La prossima vigilia di Natale, saranno trascorsi 20 giorni
da quando il popolo sovrano ha bocciato la riforma costituzionale
Renzi-Boschi-JP Morgan. Da allora, a seguito delle finte dimissioni di Matteo Renzi, il quale ha posto a capo del
suo governo il “prestanome” Gentiloni, si sono susseguite, in uno stucchevole continuum, analisi, giudizi, lamenti ed alti
lai.
Anch’io avrei due o tre cose da dire, ma mi permetto di rovesciare quadri
e prospettive. Punto primo: in termini di correttezza istituzionale le
dimissioni di Renzi non erano necessarie. Anzi, la modalità con cui si è concretizzata l’uscita di scena del dittatorello
di Rignano, sa di presa per il culo.
Renzi avrebbe potuto tranquillamente
continuare a guidare il Governo ma tenendo fede alla sentenza della Corte
Costituzionale 1/2014. Cioè, recependo come unico obbiettivo la definizione di una legge elettorale rispettosa
delle indicazioni emanate dalla Consulta, ed
andare a nuove elezioni.
Diverso sarebbe
il discorso se si volesse associare
l’ipotesi delle dimissioni alle attività governative. Ciò
potrebbe avere un fondamento plausibile.
Bisognerebbe però stabilire, su quali criteri l’esecutivo Renzi dovrebbe essere giudicato. Fuori
da ogni ipocrisia giova ricordare che dall’inizio degli anni ’80, con
l’affermazione delle teorie di Milton Friedman, della scuola di Chicago,
del Raeganismo-Tatcherismo, l’obbiettivo
dei capi di governo si è profondamente modificato. La necessità di assicurare l’interesse degli
azionisti, ha soverchiato l’obbligo di
soddisfare i clienti. Tradotto, l’impellenza di assolvere i diktat delle lobby
finanziarie, veri mandanti degli esecutivi, ha scalzato i tradizionale
impegni dei governanti, atti ad assicurare il benessere e la prosperità per i governati.
E’ sotto questa
luce che si deve stabilire se l’esecutivo Renzi abbia fallito, e
conseguentemente se le dimissioni siano
o meno giustificate. Partiamo
dalla legislazione sul lavoro che non è solo il jobs act. Il cuore di tutto
l’apparato è il decreto Poletti, trasformato nella legge 78/2014. In base a questo provvedimento -che conferma la possibilità, già prevista dalla
Fornero, di ricorrere al tempo
determinato senza specificarne i motivi – un contratto potrà essere rinnovato per 5 volte in 36 mesi. Il
che significa che un dipendente si troverà sulla graticola, ogni sette mesi,
pronto a rendersi schiavo pur di spuntare dal padrone il rinnovo della propria schiavitù. Il jobs act ha assicurato alle aziende oltre che la
libertà di licenziamento anche un bonus cash di 178milioni di euro. In più la
liberalizzazione dei voucher ha reso
legale la peggiore precarizzazione del rapporto lavorativo. Un dispositivo
straordinario per gli interessi delle grandi aziende, per lo più mascherato con
le finalità di aumentare l’occupazione.
Passiamo alle leggi sui servizi (decreto
sblocca Italia e decreti madia), una vera e propria manna per gli interessi
del capitale finanziario. La logica su
cui si basa l’impianto è la totale messa a disposizione del capitale
finanziario delle risorse necessarie alla sopravvivenza, i così detti beni comuni, a cominciare
dall’acqua. Da un lato si agevola la gestione
privata dell’erogazione idrica, delle fonti energetiche e dei trasporti,
dall’altro si ostacola fino a bloccarlo l’intervento degli enti pubblici sulla
gestione di tali servizi.
Altro regalo ai mandanti liberisti è la legge sulla
scuola impropriamente denominata “buona scuola”. La possibilità concessa al
privato di finanziare istituti pubblici, combinata con il conferimento dei pieni poteri ad un amministratore
delegato unico, identificato nella figura di un preside manager, distrugge
completamente la benché minima idea di scuola pubblica, qualitativamente decente
per tutti.
Per questi provvedimenti
Renzi e il suo Governo, avrebbero meritato lodi e una decisa conferma. Purtroppo
c’è il piccolo particolare, che tutto
ciò non passa al vaglio di consigli d’amminstrazioni compiacenti , ma deve soddisfare i requisiti di compatibilità costituzionale. Deve cioè
superare quel baluardo posto a salvaguardia dei diritti dei clienti-cittadini,
contro le prevaricazioni degli azionisti. Qui sta il fallimento del governo
Renzi.
Infatti la riforma costituzionale,
una legge elettorale distorsiva e manipolatrice della sovranità popolare -funzionali
a sminare il pieno dispiegarsi della
volontà degli azionisti, depotenziando, se non annullando, il potere decisionale dei clienti-cittadini -
sono state sonoramente bocciate dai clienti-cittadini medesimi e
dall’antivirus della Corte
Costituzionale.
Il jobs act, andrà
a referendum con concrete possibilità di
essere rigettato, la buona scuola è stata bocciata direttamente dall’improvvido
legislatore che l’ha concepita, ma ormai il guaio è fatto. La legge elettorale, sarà cassata dalla Consulta, i decreti Madia sui servizi
pubblici egualmente sono stati bocciati dalla Corte Costituzionale. Tutto il buono del governo Renzi è stato, o
sta per essere, annientato
dall’antivirus costituzionale a difesa dei diritti di tutti .
Ecco la
grande colpa di Renzi, quella di non essere riuscito a sottomettere il voto dei
clienti-cittadini a quello degli azionisti e dei consigli d’amministrazione. E
per questo il grande merito va a tutti noi che ci siamo battuti in difesa delle
prerogative costituzionali.
Per riassumere si può affermare che l’esecutivo
Renzi, oltre ad essere bocciato dai clienti-cittadini, non ha riscosso buone
credenziali neanche da parte degli azionisti. Dimissioni dunque?
Disgraziatamente no, perché in mancanza di tempi migliori anche i manager più
sprovveduti e sciagurati, cadono in piedi, percepiscono laute liquidazioni e
continuano a dispiegare il loro potenziale distruttivo , in altri scenari. Così come Alfano porterà il suo
fallimento dagli interni agli esteri e la Boschi farà danni come sottosegretario alla presidenza del
consiglio. Del resto se gli
amministratori pubblici devono essere equiparati ai manager questa è la
conseguenza ineluttabile. Non ce ne libereremo mai. A meno che non si metta in
campo un’ipotesi rivoluzionaria che riporti al centro la politica del bene
comune contro la tirannide del capitale finanziario.
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