Luciano Granieri Gruppo sanità Potere al Popolo Lazio
Ci
sono scene deprimenti che capita di vedere quasi
tutti i giorni alle quali, per quanto
siano frequenti, non ci si abitua mai. E’
il caso di ciò che avviene quasi ogni giorno nei pronto soccorso degli ospedali del Lazio, e di
tutta Italia. Basta recarsi in una di
queste bolge infernali per trovarsi di fronte ad un ingorgo di ambulanze ferme
in attesa che venga restituita la barella con cui hanno
trasportato il paziente.
Le barelle di
degenza sono cronicamente insufficienti
per cui spesso la lettiga dell’ambulanza viene trattenuta in pronto soccorso occupata dal paziente che
ha condotto. I corridoi sono stracolmi
di pazienti, chi su una lettiga , chi su una sedia, in attesa di essere presi in carico e trattati.
Donne e uomini in piena promiscuità gettati su un giaciglio, quando va bene,
sofferenti, con gli occhi in perenne ricerca di qualcuno con il camice addosso. Per non parlare della sale d’attesa piene di parenti spaesati e preoccupati.
Come detto lo scenario appena descritto è frequente ma non ci si abitua mai.
Ancora più disarmante , se possibile, è
la distribuzione del vitto. Come operatore del TDM-Cittadinanzattiva mi sono
trovato, mercoledì scorso, nel pronto
soccorso dell’Ospedale Fabrizio Spaziani di Frosinone proprio mentre veniva distribuito il cibo. Chi aveva la “fortuna?”
di stare sopra una barella poteva mangiare, ma stando bene attento a non far
cadere tutto a terra. Si sa le barelle non sono letti né ci sono comodini. Una volta completato il pasto il paziente doveva lasciare il vassoio, in attesa che
venissero a ritirarlo, in fondo alla lettiga rimanendo
seduto (o ci sta il vassoio o i ci stanno i piedi).
Peggio è andata a chi era
in attesa su una sedia, con il vassoio
sulle ginocchia facendo i salti mortali per non rovesciare tutto, soprattutto
la bottiglietta d’acqua .
Ma a qualcuno è andata ancora peggio. Un paziente
medicato per una ferita lieve, in
attesa di trovare una diversa
collocazione , ha dovuto lasciare la lettiga ad
altro paziente più grave . E’ rimasto in piedi. Sfido chiunque a mangiare in
piedi senza sapere dove mettere le vivande . Il ragazzo però non si è perso d’animo, ha appoggiato la parte
anteriore del vassoio sui corrimano fissati al muro, e stava provando a mangiare così.
Neanche il
più sfortunato derelitto costretto alla
mensa dei poveri rimane in piedi a
mangiare! Al pronto soccorso di
Frosinone accade anche questo.
Al di là delle tante considerazioni che
puntualmente chiamano in causa il numero sottodimensionato degli operatori
sanitari, la mancanza di barelle e di altre suppellettili, l’assenza totale, nonostante le tanto
strombazzate case della salute, di una medicina di prossimità che curi i
pazienti meno gravi senza intasare i pronto soccorso, ciò che salta agli occhi
è come uno quadro del genere rimandi ad un luogo in cui i pazienti vengono di
fatto privati di ogni dignità umana nonostante ,voglio sottolinearlo, il personale medico, infermieristico
si adopera in modo encomiabile. Anzi
anche i sanitari spesso sottoposti a turni insostenibili e a condizioni di
lavoro proibitive vengono, in qualche caso, privati della propria dignità professionale.
Ci troviamo di
fronte, non solo ad una carenza di cure, ma anche alla privazione della dignità umana. Quanto di più lontano da ciò che prevede il
Sistema Sanitario Nazionale del 1978. In nome del profitto della medicina
privata e dei sistemi assicurativi legati alla salute, non si può sacrificare
la dignità dei pazienti e degli
operatori che lavorano nelle strutture pubbliche. E’ inammissibile finanziare ed agevolare aziende private, quando i pronto
soccorso e gli ospedali sono privi degli
elementi necessari per andare avanti. Fare profitto sulla salute della
gente non solo è indegno, ma anche disumano.
Per questi motivi è necessario l’impegno
di tutti affinchè gli obiettivi posti dalla legge 833/78, ossia assicurare cure
di qualità per tutti i cittadini, indipendentemente dalle località di
provenienza, dal colore della pelle e dal censo, siano rispettati. Sono diritti sanciti nella Costituzione che nessun regionalismo differenziato può
destrutturare
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