Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 9 luglio 2015

Milton Friedman, Irving Fisher e la Grecia

Paul Krugman  fonte: http://znetitaly.altervista.org/


Continuo a essere stupito da quanti considerano l’alleggerimento del debito e la svalutazione come idee da radicali folli; naturalmente è ancor più importante che così tante persone influenti in Europa condividano questa ignoranza. Comunque, per la storia (e per mio personale riferimento futuro) ho pensato che sarebbe utile pubblicare ciò che Milton Friedman e Irving Fisher ebbero da dire a proposito del disastro greco.  D’accordo, non scrivevano specificamente della Grecia; Friedman scriveva nel 1950, Fisher nel 1933. Ma le loro analisi suonano più vere che mai.
Friedman, per cominciare (oh, ma perché non esiste in rete una copia digitale completa di questo?)
Se i prezzi interni fossero flessibili quanto i tassi di cambio, farebbe economicamente poca differenza se gli aggiustamenti fossero realizzati mediante modifiche dei tassi di cambio o da modifiche equivalenti dei prezzi interni. Ma questa condizione chiaramente non è soddisfatta. Il tasso di cambio è potenzialmente flessibile in assenza di interventi governativi per congelarlo. Almeno nel mondo moderno i prezzi interni sono fortemente non flessibili. Sono più flessibili al rialzo che al ribasso, ma anche in crescita non tutti i prezzi sono ugualmente flessibili. La mancata flessibilità dei prezzi, o i diversi livelli di flessibilità, si traduce in una distorsione delle correzioni in reazione a cambiamenti di condizioni esterne. Gli aggiustamenti prendono principalmente la forma di cambiamenti dei prezzi in alcuni settori e, in altri, principalmente di cambiamenti della produzione.
Il livello dei salari tende a essere tra i prezzi meno flessibili. In conseguenza un deficit incipiente che sia contrastato da una politica che consenta o forzi un declino dei prezzi, probabilmente produrrà piuttosto disoccupazione che, o in aggiunta a, una riduzione dei salari. La conseguente riduzione del reddito reale riduce la domanda interna di valuta estera con cui acquistare tali merci. In tal modo compensa il deficit incipiente. Ma questo è chiaramente un metodo molto inefficiente per adeguarsi a cambiamenti esterni. Se i cambiamenti esterni sono radicati e persistenti, la disoccupazione produce una costante pressione al ribasso di prezzi e salari fino a quando l’aggiustamento non sarà completato e la deflazione avrà compiuto il suo triste corso.
Questo vi dice tutto ciò che avete bisogno di sapere riguardo al perché la “svalutazione interna” è stata una strategia così costosa e perché la mancata iniziativa aggressiva iniziale della BCE per realizzare e se possibile superare l’obiettivo del 2 per cento di inflazione è stata uno dei maggiori fattori che hanno contribuito a questo disastro.
E ora Fisher sul perché l’austerità non è stata d’aiuto neppure sul debito:
E, viceversa, la deflazione causata dal debito si ritorce sul debito stesso. Ciascun dollaro di debito non rimborsato diventa un dollaro più pesante e se l’eccesso di indebitamento è sufficientemente elevato il rimborso dei debiti non può tenere il passo con la caduta dei prezzi che causa. In quel caso il rimborso si auto-sconfigge. Anche se diminuisce il numero dei dollari dovuti, può non farlo così rapidamente come aumenta il valore di ciascun dollaro dovuto. Allora lo sforzo stesso dei singoli di alleviare il carico del proprio debito lo accresce, a causa dell’effetto di massa della corsa a rimborsare in fretta ciascun dollaro dovuto. A quel punto abbiamo il grande paradosso che, propongo, è il principale segreto della maggior parte delle grandi depressioni, se non di tutte: quanto più i debitori rimborsano tanto più aumenta il loro debito. Quanto più la barca dell’economia s’inclina, tanto più tende a inclinarsi. Non tende a rimettersi dritta, bensì si capovolge.
La storia fondamentale della periferia europea – non soltanto della Grecia – è una storia di interazione velenosa tra Friedman e Fisher, che ha prodotto una sofferenza incredibile e contemporaneamente non ha ridotto il rapporto debito/PIL che anche nei primi della classe, come Irlanda e Spagna, è molto maggiore che all’inizio dell’austerità; il solo successo è consistito nel soffrire sufficientemente a lungo affinché alla fine ci fosse una qualche ripresa, che può essere rivendicata come discolpa.
La bizzarria dell’intera faccenda è come idee folli, congetturali come l’austerità espansiva siano divenute ortodossia, mentre applicare l’economia di Fisher e Friedman è divenuto eterodossia, al limite dello Chavismo.

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