Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 4 febbraio 2020

Festival di Sanremo

Luciano Granieri




Dal 1956 al 1965 il festival di Sanremo fu la prima manifestazione del genere con carattere continuativo mai organizzata in Europa. Ovviamente parliamo del festival  di jazz. Infatti in quei  dieci anni, grazie alla dedizione di Arrigo Polillo , Pino Maffei  insieme ad altri  appassionati,  poco prima della rassegna canora italiana, nello stesso teatro,  il salone delle feste del Casinò di Sanremo,  andava  in scena il festival jazz di Sanremo. 

Dalla città dei fiori passò  gente del calibro di Duke Ellington, Ella Fitzgerald,Oscar Peterson, Sidney Bechet,  Modern Jazz Quartet, i Jazz Messanger di Art Blakey, Bud Powell, “Cannonball Adderley”, Max Roach, Earl Hines, Chet Baker e molti altri ancora. A  riempire i cartelloni del programma anche il meglio del jazz italiano ed europeo.  Quando Polillo e  Maffei  misero in piedi la kermesse non avevano  grandi speranze sulla sua riuscita. 

La prima edizione  del 1956 partì con un modesto finanziamento da parte del Comune un milione e mezzo di lire. Con essi furono  pagati  ben 13 gruppi, ovviamente "pagati" è una parola grossa, è più corretto parlare di un semplice rimborso spese. I concerti iniziati il 28 gennaio di quell’anno  ebbero  come protagonisti quasi del tutto jazzisti italiani ma non per quello lo spettacolo ne risentì.  Del resto Franco Cerri,  Gil Cuppini,  il quintetto di Oscar Valdambrini  Berto Pisano erano musicisti favolosi. A spiccare il quartetto di Barney Wilen. 

L’anno dopo ,il 1957, vide il decollo della manifestazione con l’ingaggio di Sidney Bechet , forse il jazzista più popolare in Europa, accompagnato dall’orchestra di Andrè Rewelliotty. Di rilevo anche la performance di un allora sconosciuto Joe Zawinul, futuro tastierista dei Weather Report. A riempire il programma ancora  il meglio del jazz italiano di allora. Si passò molto disinvoltamente dal jazz d’avanguradia , presentato da un ottetto sperimentale guidato dal pianista Giorgio Gaslini, alla cantante Wilma De Angelis, la presenza di quest’ultima fu  ovviamente censurata dai puristi jazzofili molto critici con l’organizzazione. 

Niente paura.  Nel  1959 il Modern Jazz Quartet ammaliò gli appassionati.  Fu quella una grande edizione con   Il trio di Sonny Rollins, e il quintetto di Horace Silver.  A  far da contorno altri jazzisti di fama come  Tete Montoliu , il sassofonista baritono Lars Gullin.  Sonny Rollins ancora non aveva preso la decisione di ritirarsi sul ponte di Williamsburg , era in splendida forma  e suonò magnificamente . Ecco cosa scrisse  Giancarlo Testoni su “Musica Jazz” di quei concerti: “Siamo tornati dal festival  soprattutto con due immagini nella mente: quella di Silver, ingobbito, rattrappito e concentrato sulla sua tastiera, con la faccia sorridente e mite di un piccolo impiegato,  e l’altra di un Rollins, alto e membruto,  con l’aspetto malizioso di un diavolo dantesco, di quelli burloni che tutti ricordano”



Nel 1960 il produttore e critico Norman Granz omaggiò gli organizzatori con tutta la sua squadra dei migliori jazzisti di “Jazz at the Philarmonic”.  Ella Fitzegrald, il sestetto di Max Roach con i fratelli Turrentine e un trio strepitoso composto dagli inventori della ritmica Be Bop: Bud Powell al pianoforte, Oscar Pettiford al contrabbasso, Kenny Clarke alla batteria. Suonarono magnificamente il che non era scontato perché spesso in quel periodo  Bud Powell non era granchè lucido. Non mancò uno strabiliante Chet Baker la sua esibizione fu perfetta

Quella sera invece fu magico grazie anche al suo manager  francese Marcel Romano ,  che lo marcò stretto, come un arcigno difensore,  per le ore precedenti il concerto,  impedendogli praticamente di bere. Era prevista l’esibizione anche di Ornette Coleman che però diede forfait all’ultimo momento, un appuntamento rinviato di qualche anno. 

Da allora in poi il festival andò a gonfie vele. Nel 1963 fra un’esibizione di  Ella Fitzgerald, Oscar Peterson e  Roy Eldridge andò in scena la sfida a colpi di Hard Bop fra il sestetto di “Cannonbal” Adderley  - con  Nat Adderley alla cornetta, Yusef  Lateef al sassofono tenore, un imperioso Joe Zawinul al piano,  Sam Jones al contrabbasso , Louis Hyes alla batteria  - contro  i  Jazz Messanger di Art Blakey allora in una formazione stellare: Freddie Hubbard alla tromba, Wayne Shorter al sax tenore, Curtis Fuller al trombone, Cedar Walton al pianoforte, Reggie Workman al contrabbasso, oltre a Blakey alla battera. I ragazzi di  Blakey vinsero la sfida e ne furono orgogliosi tanto che Wayne Shorter ricordò quel contest per gli anni a venire. Comunque il sestetto di Adderley, pur sconfitto, sfoderò una performance maiuscola con Joe Zawinul sugli scudi. 



Nel 1964 Polillo e Maffei fecero di necessità virtù. Dal momento che  i soldi per ingaggiare l’intera orchestra di Duke Ellington non erano sufficienti, il Duca venne invitato ad esibirsi in ottetto. In questa formazione ridotta i vari Jonny Hodges, Harry Carney , Lawrence Brown, Paul Gonsalves,  veri pilastri dell’orchestra, ebbero modo, sollecitati da Ellington, di sfoggiare le loro doti solistiche. Ne  uscì un concerto stimolante. Fra l’altro la band ellingtoniana  si esibì al Teatro Ariston, luogo che decenni dopo sarebbe diventata la casa del festival canoro.   

Purtroppo la manifestazione jazzistica sanremese  fu sempre considerata dalle autorità cittadine una versione bastarda del festival di Sanremo vero e proprio. Non sopportavano che nella kermesse jazzistica non ci fossero né vincitori né vinti, che non ci fossero interessi economici da tutelare, era tutto alla luce del sole senza manovre sottobanco per favorire uno piuttosto che un altro. Fatto sta che iniziò un vero e proprio boicottaggio contro la creatura di Maffei e Polillo. 

Il giorno prima dell’ultima edizione svoltasi nel 1965 fu comunicato che il teatro era stato dichiarato inagibile perché non aveva un numero di uscita di sicurezza sufficiente. Uscite di sicurezza che magicamente tornarono conformi , senza che venisse effettuato alcun lavoro, poche settimane dopo per il festival della canzone.   Inoltre gli organizzatori dovettero anticipare il cachet ai musicisti perché i fondi  non arrivarono in tempo . Fortunatamente  ad artisti già presenti, si rese disponibile un teatro attiguo più piccolo per cui Oscar Peterson e il trio di Ornette Coleman  con  Dave Izenzon  e Charlie Moffet  oltre agli altri musicisti ingaggiati,  poterono esibirsi ugualmente.  

Fu la goccia che fece traboccare il vaso della pazienza  Arrigo Polillo e Pino Maffei i quali decisero di affondare la splendida macchina jazzistica che avevano creato. Da allora il festival del jazz di Sanremo smise le sue trasmissioni.  L’immagine di quell’ultima edizione rimanda ad un Ornette Coleman, alla prime sortite in Europa,   che girava per il red carpet di Sanremo ostentando un vistoso cappello a cilindro verde, suscitando lo stupore degli astanti e l’interesse dei fotografi.  Ma  ai giornalisti che gli chiedevano un’intervista Ornette  chiedeva regolarmente dei quattrini in cambio.
Lui si che aveva capito tutto.



Informazioni tratte dal libro "Stasera Jazz" di Arrigo Polillo (ed. Mondadori)


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