Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 30 aprile 2012

Unesco e jazz: quando i diritti hanno swing

www.rivistasitiunesco.it

Il Jazz è capace di instaurare un dialogo rivoluzionario tra razze, religioni e classi sociali
«Il 30 aprile non festeggeremo il jazz per le eccellenze e i virtuosismi raggiunti dai suoi creatori ed esecutori. Non ci soffermeremo sulle modalità in cui personaggi come Charlie Parker e Thelonious Monk hanno saputo ispirare la narrativa di Julio Cortazar, né analizzeremo le influenze dei ritmi del jazz sulla prosa di Louis Ferdinand Céline o di Francis Scott Fitzgerald. Niente di tutto questo. Noi celebreremo la musica Jazz per la sua capacità del tutto unica -anche nel mondo della musica- di mettere in contatto e far dialogare tra loro culture diverse e per il carattere assolutamente rivoluzionario di questo dialogo, in grado di infrangere qualsiasi barriera di razza, religione, classe sociale».
Sono le parole di Giovanni Puglisi, presidente della Commissione nazionale italiana per l’Unesco, a commento dell’istituzione della prima Giornata internazionale della musica jazz, fissata appunto per il 30 aprile. Queste perché, secondo l’emanazione dell’Onu, il jazz è «Uno strumento di sviluppo e crescita del dialogo interculturale volto alla tolleranza e alla comprensione reciproca». E in effetti, sebbene non sia stato un percorso facile e privo di ostacoli, il jazz è stato tra gli strumenti utilizzati dal popolo afroamericano per conquistare i diritti più elementari negli Stati Uniti della prima metà del Novecento.
Un razzismo latente di fondo si celava già nel pensiero che gli afroamericani degli esordi del jazz suonassero completamente a orecchio, senza la minima consapevolezza delle note, dell’armonia. Peraltro uno dei geni assoluti, forse il genio assoluto, colui che ha permesso lo sviluppo del jazz così come lo conosciamo, Louis Armstrong, non ha mai fatto nulla per smentire questa falsa convinzione. Non l’ha mai detto esplicitamente, ma il suo pensiero potrebbe “suonare” così: «Cari bianchi, siccome sono nero e sono del Sud, avete bisogno di pensare che io sia troppo pigro e ignorante per poter studiare la teoria musicale, l’armonia, la composizione? Bene, allora lascerò intatta questa idea. Continuate pure a pensare che i miei assoli di tromba siano totalmente “improvvisati”, l’importante è che mi facciate suonare».
Tale idea è rimasta effettivamente radicata nel pensiero di molti, quasi tutti, fino a oggi. E invece si è scoperto che Armstrong, negli anni ’20 del secolo scorso, aveva depositato gli spartiti dei suoi assoli, talvolta anni prima di suonarli in pubblico e di inciderli su disco. E insomma, qualcuno ha dovuto ricredersi (molti devono ancora farlo) dalla convinzione che questi strani poco-più-che-selvaggi fossero dotati di un misterioso potere che permettesse loro, come per magia, di suonare esattamente le note nell’armonia, di andare a tempo, di inventare melodie anche molto complesse.
Poi il jazz è andato avanti, velocissimo, come il mondo che gli girava attorno. Si è spostato da New Orleans a New York, dove sono arrivati i bopper, quelli che negli anni ’40 suonavano (davanti a un pubblico di bianchi) una musica nuova, indiavolata, incomprensibile per i “non addetti ai lavori”. Un nome su tutti: Charlie Parker. Il jazz non era mai stata prerogativa degli afroamericani (altro mito da sfatare), ma questa nuova musica sì. Era la musica di una comunità, tanto che alcuni suoi esponenti, per provocazione, si esprimevano in improvvisazioni complesse e rapidissime dando le spalle al pubblico, indossando occhiali da sole, abbigliandosi in maniera riconoscibile, da bopper, appunto.
Poi, ancora, la riscoperta delle radici africane negli anni ’60, ma non è questa la sede per ulteriori approfondimenti. Basti sapere che nel frattempo il jazz si era diffuso in tutto il mondo, non poteva già più inquadrarsi come fenomeno “neroamericano”. Ormai era di tutti, vi attingevano a piene mani anche i grandi compositori del mondo classico. Era cresciuto al punto da rientrare nella definizione che oggi ne dà l’Unesco. E che ne dava anche un altro genio assoluto, John Coltrane: «Il jazz, se si vuole chiamarlo così, è un’espressione musicale; e questa musica è per me espressione degli ideali più alti. C’è dunque bisogno di fratellanza, e credo che con la fratellanza non ci sarebbe povertà. E con la fratellanza non ci sarebbe nemmeno la guerra».
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La nostra celebrazione
Luciano Granieri

Come appassionati di jazz non potevamo non accogliere con entusiamo l'iniziativa dell'Unesco. La nostra valutazione  personale dell'evoluzione jazzistica , forse diverge un po' dall'analisi musicale sociale e politica elaborata dall'UNESCO. Ma giustamente, questa è un occasione in cui gli aspetti stilistico musicali passano in secondo piano. Noi diamo il nostro contributo con una serie di nostri filmati che in modo molto sommario, ma speriamo incisivo  tracciano una linea dello sviluppo della musica Afroamericana nel corso del tempo.

Iniziamo con Oscar Peterson.
In termini cronologici, il brano postato non rispecchia lo storico temporale, ma in termini stilistici, Oscar Peterson, essendo allievo di Art Tatum, avendo suonando con Louis Armstrong e  facendo abbondante uso dello stile pianistico Boogie Woogie, proprio dei pianisti di jazz dei primi del '900, può a  pieno titolo rappresetnare il jazz degli albori, quello appunto dei mitici Jelly Roll Morton, Jay P. Johnsono, prima e Louis Armostrong dopo.




Sullo swing, il jazz  degli anni '30 preferirei sorvolare, non che Benny Goodmann o Glenn Miller non siano fantastici musicisti, ma sono l'emblema della mercificazione di un operazione musicale, culturale e sociale  rivoluzionaria. Ridurre questa straordinaria creatura a musica da ballo, può essere a livello di diffusione popolare importante, ma sicuramente è degradante a livello artistico. Meno male che poi è arrivato Duke Ellington ad aggiustare le cose rendendo giustizia creativa al jazz orchestrale. Passiamo dunque direttamente al mitico Charlie Parker e all'era del Be Bop. Per lo spirito creativo e virtuosistico comincia dall'alto sassofonista di Kansas City una grande storia musicale e sociale infinita . L'improvvisazione diventa il perno delle esecuzioni, il tema viene stravolto, quasi ignorato, il fluire delle note è talmente rivoluzionario che segnerà lo stile di vita di una intera generazione, quella beat generation che ha in Jack Kerouac uno dei suoi maggiori esponenti letterari. Il video che segue è una sequenza fotografica di una graphic novel dedicata alla vita di Parker, Assieme a Charlie ci sono il compagno di tante battaglie Dizzy Gillespie, Bud Powell, Max Roach e Charlie Mingus.



Nel ventennio dei '40 -'50 il Be Bop si è evoluto in diversi stili, la west coast, - propria dei musicisti bianchi in cui gli schemi improvvisativi si combinavano con costruzioni armoniche più mediate, fraseggi puliti, privi di fronzoli, fra i jazzisti più rappresentativi possiamo citare Stan Getz, Paul Desdmond, Gerry Mulligan e l'immenso Chet Baker, -  e l'Hard Bop una estremizzazione del linguaggio improvvisativo del Be bop, nei cui germi già si intravedevano gia i prodromi del Free. Di questo stile proponiamo due video. Uno di Freddie Hubbard, e l'altro di un fantastico quartetto composto da Herbie Hancock al pianoforte, Pat Metheny alla chitarra, Dave Holland al basso e il batterista preferito dal sottoscritto Jack De Johnette.





E passiamo agli anni '60 e '70, questa è un'era in cui il jazz diventa veramente strumento di lotta politica, la distruzione della scala sociale americana che vedeva le popolazione afroamericane soccombere in ogni aspetto della vita comune, rispetto ai bianchi, si esplica in una forma improvvisativa che abolisce e distrugge  ogni limite armonico. Non sono più necessarie sequenze di accordi a supportare un fraseggio sui può improvvisare partendo da una semplice scala e addirittura da una nota. Questa modalità fra l'altro viene contaminata da altri stili musicali come il rock. E' di questo periodo la rivoluzione del free jazz rock che ha come suo indiscusso protagonista Miles Davis, peraltro non nuovo a rivoluzioni stilistiche, a lui si deve l'evoluzione dell'Hard Bop nel Cool Jazz, ma qui non c'è spazio per approfondire questo tema. Tornando al Free jazz puro possiamo partire da John Coltrane, per passare ad Ornette Colemann, fino agli Art Ensemble of Chicago, questi sono solo alcuni caposcuola di questo stile che annovera fior di musicisti. Anche qui i contributi video sono due. Uno di McCoy Tyner , pianista storico di John Coltrane con uno straordinario Bobby Hutcherson al  vibrafono e l'altro di Miles Davis, con un potente Gary Bartz al sax tenore e soprano e un geniale Keith Jarrett.




Ma la storia non finisce qui. Oggi  molti giovani di talento assicurano a questo linguaggio musicale un futuro radioso. Il prossimo contributo video riguarda due giovani ciociari di grande talento, Matteo Nizzardo alle tastiere e Cristiano Coraggio alla batteria.  I dei jazzisti in erba  accompagnano uno dei migliori sassofonisti italiani ed europei, guarda caso anche lui ciociaro doc di Alatri. Mauro Bottini. Fino a quando il jazz avrà questo bacino di giovani artisti da cui attingere l'UNESCO potrà stare tranquilla.

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