dichiarazione della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale
Il Primo Maggio nacque, già oltre 120 anni fa, come omaggio ai "martiri di Chicago", negli Stati Uniti, condannati a morte per aver diretto una lotta contro lo sfruttamento capitalista. Dal 1889 si decise che la miglior forma per esprimere quell'omaggio era realizzare ogni anno, in questa data, un giorno internazionale di lotta per le rivendicazioni della classe operaia. In quell'epoca si prese come obiettivo centrale la lotta per ottenere la giornata lavorativa di 8 ore.
Da allora, la borghesia ha cercato prima di cancellare quella data commemorativa dei lavoratori, poi, di fronte all'impossibilità di riuscirci, ha cercato di privare quella giornata del suo contenuto di lotta, trasformandola in un innocuo "giorno di festa".
A partire dagli anni Novanta del Novecento, questo obiettivo della borghesia si accentuò con una vera e propria campagna ideologica che annunciava con grande strepito il "trionfo del capitalismo sul socialismo" e "la fine della lotta di classe".
Tuttavia, ben più di ogni altra volta negli ultimi anni, questo Primo Maggio vede una situazione mondiale di lotta dei lavoratori e delle masse popolari e ci dimostra che la lotta di classe è più forte che mai e che apre a prospettive rivoluzionarie internazionali.
Da allora, la borghesia ha cercato prima di cancellare quella data commemorativa dei lavoratori, poi, di fronte all'impossibilità di riuscirci, ha cercato di privare quella giornata del suo contenuto di lotta, trasformandola in un innocuo "giorno di festa".
A partire dagli anni Novanta del Novecento, questo obiettivo della borghesia si accentuò con una vera e propria campagna ideologica che annunciava con grande strepito il "trionfo del capitalismo sul socialismo" e "la fine della lotta di classe".
Tuttavia, ben più di ogni altra volta negli ultimi anni, questo Primo Maggio vede una situazione mondiale di lotta dei lavoratori e delle masse popolari e ci dimostra che la lotta di classe è più forte che mai e che apre a prospettive rivoluzionarie internazionali.
La rivoluzione araba
Nel mondo arabo assistiamo oggi all'ascesa rivoluzionaria di massa più importante della sua storia moderna che lo ha trasformato nell'epicentro dello scenario mondiale.
Iniziata in Tunisia e continuata in Egitto, non c'è praticamente un solo Paese di questa regione che non sia coinvolto da mobilitazioni. Questa gigantesca ondata ha già rovesciato due dittatori (Ben Alì in Tunisia, e Mubarak in Egitto) e minaccia tutte le dittature e le monarchie reazionarie della regione, la gran parte delle quali sono agenti dell'imperialismo. Questa ondata è arrivata anche in Siria, dove il regime "dinastico" degli Assad conserva ancora qualche parvenza di autonomia dall'imperialismo.
Per ragioni storiche e strutturali, questa ondata rivoluzionaria tende naturalmente a scavalcare le frontiere nazionali e a estendersi e unificarsi in tutto il mondo arabo.
A un primo sguardo, l'attuale ondata della rivoluzione araba può apparire solo come una "lotta per la democrazia". Chiaramente il primo obiettivo delle masse è rovesciare gli odiati dittatori e i loro regimi per ottenere libertà democratiche. Ma il contenuto effettivo dei fatti in corso va ben al di là di questo perché riguarda le gravissime condizioni dei lavoratori e delle masse popolari: è la necessità di porre fine al saccheggio di imperialisti e oligarchie borghesi nazionali che determina questa situazione. E si pone come elemento centrale la necessità di estrarre quel pugnale conficcato nel cuore del mondo arabo rappresentato da Israele e dalla conseguente tragedia del popolo palestinese.
Le borghesie arabe "nazionaliste laiche" hanno già ampiamente dimostrato di essere incapaci di conseguire questi obiettivi e che, prima o poi, si trasformano in agenti dell'imperialismo attuando in opposizione a questi obiettivi. Le organizzazioni islamiche iniziano a dimostrarlo ora, come si vede, ad esempio, con le posizioni politiche che i Fratelli Musulmani hanno assunto rispetto a tutto il processo egiziano (negoziazione con Mubarak prima, appoggio al governo dell'esercito ora).
Noi affermiamo che nel mondo arabo si sta sviluppando una "rivoluzione socialista incosciente" che, dalla lotta per la democrazia e la liberazione nazionale, deve avanzare necessariamente nella lotta per il socialismo. E' una rivoluzione socialista per i nemici che ha di fronte (l'imperialismo, Israele e le borghesie nazionali); perché i compiti che deve affrontare possono essere risolti compiutamente solo sconfiggendo l'imperialismo e il capitalismo; e, infine, perché i protagonisti di questa rivoluzione, gli unici in grado di portare a termine questa lotta, sono i lavoratori e le masse popolari.
In questo senso, il processo iniziato il 25 gennaio del 2011 ha avuto come antecedenti vari scioperi e lotte degli operai tessili della città di Mahallah, nel delta del Nilo. Non a caso, una delle organizzazioni giovanile più attive nelle mobilitazioni che hanno rovesciato Mubarak si chiama "6 aprile" poiché si era costituita per promuovere una di quelle giornate di lotta.
Infine, la goccia che ha fatto traboccare il vaso nella lotta contro Mubarak e ha accelerato la sua caduta è stata l'ondata di scioperi dei giorni immediatamente precedenti il 12 febbraio, coinvolgendo i lavoratori tessili di Mahallah, i lavoratori del Canale di Suez, i lavoratori della sanità, dell'educazione, dei bancari, dei trasporti del Cairo, ecc.
Il grande compito attuale, allora, è fare sì che il "contenuto operaio e socialista" emerga nella coscienza delle masse egiziane e arabe, e che questa coscienza si esprima nello sviluppo delle mobilitazioni (superando le trappole e le illusioni della democrazia borghese) e in passi in avanti nell'organizzazione dei lavoratori indipendente da qualsiasi variante borghese. Cioè che si costituiscano partiti operai rivoluzionari capaci di guidare la rivoluzione fino alla vittoria.
Nel mondo arabo assistiamo oggi all'ascesa rivoluzionaria di massa più importante della sua storia moderna che lo ha trasformato nell'epicentro dello scenario mondiale.
Iniziata in Tunisia e continuata in Egitto, non c'è praticamente un solo Paese di questa regione che non sia coinvolto da mobilitazioni. Questa gigantesca ondata ha già rovesciato due dittatori (Ben Alì in Tunisia, e Mubarak in Egitto) e minaccia tutte le dittature e le monarchie reazionarie della regione, la gran parte delle quali sono agenti dell'imperialismo. Questa ondata è arrivata anche in Siria, dove il regime "dinastico" degli Assad conserva ancora qualche parvenza di autonomia dall'imperialismo.
Per ragioni storiche e strutturali, questa ondata rivoluzionaria tende naturalmente a scavalcare le frontiere nazionali e a estendersi e unificarsi in tutto il mondo arabo.
A un primo sguardo, l'attuale ondata della rivoluzione araba può apparire solo come una "lotta per la democrazia". Chiaramente il primo obiettivo delle masse è rovesciare gli odiati dittatori e i loro regimi per ottenere libertà democratiche. Ma il contenuto effettivo dei fatti in corso va ben al di là di questo perché riguarda le gravissime condizioni dei lavoratori e delle masse popolari: è la necessità di porre fine al saccheggio di imperialisti e oligarchie borghesi nazionali che determina questa situazione. E si pone come elemento centrale la necessità di estrarre quel pugnale conficcato nel cuore del mondo arabo rappresentato da Israele e dalla conseguente tragedia del popolo palestinese.
Le borghesie arabe "nazionaliste laiche" hanno già ampiamente dimostrato di essere incapaci di conseguire questi obiettivi e che, prima o poi, si trasformano in agenti dell'imperialismo attuando in opposizione a questi obiettivi. Le organizzazioni islamiche iniziano a dimostrarlo ora, come si vede, ad esempio, con le posizioni politiche che i Fratelli Musulmani hanno assunto rispetto a tutto il processo egiziano (negoziazione con Mubarak prima, appoggio al governo dell'esercito ora).
Noi affermiamo che nel mondo arabo si sta sviluppando una "rivoluzione socialista incosciente" che, dalla lotta per la democrazia e la liberazione nazionale, deve avanzare necessariamente nella lotta per il socialismo. E' una rivoluzione socialista per i nemici che ha di fronte (l'imperialismo, Israele e le borghesie nazionali); perché i compiti che deve affrontare possono essere risolti compiutamente solo sconfiggendo l'imperialismo e il capitalismo; e, infine, perché i protagonisti di questa rivoluzione, gli unici in grado di portare a termine questa lotta, sono i lavoratori e le masse popolari.
In questo senso, il processo iniziato il 25 gennaio del 2011 ha avuto come antecedenti vari scioperi e lotte degli operai tessili della città di Mahallah, nel delta del Nilo. Non a caso, una delle organizzazioni giovanile più attive nelle mobilitazioni che hanno rovesciato Mubarak si chiama "6 aprile" poiché si era costituita per promuovere una di quelle giornate di lotta.
Infine, la goccia che ha fatto traboccare il vaso nella lotta contro Mubarak e ha accelerato la sua caduta è stata l'ondata di scioperi dei giorni immediatamente precedenti il 12 febbraio, coinvolgendo i lavoratori tessili di Mahallah, i lavoratori del Canale di Suez, i lavoratori della sanità, dell'educazione, dei bancari, dei trasporti del Cairo, ecc.
Il grande compito attuale, allora, è fare sì che il "contenuto operaio e socialista" emerga nella coscienza delle masse egiziane e arabe, e che questa coscienza si esprima nello sviluppo delle mobilitazioni (superando le trappole e le illusioni della democrazia borghese) e in passi in avanti nell'organizzazione dei lavoratori indipendente da qualsiasi variante borghese. Cioè che si costituiscano partiti operai rivoluzionari capaci di guidare la rivoluzione fino alla vittoria.
La lotta in Europa
Dall'altra parte del Mediterraneo, i lavoratori e la gioventù europea continuano la lotta, iniziata nel 2010, contro i durissimi piani di austerità che i governi (diretti sia dalla destra tradizionale che dai partiti socialdemocratici) e i padroni applicano per scaricare sulle spalle dei lavoratori il costo della crisi economica internazionale e dei giganteschi aiuti che hanno concesso alle banche e al parassitario sistema finanziario.
Nel 2011 si è già avuto un nuovo sciopero generale in Grecia. Nel mese scorso, una immensa mobilitazione di piazza in Portogallo, guidata dalla gioventù lavoratrice e studentesca, la cosiddetta "generazione rasca" (generazione senza prospettive) ha rappresentato il punto più alto della risposta sociale, costringendo alle dimissioni il premier Socrates. Più recentemente, centinaia di migliaia hanno manifestato a Londra contro i tagli sociali voluti dal governo conservatore-liberale.
La lotta inizia ad assumere rapidamente un carattere internazionale. Accordi come quello dell'Unione Europea e della "zona euro" (i 16 Paesi che adottarono l'euro) mostrano chiaramente il loro volto imperialista e anti-operaio, come dimostrano le manovre finanziarie che vengono chieste a governi come quello del Portogallo o della Grecia per poter ricevere un "aiuto" che peraltro ha il solo scopo di salvare le banche e ampliare fino a livelli estremi lo sfruttamento dei lavoratori, liquidando vecchie conquiste operaie e tagliando i servizi.
In tutti i casi, questi governi possono contare sulla complicità delle burocrazie sindacali che, persino quando si vedono costrette a promuovere forme di lotta, lo fanno cercando di dividere e frenare le mobilitazioni. In ogni circostanza le burocrazie mirano solo a salvare i regimi politici, l'Unione Europea e gli accordi della "zona euro". E' solo grazie a questi burocrati se molti governi non sono già caduti o prossimi a cadere.
Inoltre, sempre a causa del ruolo delle burocrazie sindacali, i lavoratori di ogni Paese si sono ritrovati a lottare contro gli identici mezzi imposti in ogni Paese dall'imperialismo ma lottando separati nazionalmente, ognuno per proprio conto. Nonostante l'avversario sia comune e le misure da fame imposte siano comuni in tutta la Unione Europea, la politica delle burocrazie sindacali è stata quella di isolare i lavoratori di ciascun Paese. Tanto più per questo in Europa risulta necessaria la costruzione di una alternativa classista contro i governi borghesi, che unifichi la lotta contro le burocrazie sindacali in ogni Paese e la lotta di classe operaia a livello continentale.
Dall'altra parte del Mediterraneo, i lavoratori e la gioventù europea continuano la lotta, iniziata nel 2010, contro i durissimi piani di austerità che i governi (diretti sia dalla destra tradizionale che dai partiti socialdemocratici) e i padroni applicano per scaricare sulle spalle dei lavoratori il costo della crisi economica internazionale e dei giganteschi aiuti che hanno concesso alle banche e al parassitario sistema finanziario.
Nel 2011 si è già avuto un nuovo sciopero generale in Grecia. Nel mese scorso, una immensa mobilitazione di piazza in Portogallo, guidata dalla gioventù lavoratrice e studentesca, la cosiddetta "generazione rasca" (generazione senza prospettive) ha rappresentato il punto più alto della risposta sociale, costringendo alle dimissioni il premier Socrates. Più recentemente, centinaia di migliaia hanno manifestato a Londra contro i tagli sociali voluti dal governo conservatore-liberale.
La lotta inizia ad assumere rapidamente un carattere internazionale. Accordi come quello dell'Unione Europea e della "zona euro" (i 16 Paesi che adottarono l'euro) mostrano chiaramente il loro volto imperialista e anti-operaio, come dimostrano le manovre finanziarie che vengono chieste a governi come quello del Portogallo o della Grecia per poter ricevere un "aiuto" che peraltro ha il solo scopo di salvare le banche e ampliare fino a livelli estremi lo sfruttamento dei lavoratori, liquidando vecchie conquiste operaie e tagliando i servizi.
In tutti i casi, questi governi possono contare sulla complicità delle burocrazie sindacali che, persino quando si vedono costrette a promuovere forme di lotta, lo fanno cercando di dividere e frenare le mobilitazioni. In ogni circostanza le burocrazie mirano solo a salvare i regimi politici, l'Unione Europea e gli accordi della "zona euro". E' solo grazie a questi burocrati se molti governi non sono già caduti o prossimi a cadere.
Inoltre, sempre a causa del ruolo delle burocrazie sindacali, i lavoratori di ogni Paese si sono ritrovati a lottare contro gli identici mezzi imposti in ogni Paese dall'imperialismo ma lottando separati nazionalmente, ognuno per proprio conto. Nonostante l'avversario sia comune e le misure da fame imposte siano comuni in tutta la Unione Europea, la politica delle burocrazie sindacali è stata quella di isolare i lavoratori di ciascun Paese. Tanto più per questo in Europa risulta necessaria la costruzione di una alternativa classista contro i governi borghesi, che unifichi la lotta contro le burocrazie sindacali in ogni Paese e la lotta di classe operaia a livello continentale.
In tutto il mondo
Sulla stessa linea dei suoi compari europei, il governo Obama negli Usa ha appena presentato un bilancio che contiene "il più grande taglio alla spesa pubblica della storia del Paese".
Nonostante negli Stati Uniti il livello della lotta sia notevolmente più arretrato che in Europa, le recenti mobilitazioni nello Stato del Wisconsin e dell'anno scorso in California contro i tagli a sanità ed educazione pubblica, che hanno unificato i lavoratori di questi settori con gli studenti e gli utenti, annunciano la fine della "pace sociale" anche in quel Paese.
Nei primi anni di questo secolo, vari Paesi latinoamericani hanno vissuto processi rivoluzionari (Ecuador, Argentina, Venezuela e Bolivia). Aiutati da una situazione economica relativamente buona, i governi di fronte popolare o populisti (come quello di Chavez, Evo Morales, Correa e Lula) sono riusciti a controllare e a frenare questi processi. Però anche questa "pace sociale" inizia a essere problematica. Al super-sfruttamento che perdura si somma ora l'inflazione che erode il potere d'acquisto dei salari. Il governo di Evo Morales ha dovuto fare marcia indietro nel "gasolinazo" (un brutale aumento del prezzo dei combustibili) di fronte alla reazione operaia e delle masse popolari. Nello "stabile" Brasile dell'era Lula, ora governato da Dilma Rousseff, più di cento mila lavoratori dell'edilizia pubblica (uno dei settori più sfruttati della classe operaia brasiliana) hanno sviluppato uno sciopero durissimo contro le imprese appaltatrici (strettamente legate al governo) ricorrendo a metodi di lotta molto radicali (incluso appiccare il fuoco ai cantieri).
Tutte queste lotte pongono la necessità di una unità internazionale dei lavoratori. Una unità che sta nelle origini del movimento operaio e che fu il marchio dei primi passi organizzativi dei lavoratori. Lotte simili scoppiano in differenti parti del globo e dimostrano che è necessario riprendere quella tradizione che si esprime nel vero significato del Primo Maggio. Costruire la solidarietà internazionale tra gli operai è un compito fondamentale perché può favorire la sconfitta della borghesia e produrre conquiste per i lavoratori. Per esempio, in Europa l'unità tra i lavoratori di tutto il continente è una necessità imperiosa per sconfiggere l'Unione Europea imperialista e i suoi piani. E la vittoria dei lavoratori di un Paese aiuta i lavoratori in lotta di altri Paesi a fare passi avanti. Si tratta insomma di riprendere e far avanzare la coscienza internazionalista della classe operaia che fu una caratteristica distintiva del sorgere del movimento operaio.
Ma l'unità nelle lotte pone un'altra questione fondamentale: nel sistema capitalistico ogni conquista, guadagnata con la lotta, non è definitiva. Il sistema capitalistico in decadenza e in cerca di profitti attacca i lavoratori per cancellare le conquiste e riprendersi ciò che è stato costretto a concedere sotto la pressione delle lotte. Così è stato, ad esempio, con la giornata lavorativa di 8 ore, la stabilità lavorativa, l'età pensionistica, ecc. Per questo il capitalismo non può essere cambiato gradualmente attraverso delle riforme. Non solo queste riforme progressive oggi più o meno non esistono da nessuna parte, ma anche laddove la borghesia è costretta a fare concessioni di fronte alle lotte, appena può se le rimangia. Da tutto ciò consegue che è necessario mutare radicalmente sistema attraverso l'azione rivoluzionaria, cioè conseguire l'emancipazione dei lavoratori.
Sulla stessa linea dei suoi compari europei, il governo Obama negli Usa ha appena presentato un bilancio che contiene "il più grande taglio alla spesa pubblica della storia del Paese".
Nonostante negli Stati Uniti il livello della lotta sia notevolmente più arretrato che in Europa, le recenti mobilitazioni nello Stato del Wisconsin e dell'anno scorso in California contro i tagli a sanità ed educazione pubblica, che hanno unificato i lavoratori di questi settori con gli studenti e gli utenti, annunciano la fine della "pace sociale" anche in quel Paese.
Nei primi anni di questo secolo, vari Paesi latinoamericani hanno vissuto processi rivoluzionari (Ecuador, Argentina, Venezuela e Bolivia). Aiutati da una situazione economica relativamente buona, i governi di fronte popolare o populisti (come quello di Chavez, Evo Morales, Correa e Lula) sono riusciti a controllare e a frenare questi processi. Però anche questa "pace sociale" inizia a essere problematica. Al super-sfruttamento che perdura si somma ora l'inflazione che erode il potere d'acquisto dei salari. Il governo di Evo Morales ha dovuto fare marcia indietro nel "gasolinazo" (un brutale aumento del prezzo dei combustibili) di fronte alla reazione operaia e delle masse popolari. Nello "stabile" Brasile dell'era Lula, ora governato da Dilma Rousseff, più di cento mila lavoratori dell'edilizia pubblica (uno dei settori più sfruttati della classe operaia brasiliana) hanno sviluppato uno sciopero durissimo contro le imprese appaltatrici (strettamente legate al governo) ricorrendo a metodi di lotta molto radicali (incluso appiccare il fuoco ai cantieri).
Tutte queste lotte pongono la necessità di una unità internazionale dei lavoratori. Una unità che sta nelle origini del movimento operaio e che fu il marchio dei primi passi organizzativi dei lavoratori. Lotte simili scoppiano in differenti parti del globo e dimostrano che è necessario riprendere quella tradizione che si esprime nel vero significato del Primo Maggio. Costruire la solidarietà internazionale tra gli operai è un compito fondamentale perché può favorire la sconfitta della borghesia e produrre conquiste per i lavoratori. Per esempio, in Europa l'unità tra i lavoratori di tutto il continente è una necessità imperiosa per sconfiggere l'Unione Europea imperialista e i suoi piani. E la vittoria dei lavoratori di un Paese aiuta i lavoratori in lotta di altri Paesi a fare passi avanti. Si tratta insomma di riprendere e far avanzare la coscienza internazionalista della classe operaia che fu una caratteristica distintiva del sorgere del movimento operaio.
Ma l'unità nelle lotte pone un'altra questione fondamentale: nel sistema capitalistico ogni conquista, guadagnata con la lotta, non è definitiva. Il sistema capitalistico in decadenza e in cerca di profitti attacca i lavoratori per cancellare le conquiste e riprendersi ciò che è stato costretto a concedere sotto la pressione delle lotte. Così è stato, ad esempio, con la giornata lavorativa di 8 ore, la stabilità lavorativa, l'età pensionistica, ecc. Per questo il capitalismo non può essere cambiato gradualmente attraverso delle riforme. Non solo queste riforme progressive oggi più o meno non esistono da nessuna parte, ma anche laddove la borghesia è costretta a fare concessioni di fronte alle lotte, appena può se le rimangia. Da tutto ciò consegue che è necessario mutare radicalmente sistema attraverso l'azione rivoluzionaria, cioè conseguire l'emancipazione dei lavoratori.
"L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi"
In uno dei loro testi più importanti indirizzati alla classe operaia, il Manifesto Comunista, Karl Marx e Friedrich Engels utilizzano una rivendicazione che è al contempo una definizione politica: "L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi o non sarà".
Con questa frase intendevano dire che solo la classe operaia sarà capace di portare fino al compimento la lotta contro il capitalismo e per la distruzione di questo sistema, passaggio ineludibile per avanzare verso la liberazione da ogni sfruttamento e oppressione. E che questa lotta deve essere basata sull'indipendenza di classe, cioè totalmente indipendente da qualsivoglia variante politica borghese, che cerca di porre la classe operaia al proprio rimorchio. Il Primo Maggio come giornata di lotta operaia e socialista è profondamente imbevuto di questo significato. Negli ultimi anni questa prospettiva è stata posta in discussione dalla grande maggioranza della sinistra mondiale che ha definitivamente abbandonato la lotta per la rivoluzione socialista e quella per l'emancipazione della classe operaia che, in qualche modo, con differenti posizioni teoriche e politiche, difendeva precedentemente. Un settore della sinistra si limita a predicare una "umanizzazione" del capitalismo e, di conseguenza, la necessità di integrarsi pienamente nelle sue istituzioni borghesi e nei suoi governi. Altri affermano che la soluzione sta nella prospettiva dei settori borghesi populisti di sinistra, come quello di Chavez in Venezuela, cioè quegli stessi che difendono le sanguinarie dittature di Gheddafi in Libia e di Assad in Siria contro la rivoluzione delle masse popolari.
In uno dei loro testi più importanti indirizzati alla classe operaia, il Manifesto Comunista, Karl Marx e Friedrich Engels utilizzano una rivendicazione che è al contempo una definizione politica: "L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi o non sarà".
Con questa frase intendevano dire che solo la classe operaia sarà capace di portare fino al compimento la lotta contro il capitalismo e per la distruzione di questo sistema, passaggio ineludibile per avanzare verso la liberazione da ogni sfruttamento e oppressione. E che questa lotta deve essere basata sull'indipendenza di classe, cioè totalmente indipendente da qualsivoglia variante politica borghese, che cerca di porre la classe operaia al proprio rimorchio. Il Primo Maggio come giornata di lotta operaia e socialista è profondamente imbevuto di questo significato. Negli ultimi anni questa prospettiva è stata posta in discussione dalla grande maggioranza della sinistra mondiale che ha definitivamente abbandonato la lotta per la rivoluzione socialista e quella per l'emancipazione della classe operaia che, in qualche modo, con differenti posizioni teoriche e politiche, difendeva precedentemente. Un settore della sinistra si limita a predicare una "umanizzazione" del capitalismo e, di conseguenza, la necessità di integrarsi pienamente nelle sue istituzioni borghesi e nei suoi governi. Altri affermano che la soluzione sta nella prospettiva dei settori borghesi populisti di sinistra, come quello di Chavez in Venezuela, cioè quegli stessi che difendono le sanguinarie dittature di Gheddafi in Libia e di Assad in Siria contro la rivoluzione delle masse popolari.
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