aiuto di    indagini chiare, movimenti di opinione, sondaggi , solo operando serie ricerche  sui programmi delle lobby di Israele e su cosa gli Americani pensino della questione, noi saremo in grado di instaurare un processo che prenda il volo  e diventi virale, e  parlare in modo da convincere  più Americani  ad uscire dalla loro passività e iniziare ad diventare partecipanti attivi, ancora una volta verso il loro governo.


 tratto dal rapporto di Washington sugli affari in Medio Oriente.



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