Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 2 aprile 2018

Come gli Stati Uniti utilizzarono il jazz alla stregua di arma segreta durante la guerra fredda

Billy Perrigo 
fonte : Time.com, traduzione Luciano Granieri


Circa 60 anni fa,  nella frizzante aria  di una primavera appena iniziata del  1958, un giovane ragazzo proveniente dalla California, avanzava spaesato lungo le vie di Varsavia. Rabbrividì: sembrava ancora inverno, e la neve congelava i buchi dei proiettili che disseminavano come grani di pepe i palazzi della città, una tetra testimonianza del fatto che la seconda guerra mondiale era finita da solo poco più di dieci anni. La Polonia era nella sfera d’influenza della Russia e Darius si trovava li come membro di una missione orchestrata  dal Dipartimento di Stato  Americano. Il suo scopo:  far guadagnare visibilità alla cultura americana   presso le culture straniere senza causare altri guai.

Darius Brubeck, a sinistra, giovane ragazzo in tour con suo padre nel 1958. Era accompagnato da sua madre,Mike e l'impresario di jazz Ronnie Scott.


Era  un nuovo esperimento   che veniva definito come “diplomazia culturale” Da tempo Darius si occupava di questo incarico perché  suo padre,  il famoso pianista Dave Brubeck, era stato un ambasciatore del jazz.

Il Dipartimento di Stato sperava  che, promuovendo la popolare musica americana in giro per il mondo,   non solo questa   avrebbe suscitato attenzione da parte del pubblico  verso la cultura americana, ma avrebbe potuto conquistare alleati ideologicamente schierati nella guerra fredda.  I dodici concerti del quartetto di Brubeck  in Polonia furono solo i primi  di un lungo tour che non sarebbe arrivato non molto lontano dal perimetro dell’Unione Sovitica. Attraversò l’Europa dell’est, il Medio Oriente , L’Asia Centrale ed il subcontinente indiano.  Nuovi  tours  avrebbero permesso ad altre leggende del jazz come Louis Armostrong e Dizzy Gillespie  di diffondere, attraverso la loro maestria nel suonare la tromba, i valori americani negli stati di recente decolonizzazione in Africa ed Asia.  Lo scopo era sempre lo stesso, tenere le derive comuniste sotto controllo  ovunque fosse stato possibile.

In  Polonia il pubblico era abituato a espressioni più formali imposte dalla cultura sovietica:  come il balletto  l’opera .  Le prime tracce di jazz fiorirono nel Paese a partir dagli anni ’30, ma dopo l’occupazione sovietica successiva alla  fine della guerra,  le trasmissioni  di jazz per radio furono  proibite, un’ espressione musicale bollata come inferiore alle alte arti che il governo aveva supportato. Un microcosmo  underground, resisteva alla repressione . Alcuni  si sintonizzavano, quando potevano,  su “Jazz Hour”una trasmissione radiofonica diffusa dall’emittente ad onde corte “Voice of America” .  I concerti di Brubeck, i primi tenuti da una jazz band oltre la cortina di ferro, costituirono  veramente una rara opportunità per i Polacchi di sentire del jazz suonato dal vivo.

Il risultato del primo concerto di Brubeck, tenutosi a Szczecin al confine fra Polonia e Germania est fu estatico. “Fu confortante e disarmante allo stesso tempo” ha dichiarato al Time Darius Bruebeck oggi settantenne. “Tutta la nostra era di propaganda e demonizzazione evaporò subito in pochi secondi”.

Suo padre, che rimase commosso dall’entusiasmo dei jazz fan polacchi, avrebbe voluto che più  spesso la gente avesse potuto assistere ai suoi  concerti . “Nessuna dittatura può tollerare il jazz” disse. “E’ il primo segno del ritorno alla libertà”.

Il Dipartimento di Stato aveva già intuito  la potenza del jazz come un’arma fredda già tre anni prima che la famiglia Brubeck arrivasse  in Polonia. “ In quel periodo   sia Gli Stati Uniti che la Russia si consideravano il modello della  nazione in pieno sviluppo” Sostiene  Penny Von Eschen, docente a Cornel ed esperto  del programma jazz ambassador. “Avevano ingaggiato una feroce battaglia per conquistare il cuore e la mente del mondo”. Adam  Clayton Powell jr. ,un membro del congresso  con stretti legami verso la comunità del jazz,  per primo propose, nel 1955,  di mandare musicisti jazz in giro per il mondo in un tour promozionale per lo Stato americano. Non fu perso tempo  ed entro il  1956 il primo ambasciatore del jazz, Dizzy Gillespie, soffiava   dentro la  sua tromba americana  nei Balcani ed in  Medio Oriente.  “L’arma segreta dell’America era una blue note suonata in chiave minore” Scrisse il New York Time.

Il primo tour di Gillespie fu un grande successo e aprì la strada ad altri protagonisti  per molti decenni  a seguire. Le jazz band giravano  per  il mondo in modo autonomo   da anni ma il Dipartimento di Stato  decise di aiutare   i musicisti che portavano la loro musica in aree strategicamente significative.

La musica jazz strutturata sull’improvvisazione, all’interno di confini armonici stabiliti collettivamente  ,  costituiva una perfetta metafora dell’America , così come propagandata  dal Dipartimento di Stato. Qui c’era la musica  della democrazia e della libertà.  Ma quello che le band spesso rimandavano nelle loro esibizioni era ugualmente importante e critico . "Il razzismo e la violenza negli Stati Uniti stavano  assurgendo all’attenzione internazionale “ sostenne Von Eschen.  “Per il presidente  Eisenhower  ed il suo  Segretario di Stato, John  Fosters  Dulls ciò fu un vero imbarazzo”.  Inviando gruppi  composti da musicisti bianchi  e neri  per suonare insieme  in giro per il mondo, il Dipartimento di Stato voleva esportare   un quadro    di armonia razziale per controbilanciare ciò che di negativo  la stampa interna riportava sul razzismo.

“Sul finire del 1950, quando i movimenti per i diritti civili presero piede, la violenza s’intensificò”  dice Hugo Berkeley, il regista del   nuovo film   “Jazz Ambassador”, la cui prima proiezione è stata inserita  nel circuito PBS la primavera scorsa. Il film mostra come , nel 1957,  per protestare  contro la crisi di Little Rock,( dove nove studenti neri furono ammessi, per meriti,  in un liceo pubblico, frequentato da soli bianchi e dove subirono  gli insulti di tutti gli altri studenti, suscitando profonde proteste  ndt) , Louis Armstrong cancellò il tour,  pianficato dal Dipartimento di Stato, in Unione Sovietica. Non se ne fece nulla fino al 1961, quando il movimento per i diritti civili progredì in modo decisivo,  allora  Armstrong cambiò la sua visione delle cose e accettò di fare un tour in Africa. “ C’era la  sensazione  che una pagina  nella discussione politica sui diritti civili si dovesse  girare” sostiene Berkley.

Il film di Berkley  prova a rispondere alla domanda sul perché musicisti neri scelgono di partecipare alla missioni dei Dipartimento di Stato finalizzate a fornire un’  immagine dell’America  come il  più grande Paese del mondo. “Questa questione era chiaramente un paradosso” dice Berkley “Fu chiesto ai jazzisti neri di fare questa cosa, ma essi non sopportavano il modo in cui il loro Paese trattava la gente afroamericana. A seguito di ciò la domanda era:  come potevano, dunque, questi  andare a presentare un’ immagine positiva della loro  Nazione? “

Il primo ambasciatore, Gillespie, era un uomo di colore cresciuto nel Sud, che non nutriva  alcuna illusione sull’ironia di promuovere lo spirito libero americano all’estero, mentre rimaneva un cittadino di seconda classe in patria. Rifiutò di essere sfruttato dal Dipartimento di Stato americano prima dei  concerti “Ho 300 anni di sfruttamento alla spalle” disse. “So cosa loro ci hanno fatto e non mi scuserò con nessuno”.


Quando Dave Brubeck e Louis Armstrong tornarono dai loro tours, fecero emergere tutti gli aspetti ironici del programma in un musical intitolato “The Real Ambassador”. La sceneggiatura fu scritta principalmente  dalla moglie di Brubeck, Iola,  che lo accompagnò insieme ai figli nel tour del 1958. Coinvolse  Armostrong affidandogli la parte di se stesso, un ambasciatore del jazz in giro per il mondo. La storia comincia con lui a disagio nei panni di un vero ambasciatore, situazione che lo spinge a considerare la sua posizione. “ Chi è un  vero ambasciatore?” Chiede Armstrong in un interludio musicale “Nonostante io rappresenti il governo il governo non rappresenta alcune condizioni che mi sono proprie”.

Il musical fu destinato  a “sottolineare l’assurdità delle politiche razziste istituzionalizzate  presenti negli Stati Uniti.” Disse Darius, ricordando quei fatti dieci anni più tardi.  Lo spettacolo servì “per chiedere come potevamo insegnare al  mondo la democrazia  quando avevamo una situazione interna  per cui il Sud era ancora segregato?” Il musical andò in scena  una volta sola nel  ventesimo secolo al Festival Jazz di Monterey nel 1962 poi cadde in un relativo oblio. 

Un rifiorire di attività si sta riproponendo recentemente  ed un interesse nuovo sta crescendo ancora sul fenomeno della diplomazia culturale . Spettacoli sono stati organizzati in sedi di alto profilo come il Lincoln Center di New York, e l’interesse di documentaristi come Berkley sembrano pronti a riportare alla ribalta gli ambasciatori del jazz.

Dopo tutto, non sembrerà una grande esagerazione sostenere che gli ambasciatori del jazz hanno salvato il mondo . “La guerra fredda  fu un conflitto militarizzato che si diffuse attraverso un cambiamento culturale “. Sostiene Berkley , durante il montaggio del suo documentario in uno studio di Londra.”Entrambi questi elementi sono stati necessari , perché senza una mutazione culturale il conflitto militarizzato sarebbe potuto sfuggire di mano”.

Trent’anni dopo i concerti in Polonia nel 1988, Dave Brubeck fu invitato, come colonna sonora,  nei colloqui sul disarmo nucleare  intercorsi fra Ragan e Gorbaciov in Russia” Assolse realmente al suo compito, nella misura in cui ruppe il ghiaccio fra le due delegazioni”. Disse Darius.” Propose un tema  sui cui concentrare l’attenzione e sul quale entrambe la parti avrebbero potuto  divertirsi insieme e cominciare a diventare umani”.  Il trattato di intermediazione sugli armamenti nucleari  fu firmato subito dopo, riducendo significativamente la possibilità che una guerra nucleare potesse  avere luogo.

Lo spirito del programma Jazz Ambassador  sta ancora andando forte, nonostante i fondi destinati dallo Stato si siano quasi prosciugati. Oggi una proliferare di iniziative sta sostenendo l’idea  di una diplomazia culturale ben viva, comprendente istituzioni come il Fulbright  program e l’Istituto per la diplomazia culturale . Darius Brubeck ne  rimane un sostenitore chiave tenendo viva la fiamma di suo padre che morì nel 2012.


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