Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 10 gennaio 2012

In difesa di un'impresa

Giovanni Morsillo


Alcuni giornali riportano la notizia della chiusura della storica libreria Battei di Parma. In un paese in cui a occhio e croce chiudono un migliaio di imprese al giorno, questa non è una notizia rilevante economicamente (dieci dipendenti). Eppure, trattandosi di un esercizio storico con 140 anni suonati di attività, frequentazioni di elevato livello intellettuale e forti legami con il territorio (essendo anche editrice), questa chiusura interroga altri aspetti del nostro essere società, e non solo sul piano simbolico. Non si tratta solo di questioni di affetto o di nostalgia, pure importanti e nient’affatto deteriori per degli esseri umani dotati anche di sentimento.
La questione, è evidente, ha invece aspetti assai concreti da considerare. Intanto la sua fine rappresenta la distruzione di un monumento e di un documento storico, capace di trasmettere per la sua parte informazioni importanti sulla nostra vicenda nazionale e sociale dell’ultimo secolo e mezzo. Non è poco, in un clima di rimozione, di occultamento dei fatti storici in nome di strumentali disegni politici da sottocultura. Ma c’è dell’altro: questa chiusura, forse più di altre, descrive la trsformazione dei luoghi di vita umana, delle città, a seguito della ristrutturazione drammatica e ancora in corso del modello di produzione e scambio. Il venir meno di luoghi di questo tipo, di ambienti carichi di significato e capaci di mettere in continuità il nostro divernire storico, la nostra crescita e maturazione come società e anche come popolo, mette in discussione anche le nostre ulteriori prospettive di sviluppo, non solo culturale. Naturalmente lo sviluppo anche etico-sociale dell’Italia del Duemila non dipende dalla libreria Battei. Ma la sua fine è un segnale preoccupante del declino dell’attenzione a valori e modelli non più compatibili con gli obiettivi del sistema.
Certo la crisi, lo spread, il debito, i costi della politica (che a nostro modo di vedere sono costi della non-politica) non ammettono cedimenti e sentimentalismi. Ma siamo sicuri che consentire il deperimento e la distruzione di elementi così importanti della nostra cultura sia un buon investimento o un risparmio? Siamo già così rassegnati o, peggio, convinti che sia il rifinanziamento delle banche fallite per indigestine di titoli tossici (speculazione) la vera priorità?
Ma forse stiamo esagerando, il riferimento alla Costituzione è troppo evidente (art. 41), e di questi tempi si rischia di essere facilmente liquidati come ammuffiti retrogradi che presidiano fortini disabitati. Eppure noi siamo convinti che questo progressivo sgretolamento della memoria collettiva abbia a che fare strettamente con la riduzione effettiva delle nostre libertà.

1 commento:

  1. Caro Giovanni
    Qualcuno ha detto: “con la cultura non si mangia”. Forse avrebbe dovuto dire: “con la cultura nun se magna” , dove il “magna” significa fare profitti – leciti o illeciti che siano in base alla legislazione vigente - a danno di un popolo privo degli strumenti culturali e conoscitivi necessari per difendersi dai più furbi.
    Però ritengo che sia sbagliato confinare la cultura solo nel campo delle attività ricreative o formative della persona.
    Viviamo in un epoca in cui i posti di lavoro non si creano più nei settori tradizionali dell’industria e dei servizi ad essa correlati: marketing, distribuzione etc.
    Lo sviluppo tecnologico, e di conseguenza l’uso delle macchine nell’industria, ha sostituito massicciamente il lavoro dell’uomo.
    I posti di lavoro distrutti nell’industria non sono stati sostituiti, se non in minima parte, negli altri settori.

    E’ quindi necessario ripensare al tempo individuale impiegato nelle attività lavorative e quindi ad una sua redistribuzione che tenga conto di questo dato fondamentale: per produrre beni e servizi oggi si impiega molto meno tempo che in passato.
    Il tempo risparmiato, in una società che tenga conto del benessere dei propri cittadini, non può tradursi in disoccupazione in nome di un incremento della produttività e, tantomeno, in tempo libero dedicato all’ozio (che bella parola l’ozio! Andrebbe rivalutata) Il tempo libero dovrebbe rappresentare una quota consistente delle risorse necessarie per creare nuovi posti di lavoro. Il tempo libero, da impiegare nelle attività sportive, nel turismo e nell’arricchimento culturale in generale, ha bisogno dei “produttori” di sport, di turismo e di cultura. I dieci posti di lavoro che si perdono, a causa della chiusura della libreria Battei di Parma, non rappresentano solo un dato allarmante per la perdita di un “presidio” culturale importante. A mio avviso - ma non solo mio - rappresenta un dato molto preoccupante anche sulla tendenza in atto nello sviluppo dell’economia.
    Giovanni De Gasperis

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