Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 1 dicembre 2014

Quando il razzismo porta un distintivo

Keeanga-Yamahtta   fonte: Z net Italy

L’agente di polizia di Ferguson Darren Wilson, ha trascorso più di 100 giorni nascosto mentre un gran giurì decideva se incriminarlo oppure no per qualsiasi accusa relativa all’uccisione dell’adolescente di colore Mike Brown. Dopo un lungo discorso arrogante in difesa dell’indifendibile, il Pubblico Ministero Robert McCulloch ha annunciato che non ci sarebbe stata nessuna incriminazione.
La decisione di non incriminare Wilson non è stata una sorpresa  ma la sua prevedibilità non ha fatto molto per disperdere la rabbia e la frustrazione che è diventata oramai parte del rituale di lutto per la perdita di un altro giovane afro-americano causata dalle forze dell’ordine che applicano la  legge americana. Non può esserci alcun dubbio che la vita di una persona di colore valga poco e sia sacrificabile agli occhi delle forze dell’ordine e del sistema di giustizia penale di cui fanno parte.
E tuttavia c’è un rifiuto ostinato di fare una conversazione di questo come punto di partenza per qualsiasi cambiamento significativo della pratica di mantenere  l’ordine in questo paese. Invece i media tradizionali e il presidente Barack Obama continuano a incentrare la loro attenzione sul potenziale di violenza tra gli attivisti contrari alla brutalità della polizia, particolarmente a Ferguson, Missouri.
Nelle scorse settimane, le forze dell’ordine e i media hanno lavorato in tandem per fare montare l’isterismo per le violente dimostrazioni all’indomani della prevedibile decisione di non processare Wilson.
Per mesi 1.000 poliziotti in tutta St Louis si preparavano per queste dimostrazioni. L’FBI ha diffuso un promemoria per le locali forze dell’ordine avvertendole della presenza di “agitatori esterni” e di violente proteste di solidarietà con Ferguson. Le scuole pubbliche di Boston hanno perfino fatto telefonate che si chiamano robo-calls (Cioè una telefonata che usa un congegno elettronico computerizzato che compone automaticamente i numeri di telefono per inviare un messaggio pre-registrato, come se venisse da un robot (http://en.wikipedia.org/wiki/Robocall), n.d.t.), che invitavano a dimostrazioni “pacifiche” subito dopo la decisione del gran giurì. Nella copertura data dai media circa la reazione alla decisione, gli inviati indossavano maschere antigas, preparavano le loro macchine fotografiche per riprendere oggetti che bruciavano, e inserivano loro stessi e la loro sicurezza personale nelle notizie della sera.
Ma in tutti gli articoli isterici sulle dimostrazioni violente, non c’è stata quasi nessuna discussione riguardo a che cosa avesse spinto a una reazione così violenta per la decisione del grand giurì. Non c’è stata alcuna discussione sulla violenza della polizia, sui maltrattamenti e, certo, sul terrorismo che è diffuso nelle comunità della gente di colore, in ogni città e stato di questo paese.
Invece il presidente Obama ha offerto la vacua osservazione: “Abbiamo fatto enormi progressi nei rapporti tra razze diverse nel corso dei recenti decenni.” Quei progressi sono decisamente difficili da misurare dato il persistere di omicidi di Afro-Americani per mano della polizia.
Proprio nei giorni precedenti alla decisione del gran giurì, la polizia di Cleveland ha ucciso una donna afro-americana, Tanish Anderson, spaccandole la testa sul cemento. Poi il dodicenne Tamir Rice, anch’egli di Cliveland  è stato colpito due volte con un’arma da fuoco da poliziotti bianchi,  e poi ucciso: aveva in mano una pistola giocattolo ad aria compressa. L’Afro-Americano Akai Gurley è stato ucciso dai poliziotti di New York City quando è entrato nel vano scala di un palazzo.
Questi casi graffiano soltanto la superficie dello scopo del controllo razzista negli Stati Uniti, ma argomento di quasi nessuna discussione al di fuori dei circoli radicali.
E’ 21 volte più probabile che  i poliziotti bianchi uccidano un uomo di colore che un bianco. E altri poliziotti  Afro-Americani non sarebbe di aiuto. I poliziotti di colore sono coinvolti soltanto nel 10% delle sparatorie della polizia, ma il 78% delle vittime a cui sparano sono afro-americane.
L’FBI ha calcolato che dal 2007 al 2012 i poliziotti bianchi hanno ucciso almeno due persone di colore ciascuno e ogni settimana – grosso modo 500 morti in tutto. Per mettere questo in prospettiva, considerate che nei 5 anni precedenti all’introduzione delle legislazione federale anti-linciaggio del 1922, c’erano 285 linciaggi di Afro-Americani. L’epidemia di razzismo sta infuriando in ogni istituzione connessa al sistema americano di giustizia penale.
La violenza della polizia è soltanto un aspetto di un sistema di giustizia penale generalmente razzista che trae energia dalla gente di colore. Tantissimi  Afro-Americani sono stati perseguitati dalla “guerra alle droghe” che ha provocato la criminalizzazione, in senso letterale delle  comunità afro-americane. Per considerare soltanto una statistica che illustra le disuguaglianze, gli Afro-Americani sono il 13% di coloro che assumono droga – grosso modo la stessa proporzione che che c’è nella popolazione totale – ma sono il 46% di quelli condannati per reati collegati alla droga.
I fanti nella guerra alle droghe sono i poliziotti  di ronda che prendono di mira le comunità Nere per fare i facili arresti sempre più richiesti dai funzionari municipali che li desiderano moltissimo,  come prova che stanno combattendo il crimine. E a Ferguson c’è anche un altro motivo le multe dei tribunali municipali, soprattutto per violazioni fatte riguardanti i veicoli, sono la seconda maggiore fonte di reddito per la città.
Leggendo la testimonianza di Darren Wilson che descrive Mike Brown nelle trascrizioni del gran giurì che sono state diffuse, ci si può rendere conto di quanto il razzismo della polizia sia radicato.
E’ infatti la disumanizzazione razzista di Brown che tiene insieme la storia di Wilson. L’unico modo di credere a Darren Wilson è sospendere la convinzione dell’umanità di Brown, il suo essere uomo in senso letterale. Secondo la testimonianza di Wilson, Brown diventa un animale selvaggio – o un “demonio”, come il poliziotto si riferisce a Brown – che ha  sbattuto giù  Wilson come una bambola di pezza, “ha  grugnito in modo aggressivo,” era  insensibile  alle ferite da arma da fuoco, e si è fermato soltanto quando gli ha sparato alla testa.
L’UNIVERSALITA’ del razzismo della polizia ha spinto migliaia di persone di tutto il paese a organizzare e a partecipare a dimostrazioni di solidarietà con Mike Brown, la sua famiglia e Ferguson. Si riconosce che abbiamo un enorme debito con gli abitanti di Ferguson che si sono rifiutati di smettere di organizzarsi e di fare la campagna contro questa ingiustizia. Così facendo hanno dato nuova vita a un movimento in crescita, contro la sorveglianza razzista e il sistema criminale dell’ingiustizia.
Il movimento di Ferguson si è basato su un movimento che ha radici nell’organizzazione per impedire l’esecuzione del prigioniero di colore che era nel braccio della morte,  Troy Davis,in  Georgia nell’autunno del 2011. Nasce certamente dall’attivismo che ha contribuito a fare arrestare George Zimmerman, arrestato per l’uccisione di Trayvon Martin, e che è riapparso dopo che Zimmerman è stato prosciolto.
Il movimento è rappresentato da un nucleo di giovani organizzatori che appartengono a una molteplicità di gruppi, compresi: Hands Up United (Unione Alzare le mani ), Organization for Black Struggle,  (Organizzazione per la lotta nera), We Charge Genocide (Accusiamo il genocidio), Black Lives Matter (Le vite dei Neri sono importanti),  Don’t Shoot Coalitio (Non uccidete la coalizione, Millennial Activists Unite (Attivisti del millennio uniti),  Black Youth Project 100 e oltre (Progetto Gioventù nera), e ancora altri.
Tramite l’attivismo, questo strato di leader in evoluzione,  ha aiutato  a capire che la “divisione” nell’America Nera tanto discussa, riguarda la politica molto più che la semplice generazione.
Sfuggirà a poche persone il fatto che gli stessi leader di colore tradizionali che all’inizio di novembre predicavano agli afro-americani di andare a votare contro i candidati democratici che hanno avuto pochissimo da dire sui problemi che hanno un impatto sulle comunità Nere, loro stessi ora hanno poco da dire su come reagire ai fatti di  Ferguson.
Non solo nessun preminente funzionario eletto si è dichiarato contrario alla mobilitazione della Guardia Nazionale e ai palesi tentativi di impaurire i dimostranti di Ferguson, ma pochissimi hanno richiesto politiche concrete intese a controllare la sorveglianza razzista nelle comunità Nere.
Naturalmente, fare questo metterebbe in discussione molte altre abitudini delle comunità Nere proprio adesso. La sorveglianza di tipo razzista non avviene in un vuoto, ma deve essere vista, al meno in parte come il rovescio della medaglia del saccheggio economico di quelle comunità.
I governi a livello locale, statale e federale hanno lentamente eroso i quartieri neri chiudendo le scuole pubbliche e gli edifici pubblici di proprietà del governo, chiudendo gli ambulatori e gli ospedali pubblici, e tagliando i finanziamenti per i programmi sociali. Erano stati in attesa mentre la crisi dei pignoramenti ha spianato la strada alla crisi degli sfratti. Hanno difeso la distruzione degli impieghi del settore pubblico che sono stati una fonte di introiti di livello medio per gli Afro-Americani, e hanno invece sostenuto la sottoccupazione pagata poco. Inoltre, la carcerazione di massa di centinaia di migliaia di uomini e donne di colore li ha lasciati impossibilitati a partecipare al mercato del lavoro, o, se vi sono riusciti, sono soltanto ai margini.
Nel complesso, questi fattori si uniscono per rendere vulnerabili le comunità Nere alla sorveglianza che aveva già criminalizzato e impoverito gli afro-americani.
Queste pratiche di controllo sono, di fatto, diventate una  forma di linea politica pubblica che complica quello che ha già criminalizzato e impoverito gli Afro-Americani. Infatti hanno pochissimi rimedi da offrire al di là degli studi, delle indagini e di vaghe richieste di giustizia.
Ci sono però domande molto chiare che il nostro movimento può mettere sul tavolo per incrementare la pressione sui leader ingannevoli che appoggiano l’applicazione della legge e aderiscono all’idea che il problema sono “poche mele marce,” invece che a quella  che il controllo è sistematicamente razzista.
Dovremmo chiedere commissioni civili di revisione che riflettano la composizione delle comunità dove la polizia è accusata di reati. Possiamo domandare una legge federale contro la schedatura in base alla razza. Possiamo chiedere che i poliziotti accusati e violenze e di omicidio vengano davvero arrestati e sottoposti a un procedimento legale, come si farebbe con qualsiasi altra persona. Infine, e questa non è affatto una lista esaustiva – dovremmo chiedere che le forze di polizia di tutto il paese vengano disarmate.
C’è un’epidemia di sparatorie contro Afro-Americani disarmati che si sta intensificando. Nello Utah, la polizia è responsabile di uno sconvolgente 15%  di tutti gli omicidi commessi nello stato. La decisione del gran giurì di non incriminare Darren Wilson fornirà la copertura alla polizia di tutto il paese per continuare a uccidere Afro-Americani disarmati – almeno che non togliamo di mano le armi alla polizia.
L’omicidio di Mike Brown ha creato una nuova urgenza di creare questo movimento. E’ chiaro che niente altro che un movimento di massa può fermare l’insensata uccisione di giovani Afro-Americani per mano della polizia americana.

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