Roma esterno notte.
Da piazza Venezia a due passi da Via Giulia non ci vuole molto anche a
piedi. L’inverno romano non è mai troppo rigido ed è sempre piacevole camminare
anche se a passo svelto . In L.go dei Fiorentini c’è il Music Inn, lo
storico jazz club romano. Spesso le mie serate di studentello squattrinato finivano li ad aspettare una performance di
Enrico Pierannunzi, o di Roberto Gatto, ma anche di Chet che spesso passava di là
e ci regalava delle notti indimenticabili.
L’ambiente del jazz romano, ma anche italiano e mondiale, ha animato la mia vita di giovanetto
scapestrato, batterista in erba, rimasto in erba, affascinato dalle gesta di
Elvin Jones, Tony Williams, Jack De
Johnette e di grandi batteristi italiani
che ho avuto l’onore di apprezzare dal vivo come Roberto Gatto, Giampaolo
Ascolese. Ma quando entrava lui il
nebbioso ambiente invernale rimaneva fuori dalla grotta di Largo Fiorentini che
rifulgeva del sacro fuoco della trans improvvisativa di un alto sassofonista assolutamente
fuori dal comune. Un po’ Parker, un po’
Coltrane, un po’ Ayler , ma tanto, tanto Massimo Urbani. Ogni volta ascoltare Massimo era un crogiuolo
di sensazioni. Passava dal lirismo e la leggerezza nell’esecuzione di un
standard, al fraseggio frenetico e
velocissimo di improvvisazioni free
sempre con il suo linguaggio originale. Massimo ha concesso a molti
jazzisti italiani europei e mondiali il
privilegio di dialogare con la sua straordinaria tecnica. Una tecnica che
derivava da un grande intuito armonico. Un solo altro sassofonista era in grado
di ascoltare un’armonia, capirne le potenzialità melodiche e svilupparle nel
giro di pochi minuti. Era Charlie Parker.
Il figlio del popolo Massimo
Urbani era capace di improvvisare con
Freddie Hubbard , Jack De Johnette nei più grandi jazz festival ,ma anche di suonare per gli abitanti di Primavalle esibendosi in
un prato vicino alla sezione del Partito Comunsita. Prodotto di una Roma proletaria , nato nel
quartiere Trionfale, figlio di un bidello, Massimo fu il sassofonista preferito
degli Area di Demetrio Stratos, ha messo il suo talento e la sua creatività,
per anni al servizio di musicisti e appassionati di tutto il mondo. La sua via, fatta di
inquietudini , e travagli interni, in continua alternanza fra depressione ed esuberanza,
purtroppo era minata da una grave tossicodipendenza
. Nella notte fra il 23 e 24 giugno del
1993 a soli 36 anni (era nato nel 1957) fu stroncato da un collasso cardiocircolatorio. A venti anni
dalla sua morte Aut lo ricorda con un bellissimo documentario dal titolo emblematico "Massimo Urbani nella fabbrica abandonata" di
Paolo Colangeli girato per Jazz from Italy.
Ciao Massimo ancora ci manchi
Good Vibrations
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