Venerdì scorso è scaduta la cassa integrazione per i 1.300 operai
della Videocon di Anagni. Le lettere di licenziamento sono in partenza. Sulla pelle dei 1.300 addetti dell’azienda,
di proprietà della famiglia indiana plurimiliardaria dei Dooth , si sono
realizzati profitti finanziari miliardari ottenuti attraverso il rialzo delle quotazioni in borsa
a
seguito della cessione della fabbrica dalla Francese Thomson alla Videdocon. Il saccheggio ai danni degli operai e dei cittadini è proseguito con il
finanziamento pubblico che gli indiani hanno ricevuto per gestire lo
stabilimento di Anagni. I finanziamenti ottenuti non sono stati minimamente utilizzati per il
rilancio della fabbrica, ma hanno costituito la prima tranche di un tesoretto implementato con la vendita al migliore
offerente di attrezzature e macchinari sofisticati in dotazione alla Videocon, non più necessari ai piani dei Dooth. Infatti
ad Anagni non un solo televisore è stato prodotto ma ci si è limitati al semplice assemblaggio di parti
provenienti da altre fabbriche extra europee, procedimento utile ad ottenere il
marchio “made in EU” . Dopo tre anni i Dooth con le tasche piene di sodi
pubblici e dei denari ottenuti con la vendita dei macchinari più
tecnologicamente avanzati, hanno lasciato la fabbrica al suo destino, senza
neanche pagare i creditori e gettando sul lastrico 1.300 famiglie. Gli operai della Videocon sono stati utilizzati
anche per far campagna elettorale. Molti politici si sono schierati affianco
delle maestranze Videocon promettendo
impegno per risolvere la situazione ma,
una volta ottenuta la visibilità necessaria, tutti a casa e chi se ne frega se
questi operai hanno pure dovuto pagare una multa per interruzione di servizio
pubblico in quanto, nel corso di una protesta per rivendicare il loro sacrosanto diritto al
loro lavoro, avendo bloccato l’autostrada, hanno impedito ad un pullman dell’Atac di proseguire il viaggio. Oggi le
maestranze Videocon con la pena nel
cuore attendono di sapere se la ministra
Fornero firmerà il decreto di
proroga di altri sei mesi di cassa
integrazione richiesto dai sindacati e previsto da un accordo firmato con la
regione Lazio il 5 dicembre scorso. Il
provvedimento consentirebbe di concedere
ulteriore ossigeno agli operai in attesa che si possa individuare un acquirente
dell’azienda. Come è noto lo stato
sociale funziona benissimo solo per i padroni. Per consentire ai Riva, uno agli
arresti domiciliari, l’altro latitante, di continuare ad avvelenare operai e cittadinanza
di Taranto, si è varato un decreto che sovverte addirittura i provvedimenti
della magistratura. Neanche Berlusconi con le leggi ad personam era arrivato a tanto, o forse si, inceneritore
di Acerra docet. Dopo aver regalato ai Riva la più grande acciaieria
di Europa lo Stato , non solo non si è
curato che questi investissero nella messa a
norma degli impianti, non solo ha consentito a lor signori di speculare
in borsa con i miliardi ottenuti sfruttando gli operai e avvelenando la
cittadinanza di Taranto, ma oggi gli concede di continuare ad avvelenare, ottenendo
in cambio la vana promessa che un giorno, non si sa di quale
anno, verranno investiti i tre miliardi
e mezzo necessari al risanamento. Lo
stato sociale, quello vero, quello che dovrebbe tutelare i poveri cristi invece
è molto più lento e inaffidabile. Per i Riva si è trovato il modo, sconfessando
le sentenze della magistratura, utile a
consentire lo sciagurato accumulo sulla pelle della gente di Taranto, e
per i lavoratori della Videocon? La ministra Fornero sarà così solerte , come il suo omologo al
ministero dell’ambiente Clini per l’Ilva, nel firmare la proroga per altri sei mesi di
cassa integrazione? Francamene nutriamo
molti dubbi in merito. La soluzione per risolvere le centinaia di crisi
industriali che affollano la scrivania del ministro delle attività produttive
Passera, ci sarebbe. Denunciando e pretendendo che tutti gli squali privati beneficiari di denari
pubblici per aprire aziende che poi hanno chiuso dopo averle spremute ben bene, restituiscano i soldi indebitamente intascati, con l’aggiunta del pagamento dei
danni morali e ambientali arrecati a
territorio e lavoratori, si potrebbero reperire risorse così ingenti da
assicurare la cassa integrazione a tutti gli operai coinvolti nelle crisi. Dall’Alcoa
alla Videocon, dall’Ilva alla Jabil, alla Esselunga. Esiste un partito un
movimento, un sindacato in grado di attuare una azione decisa di denuncia e richiesta risarcimento? Ci sembra inutile rispondere, la realtà dei
fatti è chiara a tutti.
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