Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 22 dicembre 2016

Manager politicanti.

Luciano Granieri




La prossima vigilia di Natale, saranno trascorsi 20 giorni da quando il popolo sovrano ha bocciato la riforma costituzionale Renzi-Boschi-JP Morgan. Da allora, a seguito delle finte dimissioni  di Matteo Renzi, il quale ha posto a capo del suo governo il “prestanome” Gentiloni, si sono susseguite, in uno stucchevole  continuum, analisi, giudizi, lamenti ed alti lai. 

Anch’io avrei due o tre cose da dire, ma mi permetto di rovesciare quadri e prospettive. Punto primo: in termini di correttezza istituzionale le dimissioni di Renzi non erano necessarie. Anzi, la modalità con cui  si è concretizzata l’uscita di scena del dittatorello  di Rignano, sa di presa per il culo. Renzi  avrebbe potuto tranquillamente continuare a guidare il Governo ma tenendo fede alla sentenza della Corte Costituzionale 1/2014. Cioè, recependo come  unico obbiettivo la  definizione di una legge elettorale rispettosa delle indicazioni emanate dalla Consulta, ed andare a nuove elezioni.  

Diverso sarebbe il  discorso se si volesse associare l’ipotesi delle dimissioni alle attività governative.  Ciò  potrebbe avere un fondamento plausibile.  Bisognerebbe però stabilire, su quali criteri  l’esecutivo Renzi dovrebbe essere giudicato. Fuori da ogni ipocrisia giova ricordare che dall’inizio degli anni ’80, con l’affermazione delle teorie di Milton Friedman, della scuola di Chicago, del  Raeganismo-Tatcherismo, l’obbiettivo dei capi  di  governo si è profondamente modificato.  La necessità di assicurare l’interesse degli azionisti, ha soverchiato l’obbligo  di soddisfare i clienti. Tradotto, l’impellenza di assolvere i diktat delle lobby finanziarie,  veri  mandanti degli esecutivi, ha scalzato i tradizionale impegni dei governanti, atti ad assicurare  il benessere e la  prosperità per i governati. 

E’ sotto questa luce che si deve stabilire se l’esecutivo Renzi abbia fallito, e conseguentemente se le dimissioni siano  o meno giustificate.  Partiamo dalla legislazione sul lavoro che non è solo il jobs act. Il cuore di tutto l’apparato è il decreto Poletti, trasformato nella legge 78/2014.  In base a questo provvedimento  -che conferma la possibilità, già prevista dalla Fornero, di ricorrere  al    tempo determinato senza specificarne i motivi – un contratto potrà  essere rinnovato per 5 volte in 36 mesi. Il che significa che un dipendente si troverà sulla graticola, ogni sette mesi, pronto a rendersi schiavo pur di spuntare dal padrone il rinnovo   della propria schiavitù. Il jobs act  ha assicurato alle aziende oltre che la libertà di licenziamento anche un bonus cash  di 178milioni di euro. In più la liberalizzazione dei voucher  ha reso legale la peggiore precarizzazione del rapporto lavorativo. Un dispositivo straordinario per gli interessi delle grandi aziende, per lo più mascherato con le finalità di aumentare l’occupazione. 

Passiamo alle leggi sui servizi (decreto sblocca Italia e  decreti madia),  una vera e propria manna per gli interessi del capitale finanziario.  La logica su cui si basa l’impianto è la totale messa a disposizione del capitale finanziario   delle risorse necessarie alla sopravvivenza,  i così detti beni comuni, a cominciare dall’acqua. Da un lato si agevola la gestione  privata dell’erogazione idrica, delle fonti energetiche e dei trasporti, dall’altro si ostacola fino a bloccarlo l’intervento degli enti pubblici sulla gestione di tali servizi. 

Altro regalo ai mandanti liberisti è la legge sulla scuola impropriamente denominata “buona scuola”. La possibilità concessa al privato di finanziare istituti pubblici, combinata con  il conferimento  dei pieni poteri ad un amministratore delegato unico, identificato nella figura di un preside manager, distrugge completamente la benché minima idea di scuola pubblica, qualitativamente decente per tutti. 

Per questi provvedimenti  Renzi e il suo Governo, avrebbero meritato lodi e una decisa conferma. Purtroppo  c’è il piccolo particolare, che tutto ciò non passa al vaglio di consigli d’amminstrazioni compiacenti , ma  deve soddisfare  i requisiti  di compatibilità costituzionale. Deve cioè superare quel baluardo posto a salvaguardia dei diritti dei clienti-cittadini, contro le prevaricazioni degli azionisti. Qui sta il fallimento del governo Renzi.   

Infatti la riforma costituzionale, una legge elettorale distorsiva e manipolatrice della sovranità popolare -funzionali a  sminare il pieno dispiegarsi della volontà degli azionisti, depotenziando, se non annullando,  il potere decisionale dei clienti-cittadini - sono state sonoramente bocciate dai clienti-cittadini medesimi e dall’antivirus  della Corte Costituzionale.

 Il jobs act, andrà a referendum con concrete  possibilità di essere rigettato, la buona scuola è stata bocciata direttamente dall’improvvido legislatore che l’ha concepita, ma ormai il guaio è  fatto. La legge elettorale, sarà cassata  dalla Consulta, i decreti Madia sui servizi pubblici egualmente sono stati bocciati dalla Corte Costituzionale.  Tutto il buono del governo Renzi è stato, o sta per essere, annientato  dall’antivirus costituzionale a difesa dei diritti di tutti . 

Ecco la grande colpa di Renzi, quella di non essere riuscito a sottomettere il voto dei clienti-cittadini a quello degli azionisti e dei consigli d’amministrazione. E per questo il grande merito va a tutti noi che ci siamo battuti in difesa delle prerogative costituzionali. 

Per riassumere si può affermare che l’esecutivo Renzi, oltre ad essere bocciato dai clienti-cittadini, non ha riscosso buone credenziali neanche da parte degli azionisti. Dimissioni dunque? Disgraziatamente no, perché in mancanza di tempi migliori anche i manager più sprovveduti e sciagurati, cadono in piedi, percepiscono laute liquidazioni e continuano a dispiegare  il loro potenziale distruttivo , in altri scenari. Così come Alfano porterà il suo fallimento dagli interni agli esteri e la Boschi farà danni come  sottosegretario alla presidenza del consiglio.  Del resto se gli amministratori pubblici devono essere equiparati ai manager questa è la conseguenza ineluttabile. Non ce ne libereremo mai. A meno che non si metta in campo un’ipotesi rivoluzionaria che riporti  al centro la politica del bene comune contro la tirannide del capitale finanziario.

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