Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 22 dicembre 2018

Freddie Hubbard come nasce il blues da un effetto larsen.

Luciano Granieri



Roma teatro Olimpico, siamo all’inizio degli anni ’80 ,( inverno 81 o ’82) non ricordo bene. Grande serata di jazz.  Sul palco uno scintillante quintetto. Il trombettista ha appena finito una ballad, posa il suo flicorno vicino al microfono per prendere la tromba. Sta per portare il suo strumento alla bocca quando da un amplificatore esce un acuto effetto larsen. Lo strumentista   si blocca rimane per 10 secondi in una specie di trance  poi soffia nel suo strumento una nota uguale a quella del larsen , batte il quattro con il piede e  i musicisti che l’accompagnano si  buttano con lui in un blues mozzafiato. Improvvisazione pura nata sul fischio di un amplificatore. Questo è il blues, questo è il jazz . 

Il  trombettista in questione era il funambolico Freddie Hubbard, insieme a lui Harlod Land al sax tenore, Billy Child al pianoforte a alle tastiere, Larry Klein al basso , e l’incredibile Steve Houghton alla batteria. Ebbi occasione di vedere  Freddie Hubbard due volte in quegli anni, oltre che a Roma anche a Pescara,  ed ogni volta sono uscito dal concerto con un rinnovato amore per il jazz grazie alla sua  musica che mi era entrata  nel sangue, nelle ossa, in ogni cellula del mio corpo.  

Sono passati  dieci anni da quando Freddie ci ha lasciato, moriva infatti il 29 dicembre del 2008. Nella grande e variegata storia del jazz il trombettista di Indianapolis figura come il genio dell’Hard Bop. Uno stile nato negli anni ’50 come rilancio della creatività nera in contrasto al  revisionismo west coast bianco.

 L’Hard Bop si liberava dall’assillo tipico dei boppers di stravolgere l’armonia semplice delle canzonette di Brodway, anzi si liberava proprio dall’assillo dei giri armonici . Due o tre accordi al massimo, poi tanto blues e soul su cui costruire voli improvvisativi spericolati a volte più veloci e complessi di quelli suonati da Parker e compagni. 

Genio dell’Hard Bop dunque? Sicuramente ma è una qualifica molto riduttiva. Ornette Coleman  lo volle al suo fianco quando incise nel 1960 quel manifesto della new thing che fu “Free Jazz”, ma suonò anche con  Coltrane all’epoca di Ascension . Possiamo quindi affermare che Hubbard ebbe un ruolo preminente anche nella stagione del free jazz, sia quello più viscerale di Coleman che l’altro più spirituale di Coltrane. 

Sostituì un immusonito Miles Davis nel gruppo con Herbie Hancock, Wayne Shorter, Tony Williams, Ron Carter,dunque fu  linfa rivitalizzante del grande quintetto scoperto proprio  da Miles. Lo  ritroviamo alle prese  anche con il jazz-rock, il funky. Insomma un musicista poliedrico, dalla fiammeggiante verve improvvisativa  tecnicamente preziosa ed emotivamente coinvolgente. 

Insomma 10 anni fa è scomparso un musicista di cui gli appassionati di jazz sentono  ancora la mancanza  perché, al di la di ogni valutazione che si possa fare della sua arte, quando un trombettista riesce a suscitare  profonde emozioni da un semplice effetto larsen significa che è un grande musicista.


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