Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

mercoledì 24 gennaio 2018

L'ordine liberista devasta la poesia e coltiva la barbarie

Luciano Granieri


Dopo Auschwitz non è più possibile la poesia” questa frase fu scritta dal filosofo tedesco  di origine ebraica Theodor W. Adorno nel 1949, poco dopo il suo ritorno in Germania dall’esilio americano. Egli precisò meglio il senso della   frase sostenendo che:  La critica della cultura si trova dinanzi all’ultimo stadio della dialettica di cultura e barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie”  Molti considerarono queste esternazioni come la resa  degli intellettuali del tempo, sconfitti  dal nazismo e dalla cultura di massa  entro la  quale questo si era generato. Su questa posizione così perentoria lo stesso filosofo ritornò nel 1966, ammettendo di aver esagerato. 

  Leggendo le parole di Adorno, non posso fare a meno di riconsiderare oggi la dialettica cultura-barbarie con un focus particolare sulla cultura di massa. Dal dopoguerra, in particolare dalla ratifica della Costituzione,  si avviò  faticosamente un processo  finalizzato al rispetto dei principi di eguaglianza. Attraverso un percorso accidentato, disseminato di ostacoli ,fermate improvvise, si era arrivati, alla fine degli anni ’70, ad una evoluzione  culturale delle masse orientata verso una   democrazia, magari incompleta , ma comunque consolidata. Basata  sulla   parità di accesso a quei  diritti inviolabili necessari al  pieno sviluppo della persona umana.  

A questa evoluzione, oltre all’impegno delle istituzioni scolastiche pubbliche e degli intellettuali, contribuirono  anche i partiti, o almeno certi partiti,  allora strumento reale e  funzionale alla   partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese.  Uno dei massimi risultati di questo percorso fu  l’ottenimento da parte dei lavoratori di 150 ore retribuite , non solo per seguire corsi di formazione legati all’occupazione, ma  anche  per istruirsi  e  ottenere quei titoli di studio che non avevano potuto conseguire prima di accedere al lavoro in fabbrica. Corsi di inglese, italiano, storia, cineforum ed altre attività culturali erano compresi  in questo tempo retribuito.  

Come si vede, bene o male,  le intere dinamiche sociali erano indirizzate alla promozione culturale delle masse. Poi, al principio degli anni ’80 del secolo scorso,  tutti gli attori in campo , a cominciare dagli intellettuali , abdicarono ad un pensiero unico , all’ineluttabile egemonia culturale del mercato. Non più solidarietà, ma individualismo, non più condivisione ma prevaricazione.  Si è avviato  un progressivo ma inesorabile degrado culturale  delle masse che,  intaccando il principio di eguaglianza, ha determinato il disfacimento di quell’embrione di democrazia  che pure aveva iniziato a vivere nella nostra società. 

 Oggi ci troviamo di fronte al trionfo della diseguaglianza, per cui l’1% della popolazione mondiale possiede il 90% delle ricchezze globali, lasciando al restante 99% una degradante lotta per la sopravvivenza. In particolare il rapporto Oxfam rivela che in Italia una èlite del 20% possiede il 66% della ricchezza  nazionale e il 60% dei più poveri è costretto a spartirsi il 14,8% delle risorse rimanenti.  Un fenomeno del genere, ormai consolidato ,sta trasformando la comunità.  Non più  entità composta da cittadini consapevoli, solidali  e attenti alla difesa dei propri diritti, ma   un agglomerato  , dove pochi padroni hanno asservito ai loro capricci   una moltitudine (massa?) di schiavi e, fra questi, alcuni sfogano la rabbia per la loro vita servile contro altri derelitti come loro. Risentimento, violenza, indifferenza, schiavismo, questi sono gli  elementi che contraddistinguono culturalmente le masse di oggi. 

Si è tornati cioè al predominio della barbarie sulla cultura. Quello  scenario che   indusse Adorno, nel 1949, ad affermare che   dopo le barbarie di Auschwitz  non era  più possibile la poesia.  Invece la poesia è necessaria, come ogni forma d’arte, perché è diffusione di passione di sentimento, di creatività, di ideali,  di solidarietà,  tutto quanto serve cioè a prendere coscienza di  come sia  importante  l’essere e non l’avere. Ma i poeti ,si sa, sono pericolosi e allora è meglio zittirli con nuove diffuse e sotterranee Auschwitz.  C’è qualcuno disposto a spendersi  per la libera  espressione della poesia, della musica, della pittura, del teatro,   affinchè queste non soccombano alla barbarie di nuovi olocausti liberisti?  

Se ci sono persone disposte a combattere questa battaglia è bene che si sveglino   comincino a lottare.  Diamoci da fare perchè è  già troppo tardi.

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