Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 3 giugno 2013

Cittadini reattivi: mappiamo il cambiamento

Fondazione ahref

E’ online Cittadini Reattivi, l’inchiesta multimediale vincitrice del bando di Fondazione

La risposta agli oltre 15000 siti da bonificare in Italia? Il crowdmapping dei cittadini reattivi che agiscono per il cambiamento.

Parte dall’elaborazione di numeri drammatici, quelli sullo stato delle bonifiche ambientali in Italia,  resi noti dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al traffico di rifiuti e rielaborati in una speciale infografica, il progetto d’inchiesta ad alto impatto civico realizzato da Rosy Battaglia, giornalista freelance indipendente, premiato da un bando di Fondazione Ahref per inchieste multimediali innovative, in collaborazione con Flavio Castiglioni e Claudio Spreafico, del coordinamento di Bicipace e Legambiente Lombardia.

La bad news è che oltre i 57 siti di interesse nazionale dall’Ilva di Taranto alla Caffaro di Brescia (scesi a 39 con l’ultimo decreto del ministro Clini dell’ 11 gennaio) ci sono decine di migliaia di siti ad interesse regionale e comunale inquinati e contaminati, mal mappati dalle anagrafi regionali. I dati emersi sono discordanti ed incompleti, la punta di un iceberg ben più esteso che porta il numero ben sopra i 15122 dichiarati”- precisa Rosy Battaglia

 “La good news, invece, è quella che forse abbiamo sotto gli occhi e non abbiamo messo a fuoco: ci sono migliaia di cittadini e amministratori locali che pretendono aria, terra e acqua puliti e che si impegnano ogni giorno per la salvaguardia di ambiente, salute e sicurezza sul lavoro, combattendo l’immobilità delle istituzioni, forse più deleteria della mancanza di fondi per le stesse bonifiche”.

Da qui l’idea di documentare, da una parte, attraverso una inchiesta multimediale con interviste e webdoc, oltre il parere degli esperti, le buone pratiche possibili messe in atto da coloro che non si arrendono davanti al degrado e all’incuria di aree dismesse, fiumi inquinati, terreni contaminati. “Ma che, anzi, vogliono partecipare alla riqualificazione e alla progettazione di un nuovo paesaggio urbano”.

Dall’altra quella di aprire un processo di condivisione sulle informazioni raccolte, in un sito basato sul crowdmapping  che permette di geolocalizzare i siti da bonificare, quelli bonificati e i luoghi recuperati, oltre che le indagini epidemiologiche in corso, in cui i cittadini reattivi si possono auto-mappare. Cercando così di viralizzare il “diritto di sapere” su temi come la salute, l’ambiente e la legalità dei processi di riconversione delle aree da bonificare.

 “In questi tre mesi ho incontrato e documentato l’attività di decine di comitati e associazioni. Sono partita da  una delle zone più inquinate d’Italia, l’Asse Sempione in Lombardia. Lì, sulle sponde del fiume Olona ci sono volontari che hanno recuperato e bonificato un’area industriale dismessa riportandola alla natura e alla comunità. A qualche km a Castellanza, nell’area del polo chimico Ex Montedison, in uno degli oltre 800 contaminati da bonificare della Lombardia, (oltre agli altri 1800 siti potenzialmente contaminati accertati) l’azienda Elcon vorrebbe installare un impianto per il trattamento di rifiuti tossici liquidi a cui la cittadinanza si è opposta”.

Ironia della sorte, proprio nella stessa zona dove tra le province di Milano e Varese, il fiume è coperto di schiuma per scarichi abusivi e depuratori mal funzionanti. “Ma dove centinaia di persone non si arrendono al vederlo ridotto a fognatura, ne hanno documentato lo stato attraverso i social network, ne hanno pulito le sponde, creando approdi e ristori lungo le piste ciclopedonabili”.

Oppure in casi da manuale di diritto come quello del “cittadino elettore” di Cremona, Gino Ruggeri, che si è costituito parte civile nella causa contro la raffineria Tamoil che ha contaminato la zona delle associazioni Canottieri sull’argine del Po. Lo ha fatto “in nome proprio e per conto del  Comune”  facendo ricorso all’articolo 9 del Testo Unico degli Enti Locali. Il risarcimento in caso di vincita della causa andrà alla sua città.

Così come in situazioni più drammatiche, come a Brescia, una delle città più ricche d’Italia ma dove i genitori dei bambini che frequentano la Scuola Primaria Grazia  Deledda non hanno esitato ad occuparla. Da 10 anni i loro bambini non possono giocare in cortile perché contaminato dai PCB (policlorbifenili) emessi dalla Caffaro.

O a Colleferro, nella Valle del Sacco in Lazio, dove le popolazioni contaminate dal pesticida Beta-Esaclorocicloesano si stanno sottoponendo volontariamente ad un piano di sorveglianza sanitaria attuato dall’ASL per verificarne gli effetti. Continuando a vigilare sul loro territorio per impedire altri insediamenti ad alto impatto ambientale, come hanno fatto i volontari di Retuvasa, la Rete per la tutela della Valle del Sacco, fino a mettersi in rete con i “colleghi”, che vivono negli altri siti contaminati,  da Taranto a Quirra.

Situazioni che mostrano come la tutela della salute sia indissolubile dallo stato dell’ambiente. “E come l’informazione sia la migliore prevenzione, come ci ha confermato il dott. Pietro Comba dell’Istituto Superiore di Sanità, tra i curatori del Rapporto Sentieri che ha indagato sull’aumento della mortalità nella popolazione che vive in 44 nei Siti di Interesse nazionale”.

Un capitale umano “reattivo” che non bisogna disperdere ma mettere in rete e connettere, in un progetto in cui l’informazione civica ha un ruolo fondamentale, reso possibile grazie al sostegno di Fondazione Ahref.


“L’impatto civico che Cittadini reattivi  vuole produrre è quello che solo attraverso la conoscenza, la documentazione, l’informazione, la partecipazione si può produrre un cambiamento”.



Colleferro città nata dall'industria bellica e chimica. A distanza di 101 anni dalla sua fondazione paga il prezzo della sua storia imprenditoriale per via delle sostante tossiche sversate nei terreni della zona industriale, arrivati a contaminare la valle del fiume Sacco con il betaesaclorocicloesano, pesticida fuorilegge trovato dapprima nel latte degli animali allevati e poi nel sangue umano.

Oggi la popolazione si è sottoposta volontariamente ad un programma di sorveglianza sanitaria dell'ASL ma non rinuncia a voler determinare il proprio destino. 
Come racconta Alberto Valleriani di Retuvasa, la Rete per la tutela della Valle del Sacco che continua la sua attività di vigilanza verso la bonifica e il territorio e che sta cercando di coordinarsi con gli altri cittadini residenti negli altri siti contaminati di interesse nazionale. 

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