Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 12 aprile 2018

La Roma ai confini della realtà

Matteo Bartocci


I giallorossi rovesciano storia e pronostici ed eliminano il Barcellona delle stelle dalla Champions. Una notte magica in campo e sugli spalti. Dopo 34 anni la squadra capitolina torna in semifinale, per uscire ancora una volta dalla «prigionia del sogno»

Non sa nulla di calcio chi sa solo di calcio, diceva Mourinho. E infatti l’eliminazione del super Barcellona da parte della Roma nei quarti di finale di Champions League somiglia più a una favola che a una partita di pallone.
D’altra parte il Barcellona è un microcosmo che si autodefinisce «més que un club», più di un club, e la notizia della sua caduta fa il giro del mondo.
Roma ieri ha dormito poco. Caroselli fino all’alba e il presidente americano Jim Pallotta che nella notte fa letteralmente il bagno tra folla e fontane di piazza del Popolo circondato da tifosi in delirio (ieri il manager di Boston ha detto alla sindaca Raggi che pagherà i 450 euro di multa e ne donerà altri 230mila per il restauro della fontana del Pantheon).
UNA FAVOLA ANCHE perché i marcatori della vittoria, De Rossi e Manolas, sono gli autori dei due sfortunatissimi autogol dell’andata al Camp Nou.
Una favola perché una partita così, contro una squadra così, la Roma non l’ha mai giocata in tutta la sua storia.
È la vecchia favola di Davide contro Golia. Del debole che vince contro ogni pronostico.
Ma stavolta la vittoria non è frutto di astuzia, episodi o di italico stellone. Tantomeno di «catenaccio».
Il tre a zero che rovescia il 4-1 subìto a Barcellona è una vittoria rotonda, sul campo, voluta e studiata a tavolino dal team di Di Francesco, con icone mondiali come Messi (cinque volte pallone d’oro) e Iniesta che lasciano il campo a testa bassa diventando comuni mortali.
Forse bastava vedere lo svogliato riscaldamento prepartita dei blaugrana a far capire ai sessantamila dell’Olimpico che la serata non sarebbe finita come (quasi) tutte le altre della storia giallorossa.
 Perché la palla una cosa certamente non sopporta, chi la tratta con sufficienza e chi pensa che ogni finale sia scritto prima di giocarlo.
«QUESTA VITTORIA CONSENTE ai tifosi romanisti di allontanare un incubo e uscire dalla prigionia del sogno». Era l’8 maggio 1983. E Dino Viola – lo storico presidente della Roma di Liedholm, Falcao, Pruzzo, Conti e Di Bartolomei – sintetizzò in questa frase il sentimento della «città eterna» di fronte al secondo scudetto dopo quello del ’42.
Nel bellissimo documentario su di lui girato da David Rossi, Paulo Roberto Falcao dice proprio questo di Roma: «Roma è diversa. L’ho capito subito appena arrivato. C’è tanta sete di speranza.
Per vincere qui devi fare tante cose, ma soprattutto devi pensare in ogni partita che c’è una marea di gente che aspetta».
Perché il tifoso romanista le vittorie le conta in decenni. E sono passati ben 34 anni, era proprio quella Roma lì, da quando la capitale ha visto la sua squadra alle semifinali di Coppa dei campioni.
Anche i bei sogni hanno le sbarre se non diventano realtà. Stavolta no. Da tutto il mondo, del calcio e non, giungono complimenti ai giallorossi. Politici, artisti e migliaia di persone mandano filmati e messaggi.
Sembra la vittoria di tutti.
«Romantada» titola in spagnolo maccheronico il francese l’Equipe.
Avversari storici come Juve, Milan, Inter e Fiorentina festeggiano un risultato celebrato come una rivincita dell’Italia esclusa dal mondiale. Un ritorno della serie A sui campi che contano.
«Contro una formazione che viene riconosciuta come fra le più forti al mondo, se non la più forte, ribaltare un risultato così è la vittoria di tutto il calcio italiano», assicura il presidente del Coni Giovanni Malagò.
EPPURE FINO AL FISCHIO di inizio nessuno o quasi dei sessantamila romanisti sugli spalti scommetteva davvero nell’impresa. Forse solo Eusebio Di Francesco dalla panchina, con un cambio tattico spregiudicato, sperava di trasformare l’impossibile in realtà.
Ma è stata festa subito, che sarà sarà. E tra squadra e tifosi è scattata la scintilla. La curva è stata fino all’ultimo secondo e oltre il dodicesimo in campo, come testimonieranno poi in televisione i ringraziamenti ai tifosi di De Rossi, Dzeko, Florenzi, Manolas e Nainggolan.
Inevitabili i caroselli nella notte in particolare a Testaccio, il rione di nascita della squadra giallorossa. Un trionfo che si è protratto fino alla giornata di allenamento, con i tifosi fuori dal centro sportivo.
«Ho preso schiaffi ma ho saputo sempre reagire. Ora continuiamo a sognare», dice Di Francesco tra i selfie, pensando ai pochi giorni di vigilia del derby con la Lazio.
IL FUTURO EUROPEO è tutto da scrivere. Tra le possibili semifinaliste, le menti di tutti i giallorossi vanno al Liverpool, che ieri ha eliminato il Manchester City.
Quel Liverpool che una notte assurda di trentaquattro anni fa alzò la «coppa dalle grandi orecchie» proprio contro la Roma all’Olimpico vincendo ai rigori.
Batterlo è un sogno che prima o poi dovrà diventare realtà.
«Improbabile significa soltanto che può succedere»Federico Fazio


Di solito quando un post  è ripreso da altro organo di stampa, segnalo la fonte. Cioè il giornale che lo ha pubblicato. Ebbene, l'articolo qui sopra non è de "Il Romanista" nè del Corriere dello Sport", nè della rivista "La Roma" nè di altro giornale sportivo, bensì......udite udite! è tratto da "Il manifesto" di oggi. Un giornale che ancora pone la dicitura "comunista", sul titolo. Anche se, diciamolo, di comunista nel quotidiano non è rimasto molto. Ma questa è un'altra storia. Certo che se, in un periodo in cui  spirano forte i venti di guerra dalla Siria , impazza l'inconcludente  consultazione dei partiti davanti al Presidente della Repubblica per provare ad inventarsi un governo, un giornale tutt'altro che sportivo dedica una pagina alla Roma, significa che siamo in presenza di un'impresa vera quasi quanto la presa del Palazzo d'Inverno. E poi, la Juve ci finirà mai sulle pagine de "Il manifesto" quotidiano comunista?
Luciano Granieri 


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