L’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca ha sollevato molteplici problemi sin dall’inizio
dei festeggiamenti per l’incoronazione. Disordini e scontri di piazza, a
Washington hanno segnato la cerimonia del passaggio di consegna da Obama a
Trump , con tanto di scontri fra manifestanti anti Donald e la polizia.
Le agitazioni sono proseguite nello scorso week-end con la marcia delle donne
scese in piazza, in tutta l’America e in tutto il mondo contro il miliardario neo
presidente razzista e sessista.
Ma i problemi erano iniziati ben prima, meno rilevanti
socialmente, ma complicati per la riuscita del cerimoniale. Non si è
trovato uno straccio di cantante o “musico
fallito”, per dirla con il poeta, disposto ad offrire al Presidente la sua
musa creativa. Eppure,lasciando stare Obama, per cui si è esibito il gotha del
pop-rock americano ( Steve Wonder, Beyoncè, Alica Keyes fra gli altri), anche
quello sfigato di Bush junior era riuscito a scritturare gente come
Ricky Martin e Jessica Simpson. In realtà Andrea Bocelli avrebbe accettato di
esibirsi per il miliardario newyorkese ma la rivolta dei suoi fan lo ha costretto a rifiutare . Purtroppo Donald Trump si è trovato ad
essere eletto in un era musicale probabilmente sbagliata. Se il suo insediamento alla Casa Bianca fosse
avvenuto negli anni ’50 o ’60 il musicista adatto a lui si sarebbe trovato.
La
storia del jazz consegna alle cronache musicali di quel periodo le gesta di tale Stanley Newton Kenton, detto
Stan, pianista e direttore d’orchestra
di Wichita Kansas. Sarebbe stato il musicista perfetto per Trump. Stan Kenton può
essere considerato, a buon diritto, l’esponente della reazione iper-conservatrice
bianca alla rivoluzione nera del be bop. La sua orchestra era musicalmente l’opposto
di quanto offerto dal panorama jazzistico afroamericano di allora. A
differenza di altre orchestre come
quella di Duke Ellington o Count Basie, nell’ensemble di Kenton non veniva minimamente
offerto spazio alle sortite solistiche
dei musicisti. A contare erano le “sezioni” (ance, ottoni, ritmica) e la
dispotica, egocentrica conduzione del capo.
Riportiamo alcune frasi
di Stan Kenton che bene inquadrano il
personaggio:” Vogliamo dare il nostro
contributo alla vera musica, e vogliamo
che valga veramente qualcosa. Così stanno le cose , vi piaccia o non vi
piaccia. Potete prendere o lasciare perché d’ora innanzi non ascolteremo
nessuno” E ancora nel 1951 disse: “ I
trentacinque o quarant’anni di jazz sono finiti. Possiamo tranquillamente
chiudere su di essi la porta. In qualsiasi direzione andremo non torneremo
certo più al jazz frenetico”. Nella
sua orchestra raramente trovarono posto musicisti di colore. Anzi Kenton riteneva di appartenere ad una minoranza
bianca discriminata dai critici, i quali, a suo dire,lo stroncavano perché non era di origine afroamericana e utilizzava pochi strumentisti neri.
Insomma era vittima di un razzismo musicale alla rovescia.
Politicamente il nostro
aveva idee molto precise. Che fosse razzista è fuori di dubbio , nel 1964
appoggiò esplicitamente la corsa alla Casa Bianca del candidato repubblicano Barry Goldwater . Il presidente in pectore Goldwater, sconfitto dal democratico Lyndon B.Johnson, dichiarò che,
qualora fosse stato eletto avrebbe immediatamente sganciato la bomba atomica
sull’Unione Sovietica, un bel personaggio non c’è che dire.
Il critico e
scrittore Giancarlo Roncaglia racconta un episodio rivelatore della
considerazione di Kenton presso i suoi colleghi. Roncaglia, si trovava a cena
con Stan ed alcuni suoi orchestrali, quando girando lo sguardo nella sala
scorse il sassofonista free Robin
Kenyatta, militante dei Black Muslims, che stava cenando da solo. Lo scrittore invitò più volte il musicista nero ad
unirsi alla compagnia, ma questi rifiutò, e indicando con disprezzo Kenton disse:
“…I’m sorry brother….he is fascist..”
Tornando alle questioni musicali è
innegabile che l’orchestra kentoniaia suonasse una musica, non eclatante, ma discreta. Perciò mi viene
un dubbio. Non è che la decenza della musica di Kenton sarebbe stata eccessiva
per la mediocrità di Trump? Pensandoci
bene, credo che neanche il fascista
Kenton avrebbe accettato di suonare per
il presidente miliardario.
Dimenticavo, siccome nel jazz non si butta via mai niente, bisogna dire che fra le fila del
musicista di Wichita sono passati diversi eccellenti musicisti: i trombettisti Shorty Rogers, Maynard
Fergusson o i sassofonisti: Art Pepper, Lee Konitz, Stan Getz il chitarrista Laurindo Almeida.
Tutta gente che una volta lasciato
Kenton intraprese carriere eccellenti. Prendete Pepper, per esempio, un sassofonista
dalle indubbie sonorità bianche che però
suonava come Parker.
nel video art pepper
good vibrations
Art Pepper -Sax Alto
Stanley Cowell- Pianoforte
Cecil Mc.Bee - Contrabbasso
Roy Haynes - Batteria.
Nessun commento:
Posta un commento