Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

mercoledì 15 gennaio 2014

La rivoluzione antiscientifica in macroeconomia

di Paul Krugman – 14 gennaio 2014 fronte: http://znetitaly.altervista.org/


Beh, ora sono a Dublino a ricevere il Premio James Joyce; la vita è interessante, anche se tenta a intralciare l’attività sul blog.
Ma ho pensato di riuscire a spremere un paio di minuti per parlare di qualcosa su cui ho riflettuto parecchio ultimamente: la notevole misura in cui gruppi potenti, compreso un discreto numero di economisti, hanno rigettato il progresso intellettuale perché disturba i loro preconcetti ideologici.
Ciò che fa venire in mente questo è il dibattito sull’estensione delle indennità di disoccupazione, che penso offra un momento istruttivo.
C’è una specie di visione standard di questo tema, basata più o meno su modelli keynesiani. Secondo questo punto di vista, un’assicurazione rafforzata contro la disoccupazione crea occupazione quando l’economia è depressa. Perché? Perché l’economia soffre in un inadeguato livello di domanda complessiva e le indennità di disoccupazione mettono denaro nelle mani di persone che probabilmente lo spenderanno, aumentando la domanda.
Si potrebbero, immagino, mettere insieme diversi argomenti contro questa affermazione, o almeno contro la saggezza di aumentare l’assicurazione contro la disoccupazione. Ci si potrebbe, ad esempio, preoccupare dei deficit di bilancio. Io sarei contro preoccupazioni simili, ma almeno sarebbe un confronto più o meno comprensibile.
Ma se si seguono i discorsi della destra – col che non intendo Rush Limbaugh bensì il Wall Street Journal ed economisti famosi come Robert Barro – si riscontra che l’idea che l’aiuto ai disoccupati possa creare occupazione è scartata come un’assurdità evidente. Pensi che si possa ridurre la disoccupazione pagando la gente perché non lavori? Ah ah ah ah!
Trascurando del tutto il fatto che chi ricorre a questo dileggio ha torto marcio e che tale messa in ridicolo ha avuto un effetto maligno sulla politica, pensate a che cosa rappresenta: è pari pari cestinare con noncuranza una delle scoperte più importanti fatte dagli economisti, uno dei maggiori titoli della mia professione per essere utile all’umanità.
Se leggete l’articolo di Barro, quello che costatate è un allegro rigetto dell’intera idea che le economie possano mai soffrire per un livello inadeguato di “domanda aggregata (le virgolette sono sue, non mie, intese a suggerire che si tratta di una nozione sciocca e bizzarra, in conflitto con “l’economia regolare”).
Se non fosse stato o per il Wall Street Journal o per persone come Barro, non avreste mai saputo perché l’economia regolare – l’economia della domanda e dell’offerta, eccetera – è inadeguata.
Ma, vedete, ci sono queste cose che chiamiamo recessioni. E se ritenete che l’economia regolare sia tutto quello che esiste, dovreste trovarle molto traumatizzanti.
Pensate, per esempio, alla Grande Recessione e al suo seguito. L’economia regolare dice che le economie dovrebbero diventare ogni anno più ricche, col crescere della loro forza lavoro e della loro scorta di capitale e i progressi della tecnologia. Ma dopo il 2007 gli Stati Uniti e altri paesi avanzati hanno fatto improvvisamente il contrario, diventando più povere invece che più ricche e anche per un esteso periodo di tempo:













E dunque epidemie hanno sterminato parte della manodopera? Le termiti si sono mangiate parte delle riserve di capitale? La tecnologia ha fatto marcia indietro? No, no, no. Quanto all’ultimo punto, nessuno ha notato che l’iPhone è stato introdotto nel 2007, e che l’intera rivoluzione degli smartphone e dei tablet è più o meno coincisa con un periodo di risultati economici orribili?
Dunque che cos’è successo? Keynes aveva una risposta: è in realtà possibile che le economie soffrano per una scarsità complessiva di domanda. Altri hanno detto cose simili, ma l’economia keynesiana ha posto ciò al centro e in primo piano.
Questa è stata realmente una rivoluzione intellettuale; davvero, anche se in generale io sono contrario alla pretenziosità scientifica, ha rappresentato una rivoluzione scientifica, qualcosa di simile alla tettonica a placche in geologia. Improvvisamente ciò che sembrava inspiegabile – che cosa solleva le catene montuose? Che cosa spiega periodi di regressione economica? – è divenuto comprensibile.
E, sì, la teoria ha fatto previsioni corrette, previsioni sorprendenti che chi non accettava la teoria ha considerato assurde fino a quando non si sono realizzate. Ho scritto molto a proposito di che cosa è successo (o, in realtà, non è successo) all’inflazione e ai tassi d’interesse. Tornate indietro al 2009 e leggete cosa andavano dicendo i soliti sospetti. Dici che la Fed può stampare grandi quantità di denaro senza causare inflazione? Dici che il governo può incorrere in grandi deficit senza spingere al rialzo i tassi d’interesse? Ah ah ah!
Ma ancor più chiara, in un certo senso, è la relazione tra spesa governativa e spesa privata. L’economia del lato della domanda afferma che in situazioni di depressione la spesa governativa non competerà con la spesa privata; in realtà una minor spesa governativa porterà anche a una minor spesa privata. Ah ah ah! Dopotutto il buon senso dice che il governo e il settore privato sono in competizione per risorse scarse. Salvo che se guardiamo all’eurozona, dove alcuni paesi sono stati costretti a una severa austerità mentre altri no, costatiamo questo:












Fatemi dunque sintetizzare: in economia abbiamo avuto una rivoluzione scientifica, una rivoluzione che ha accresciuto in misura spettacolare la nostra comprensione del mondo e ci ha anche dato una cruciale guida pratica riguardo a che cosa fare nelle depressioni. I contorni generali della teoria ideati nel corso di tale rivoluzione hanno retto estremamente bene di fronte all’esperienza, mentre quelli che rifiutavano la teoria perché non corrispondeva alla loro idea di buon senso si sono sbagliati in tutto e per tutto.
Tuttavia una vasta parte della dirigenza politica e di quella economica rifiuta sommariamente l’intera faccenda, perché non le piacciono le conclusioni.
Galileo piange.

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