di Marco Veruggio
Direzione Nazionale Rifondazione Comunista
Dopo la decisione dei delegati FIOM alla ex Bertone di Torino di dare indicazione di voto favorevole all’ennesima proposta indecente di Marchionne giornali e televisioni hanno titolato ‘FIOM spaccata’, ‘Svolta nella FIOM’. Sono intervenuti uomini politici e cariche istituzionali. Gli unici a rimanere rigorosamente in silenzio – a conferma della propria totale inutilità – sono i partiti di sinistra, a partire dal mio. Ferrero che ogni giorno inonda agenzie di stampa e siti web con comunicati inutili su tutto ciò che succede sul globo terracqueo, evidentemente ritiene che la vicenda della ex Bertone sia meno importante delle interviste di Fabio Fazio a Raffaella Carrà. Mentre farebbe bene a riflettere sul fatto che è proprio a causa delle troppe parole spese inutilmente e dei troppi silenzi e delle troppe ambiguità su ciò che conta davvero che non solo Fazio, ma i lavoratori italiani e l’elettorato di sinistra pensano che Rifondazione Comunista non esiste più o, se c’è, è come se non ci fosse.
Non si tratta di difendere la FIOM, che non ne ha bisogno, o di dare le pagelle agli attori del dramma. Un partito politico dovrebbe essere in grado semmai di cogliere gli elementi di fondo di questa vicenda e trarne delle indicazioni. La contraddizione che emerge in questa vicenda non è il frutto delle scelte di Landini o della RSU, è una contraddizione oggettiva, di cui semmai le determinazioni soggettive degli attori in campo sono una conseguenza. Si può discutere se si poteva gestirla meglio o peggio, ma il punto è se da quella contraddizione si può uscire e come. Le critiche ultrasinistre nei confronti del gruppo dirigente nazionale della FIOM oltre che essere - a mio avviso – sbagliate non colgono questo elemento. Pensare che un’organizzazione sindacale possa prendere una decisione a prescindere dal clima che si respira in fabbrica significa non avere chiaro il ruolo di un’organizzazione sindacale. La ex Bertone non è né Pomigliano né Mirafiori, è una fabbrica molto più piccola, chiusa da anni, oggi in amministrazione controllata, dove la gente è in cassa integrazione e un operaio ha tentato il suicidio. Landini ha sempre riconosciuto che il merito della lotta a Pomigliano e a Mirafiori è stato in primo luogo dei lavoratori e dei delegati della FIOM, che hanno deciso di dire di NO a Marchionne. Questa osservazione vale anche nell’altro senso. Ci sono situazioni in cui lavoratori e delegati non sono in grado di reggere la pressione. Mandarli allo sbaraglio non significherebbe essere ‘più radicali’. La recente spaccatura tra i delegati FIOM alla FIAT di Melfi è un segnale a cui un gruppo dirigente non può impiccarsi, ma di cui non può non tenere conto. E d’altra parte vorrei ricordare che nei sindacati ‘complici’ di solito è la leadership nazionale che tende a neutralizzare le spinte più radicali della base e non il contrario e ben difficilmente chi firma brutti accordi annuncia contestualmente le dimissioni – come hanno fatto gli RSU della FIOM alla ex Bertone.
La vera contraddizione in cui si muove la FIOM è che, in una fase di polarizzazione sociale e nel vuoto pneumatico della sinistra, il suo gruppo dirigente è stato costretto a cercare di rompere l’isolamento accentuando il proprio profilo politico. Ma la vicenda della ex Bertone dimostra che a questo c’è un limite. La FIOM rimane un sindacato di categoria e – senza una sponda politica – non può resistere in eterno al tentativo di accerchiamento da parte di Governo, opposizione, Confindustria, CISL e UIL e della stessa maggioranza della propria confederazione. La sinistra politica, in tutta la vicenda FIAT, ha dimostrato ancora una volta di non saper andare oltre la pacca sulla spalla (quando le veniva comodo). A Torino SEL – dopo le dichiarazioni di Migliore (‘Se Fassino vince le primarie rispetteremo la disciplina di maggioranza’) – alle primarie non ha neanche presentato un candidato. La Federazione della Sinistra, dopo che il PD aveva deciso ‘Nessuna alleanza coi comunisti’ e la successiva timida riapertura di Fassino dopo le primarie, si è ritrovata per l’ennesima volta spaccata. Il PdCI premeva per accettare la scialuppa di salvataggio, il PRC era contrario. La mediazione raggiunta – accordi in tutte le circoscrizioni, merce di scambio la candidatura di un esponente del PdCI a Presidente della Circoscrizione di Mirafiori – è saltata, ancora una volta, perché è stato il PD a dire no. Ma è del tutto evidente che Ferrero e Diliberto non avrebbero fatto una grinza di fronte all’ipotesi di un accordo di qualche genere con chi aveva invitato i lavoratori delle Carrozzerie ad approvare il piano di Marchionne e oggi plaude alla presunta ‘svolta della FIOM’. Nel frattempo Lavoro e Solidarietà, braccio politico della lobby Patta-Nicolosi nella Federazione, dopo aver osservato un religioso silenzio su Pomigliano e balbettato qualcosa su Mirafiori, ritrova miracolosamente la favella. Prima una strisciante polemica ‘da sinistra’ rispetto agli accordi firmati dalla FIOM alla Electrolux e alla Piaggio, poi un comunicato di Augustin Breda di qualche giorno fa, in cui si accusa la FIOM ‘di avere sbandato tre volte sul caso FIAT e di essere finita fuori strada’ (mentre Nicolosi l’anno scorso ha sbandato una sola volta finendo nella segreteria nazionale della CGIL).
Se ci affidiamo a questi dirigenti della sinistra, che quando avrebbero qualcosa da dire tacciono e quando parlano fanno rimpiangere di non aver taciuto, è evidente che la domanda di rappresentanza politica del mondo del lavoro in Italia è destinata a rimanere inevasa. Ciò non significa che la partita sia persa, ma chi pensa che questo sia il nocciolo della questione – e sono tanti, tantissimi – deve capire che la soluzione non pioverà dal cielo e dunque bisogna prendere l’iniziativa e aprire una discussione, anche a costo di rompere la tradizione italiana di una rigida separazione tra sindacato e politica. Gli schemi valgono finché sono funzionali a trovare delle risposte nella situazione concreta a cui si applicano. L’esperienza della rivoluzione tunisina ci ha insegnato che – in assenza di una sinistra politica sviluppata (in questo caso per ragioni ben più comprensibili) – la più grande confederazione sindacale di sinistra può ritrovarsi a diventare un punto di riferimento politico di massa. In Gran Bretagna l’esperienza della RMT (che potremmo definire una piccola FIOM inglese) è per molti versi simile a quella italiana, con la differenza che ha prodotto un tentativo di aggregazione elettorale tra forze politiche e sindacali, pur scontando la debolezza della sinistra inglese. Senza pretendere di applicare ricette preconfezionate a situazioni differenti credo che bisognerebbe almeno cominciare a ragionarci sopra se non vogliamo rimanere fermi e perdere l’ennesima occasione di avere una sinistra degna di questo nome. Alla faccia dei lavoratori di Pomigliano, di Melfi e di Mirafiori.
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