Roma teatro Olimpico, siamo all’inizio degli anni ’80 ,(
inverno 81 o ’82) non ricordo bene. Grande serata di jazz. Sul palco uno
scintillante quintetto. Il trombettista ha appena finito una ballad, posa il
suo flicorno vicino al microfono per prendere la tromba. Sta per portare il
suo strumento alla bocca quando da un amplificatore esce un acuto effetto larsen. Lo strumentista si
blocca rimane per 10 secondi in una specie di trance poi soffia nel suo strumento una nota uguale a
quella del larsen , batte il quattro con il piede e i musicisti che l’accompagnano si buttano con lui in un blues mozzafiato.
Improvvisazione pura nata sul fischio di un amplificatore. Questo è il blues,
questo è il jazz .
Il trombettista in
questione era il funambolico Freddie Hubbard, insieme a lui Harlod Land al sax
tenore, Billy Child al pianoforte a alle tastiere, Larry Klein al basso , e l’incredibile
Steve Houghton alla batteria. Ebbi occasione di vedere Freddie Hubbard due volte in quegli anni, oltre
che a Roma anche a Pescara, ed ogni
volta sono uscito dal concerto con un rinnovato amore per il jazz grazie alla
sua musica che mi era entrata nel sangue, nelle ossa, in ogni cellula del
mio corpo.
Sono passati dieci anni da quando Freddie ci ha lasciato,
moriva infatti il 29 dicembre del 2008. Nella grande e variegata storia del
jazz il trombettista di Indianapolis figura come il genio dell’Hard Bop. Uno
stile nato negli anni ’50 come rilancio della creatività nera in contrasto al revisionismo west coast bianco.
L’Hard Bop si
liberava dall’assillo tipico dei boppers di stravolgere l’armonia semplice
delle canzonette di Brodway, anzi si liberava proprio dall’assillo dei giri
armonici . Due o tre accordi al massimo, poi tanto blues e soul su cui
costruire voli improvvisativi spericolati a volte più veloci e complessi di
quelli suonati da Parker e compagni.
Genio dell’Hard Bop dunque? Sicuramente ma
è una qualifica molto riduttiva. Ornette Coleman lo volle al suo fianco quando incise nel 1960
quel manifesto della new thing che fu “Free Jazz”, ma suonò anche con Coltrane all’epoca
di Ascension . Possiamo quindi affermare che Hubbard ebbe un ruolo preminente
anche nella stagione del free jazz, sia quello più viscerale di Coleman che l’altro
più spirituale di Coltrane.
Sostituì un immusonito Miles Davis nel gruppo
con Herbie Hancock, Wayne Shorter, Tony Williams, Ron Carter,dunque fu linfa rivitalizzante del grande quintetto
scoperto proprio da Miles. Lo ritroviamo alle
prese anche con il jazz-rock, il funky.
Insomma un musicista poliedrico, dalla fiammeggiante verve improvvisativa tecnicamente preziosa ed emotivamente coinvolgente.
Insomma 10 anni fa è scomparso un musicista di cui gli appassionati di jazz sentono
ancora la mancanza perché, al di la di
ogni valutazione che si possa fare della sua arte, quando un trombettista
riesce a suscitare profonde emozioni da
un semplice effetto larsen significa che è un grande musicista.
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