Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 16 marzo 2012

siamo tutti qui

Giovanni Morsillo


Abbiamo lasciato trascorrere un tempo sufficientemente lungo e accumulare un quantitativo sufficientemente consistente di provvedimenti che consentisse un giudizio concreto e non un pregiudizio sulla situaizone politica generale del Paese. Al di là del Presidente Monti e dei suoi ministri, dei quali ognuno sa la provenienza, la formazione, l'appartenenza sociale, le inclinazioni culturali. Quello che emerge, e di cui alcuni dei principali capi politici si vantano, è una sostanziale ed effettiva omologazione degli interessi rappresentati nelle istituzioni, cosa che consente oggi di fare e disfare le regole dello Stato e dell'economia, ossia delle condizioni materiali di vita delle persone, sia quelle perbene che quelle finora considerate fuorilegge.
Il tempo trascorso dalla nomina di Monti, che sancisce non solo formalmente il passaggio da una democrazia rappresentativa (già in mora e sterilizzata precedentemente) ad un regime tecnocratico, che vuol dire che non si confrontano più idee diverse di società, ma solo tecniche e strumenti via via preferiti per realizzare l'unica opzione considerata lecita ha confermato le premesse con cui si affacciava alla scena. Insomma, l'ideologia dominante e condivisa da tutti i gruppi dirigenti, quella capitalistica, sgombrato il campo da ipotesi alternative e da una reale partecipazione anche solo consultiva delle masse, si attrezza per affrontare dal suo punto di vista indiscutibile ed indiscusso i nodi funzionali del sistema che sostiene. 
Un esempio chiarissimo - fra i mille altri - è dato dall'esito del vertice di ieri fra i capi del PDL, del PD e dell'UDC, i quali attraverso sfumature che garantiscano i rispettivi interessi aziendali nel mercato elettorale populista, non hanno faticato molto a trovare una sintesi operativa che possa realizzare gli obiettivi di classe di questo sistema. Non fanno certo mistero di condividere l'impianto generale della tesi capitalista, che danno addirittura per scontato, e al massimo discutono sul come. Naturalmente condendo tutto con una generosa dose di retorica democraticista, anche qui usando un linguaggio "nuovo", meno ricco, più asciutto, degno di un'idea efficientista, ammiccante e sbarazzina, che privilegi il risultato sul metodo, che non si faccia troppi scrupoli quando in ballo c'è il succo.
Che i giornali della borghesia titolino oggi che "a Palazzo Chigi ha prevalso la responsabilità" è comprensibile. Però, quel titolo può essere letto anche in un modo diverso: per noi lavoratori è chiaro che costoro siano i responsabili, ma del decadimento della funzione democratica delle Istituzioni! Quale sarebbe infatti il senso di responsabilità di chi si mette d'accordo per accelerare la demolizione dei diritti del lavoro e della società? Di chi, cioè, non spende una parola per ricordare che la precarietà, il caporalato legalizzato oggi ha a disposizione un mostro normativo che consente di utilizzare il lavoratore con assai maggior flessibilità e discrezionalità di una macchina a noleggio? E che nello stesso tempo concorda nuovo terrorismo sociale ai danni dei lavoratori introducendo il licenziamento a piacere dell'azienda, per di più monetizzandolo in puro stile filantropico? 
E' grave, ma è conseguenza logica dei decenni che abbiamo alle spalle, che molti Italiani accettino le tesi della politica responsabile come prova di senso dell'interesse generale, mentre con ogni evidenza serve a rafforzare interessi assai particolari e a trasformare nel contempo la natura stessa dello Stato da democrazia in oligarchia. Questo voler a tutti i costi sostenere che collaborare con l'avversario sia un elemento di maturità fa il paio, ovviamente, con la tesi della fine delle ideologie, in realtà non finite ma abbandonate dai gruppi dirigenti autoreferenziali che hanno occupato il potere attraverso marchingegni elettorali di selezione non rappresentativa.
Terminato il lavoro difficile di porre fine alla rappresentanza, di svuotare cioè di ogni contenuto partecipativo la democrazia, la strada è tutta in discesa: si può procedere spediti, e lo si sta facendo a passo di cavalleria, verso la ridefinizione della Repubblica da solidale e democratica in mercantile e di classe. L'introduzione del pareggio di bilancio obbligatorio a prescindere dalle condizioni egenrali dello sviluppo, insieme alla distruzione dei fondamentali (ossia non rinunciabili, non disponibili, non opzionali) diritti del lavoro quale elemento fondante della libertà dell'individuo e della società, sono una pietra angolare su cui è iniziata l'edificazione del nuovo sistema di relazioni. Non capire questo e continuare ad appellarsi alle illusioni di resistenza che può opporre la parte più avanzata della società (la Fiom, i magistrati, parte degli intellettuali, ecc.) non è solo un errore: è un chiaro sintomo di quello che ha prodotto negli ultimi trent'anni la fine del sistema dei partiti di massa: non nel senso di quelli con milioni di iscritti, ma di quelli dove gli iscritti avevano un ruolo. E questo perché quelle illusioni sono del tutto dentro alla logica della delega, non della partecipazione: l'idea berlusconista secondo cui c'è qualcuno che risolve per te. Qui inizia davvero una Seconda Repubblica, perché qui si cambia la sostanza della Costituzione, per di più senza una Costituente e senza nemmeno il parere del popolo.
Le donne, sempre avanti con il pensiero sociale e con la pratica solidale rispetto alla società nel supo complesso, pur fra mille e una contraddizioni e anche qui con non pochi abbagli, hanno però messo in moto un movimento che hanno chiamato "Se non ora, quando?" Ecco, se non ora, quando? Chi o che cosa aspettiamo per riprenderci il diritto di cittadinanza? Perché non discutiamo di questo nelle sedi politiche invece di attardarci sulla scelta di quale corrente sostenere? Possibile che non si esca dalla concezione leaderistica dell'organizzazione e non si riesca a rimettere i bisogni sociali e delle persone al centro invece dei voti e degli apparati di potere?

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