Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 25 giugno 2019

Cinquant'anni di AEOC Art Ensemble of Chicago

Luciano Granieri



“ L’America ha radici profonde nella cultura nera: le sue espressioni di gergo, il suo umorismo, la sua musica . Quale ironia che il nero- che più di ogni altro ha il diritto  di rivendicare  come propria la cultura dell’America – sia perseguitato  e oppresso; che il nero , che nella sua stessa esistenza ha dato tanti esempi di umanità, sia ricambiato con un trattamento inumano”

Ciò è quanto il sassofonista Sonny Rollins scrisse nelle note di copertina di “Freedom Suite”. Album che incise nel 1958 per la Riverside insieme con Max Roach ed Oscar Pettiford. In realtà il testo comparve solo nella prima edizione del disco, fu poi rimosso nelle successive pubblicazioni. 

In effetti se andiamo a considerare le evoluzioni della musica jazz, dalle forme prejazzistiche, fino al free e oltre, ogni nuova espressione attinge e si genera dagli stilemi più radicati nella cultura nera. In ogni nuovo stile echeggia qualcosa di ciò che ha contraddistinto il linguaggio dei maestri  del passato, al netto delle manipolazioni commerciali operate per lo più dai bianchi. 

Come ogni forma culturale che si rispetti anche quella afroamericana, che Rollins identifica con la cultura americana tout court, impone che  si debba  partire dalle radici del passato per proporre anche la più ardita delle sperimentazioni. 

Gli Art Ensemble of Chicago sono il più fulgido esempio di questa dinamica. Il  gruppo  era fortemente connotato come  il profeta della musica free, ma spesso nei loro concerti partiva un caustico blues, o s’imponeva all’attenzione degli ascoltatori un pezzo  degli echi boogie woogie  o addirittura funky. 

Non è un caso che tre di loro, Joseph Jarman ai sax, Malachi Flavors al contrabbasso e Famoudou Don Moye alla batteria  apparivano sul palco   con il viso pesantemente truccato  come  monaci officianti atavici riti politeisti, erano  avvolti in  tuniche colorate e sgargianti per ribadire la propria origine africana. Gli altri due componenti, invece, vestivano diversamente. Lester Bowie, alla tromba, si esibiva indossando un camice  bianco da dottore e Roscoe Mitchell l'altro sassofonista,  suonava in   jeans    camicia, o maglietta, secondo il tipico  stile freak . 

Il  look dei cinque, dunque, mostrava la precisa genesi di quella cultura  nera che Rollins definisce autenticamente americana. Anche l’utilizzo degli strumenti, comprendente una vasta gamma di percussioni, fischietti, cimbali,  è testimonianza di una precisa provenienza e culturale.  

Oggi, a  cinquant’anni dalla loro  comparsa sulla scena, il gruppo è ancora in piena attività diffondendo indefesso il suo messaggio. Purtroppo tre di loro sono scomparsi    Lester Bowie,  Malachi Flavors  e più recentemente  Joseph Jarman . Ma Roscoe Mitchell  e Famoudou Don Moye continuano la storia di un gruppo (insieme a  Dudù Kouatè alle percussioni  -senegalese trapiantato da anni a Bergamo -  e  alla bassista Silvia Bolognesi ), il cui nucleo non si è mai disgregato. 

Mitchell-Bowie-Don Moye-Flavors-Jarman sono stati sempre insieme, magari allargando in alcune fasi  l’organico ad altri musicisti. Il loro messaggio politico e sociale passa anche da questa longevità nel condividere la propria esperienza artistica. Per  il gruppo musica e vita erano un tutt’uno. La collegialità degli AEOC si esprimeva fin dentro alle loro  singole vite. Condividevano tutto, passione, rabbia, gioia, tristezza,  ma anche e soprattutto identità e valori. 

Art Ensemble of Chicago era un vero e proprio “Collettivo” nell’accezione classica del movimentismo sociale radicale nato nel secolo scorso . La testimonianza di Silvia Bolognesi, bassista attuale del gruppo è illuminante da questo punto di vista : Mi raccontavano (Don e Roscoe nda)  che ognuno di loro cinque, fin da subito, insegnava agli altri nuove conoscenze musicali, a partire dai propri strumenti. Passavano le ore assieme a provare e suonare. La loro vita era la musica e viceversa. Ancora oggi provano sempre qualcosa di nuovo. Non si fermano. Vanno avanti. Noi più giovani rimaniamo a bocca aperta di fronte a tanta energia e creatività”. 

Dunque gli AOEC, non ci danno testimonianza solamente di un grande processo creativo e culturale, ma indicano inequivocabilmente quale sia la via per praticare intensamente un’esperienza collettiva efficace ed incisiva  nell’attività politica e sociale, dove  deve essere  sempre il noi a trionfare sull’io. 

Una lezione da apprendere  fin nei minimi dettagli per  molti movimenti sociali che spesso falliscono, o diventano insignificanti, proprio perché   c’è sempre qualcuno che vuole ergersi a protagonista, oppure si agitano fronde e correnti, tutti contro tutti perdendo di vista le motivazioni vere dell'agire insieme. 

Per festeggiare i cinquant’anni di attività i rinnovati AEOC hanno pubblicato un doppio CD “We Are on The Edge a 50TH Anniversary Celebration” per la “Juno Record . Un opera corale in cui a  Don Moye, Mitchell, Bolognesi e Kouatè si affiancano altri 13 musicisti. Un cd espressamente  dedicato  ai vecchi amici scomparsi Jarman, Flavor e Bowie, la cui testimonianza di fervore culturale e sociale rimarrà ben radicata nel tempo ad indicare la strada futura sia nel campo dell’arte che in quello della politica e della società.


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