“Vergogna.
Nella vasta gamma di sentimenti che ho provato in questi ultimi
anni, e in special modo da quando ricopro un ruolo di primo piano nel Partito Democratico, questo mi mancava.
Rabbia, delusione, sgomento, sfiducia, sì. E a tratti
rassegnazione.
Poi tornavano la determinazione e la speranza, ora ammetto irragionevole, di
riuscire a cambiare questo partito dall’interno.
Quello che provo oggi, però, è un sentimento nuovo che
non trova più una giustificazione proporzionata al danno morale che il Pd sta
infliggendo ai suoi elettori, ai militanti, agli iscritti. A me.
Dalle
primarie ritoccate per la scelta dei parlamentari, alla drammatica vicenda
dell’elezione del Capo dello Stato come anticamera al calice ben più amaro del
Governo “di scopo” con il PDL di Berlusconi; ai 101 parlamentari del Partito
Democratico che, uccidendo politicamente Prodi, hanno gettato una prima pietra
tombale sulla speranza di una qualsiasi decente prospettiva che si fondi sulla
fiducia, la tensione ideale e i bisogni veri di un popolo tenuto e guardato a
distanza. Un patrimonio di migliaia di militanti e iscritti
che ne costituiscono la vera ossatura e che stiamo disperdendo con
un’apparente, ostinata premeditazione.
L’amarezza
e il sentimento di sfiducia che abbiamo lasciato loro dopo questi mesi assurdi
ci stanno inchiodando a un destino fatale, per il Pd e tutto il centrosinistra.
Sì, perché se gli eventi
gravissimi che si sono succeduti dal giorno dopo le elezioni meritavano un
forte e aperto dissenso verso il partito e questo governo, quelli di oggi ci
consegnano il ritratto di una classe politica alla bancarotta morale e civile.
Il mancato ridimensionamento dell’acquisto degli F35, promesso da Bersani e dal
Pd, è il penultimo atto di arrogante noncuranza di fronte alle vere emergenze
delle aziende che falliscono, di chi ha perso il lavoro, degli esodati, della
scuola e dell’università che affondano sotto la scure dei tagli di bilancio.
I nostri parlamentari sardi non si sono distinti per
dissenso. Come sul resto. L’ultimo, è stato recapitare nelle mani di un
dittatore al potere la moglie e la figlia di 6 anni del suo principale
oppositore derubricandolo a imbarazzante incidente internazionale da risolversi
con il prepensionamento di un opaco funzionario.
Non
è solo Alfano a doversene andare a casa, sia chiaro, ma tutto questo
improbabile Governo e una bella quantità di Parlamentari che, equamente
distribuiti tra la Camera e il Senato, sono stati nominati esclusivamente per
garantire la sopravvivenza di un dannoso, pervasivo sistema di potere. Si
cancelli il Porcellum, anche con decreto. Sono certa che Sel e M5S non
farebbero mancare il loro appoggio. In mancanza di una nuova legge elettorale
si torni almeno al Mattarellum. E poi, scioglimento delle Camere. Perché, come
diceva Berlinguer: “Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole
un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire
esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l’operazione
non può riuscire.”
Purtroppo, la nostra
credibilità è andata perduta e non dobbiamo nasconderci che una larga parte dei
nostri militanti, iscritti, simpatizzanti percepisce il Governo attuale come il
frutto di un accordo tra oligarchie.
Un Governo che a Berlusconi serve, non più solo ad
allontanare i suoi processi, ma a evitare le conseguenze di condanne che a un
comune cittadino costerebbero ben altro castigo. Lui, invece, può degnamente
rappresentare il Senato della Repubblica con una condanna a 7 anni e
l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Su questo, Letta e Epifani si sono
limitati a dire che rispettano la sentenza della magistratura quando invece
avremmo dovuto votarne l’ineleggibilità.
Da
qualunque lato la vogliamo guardare, per quante giustificazioni vogliamo
trovare, penso che il governo con questo centrodestra sia un danno collaterale
inaccettabile e che un gruppo dirigente che ha condotto (per imperizia o per
oscuro calcolo) il nostro partito a uno stato di così grave necessità
difficilmente possa recuperare la fiducia di chi oggi pensa che il suo voto non
serva a cambiare niente.
Berlinguer diceva: “I
partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o
mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente,
idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. ”
Era il 1981 e oggi subiamo drammaticamente gli effetti di questa mostruosa
degenerazione.
Si può cambiare? È dura. Ma sì, si può. Si deve, se vogliamo dare una speranza,
non tanto e non solo al Pd o al centrosinistra, quanto al nostro Paese e, per
quanto ci riguarda più da vicino, la Sardegna.
Con qualche rara eccezione, in questi sessant’anni e più di sciupata Autonomia,
la classe politica che si è alternata al governo della nostra regione ha
amministrato l’enorme capitale di persone, culture e territorio in modo miope
o, spesso, dissennato. Una politica industriale pesante e a corto respiro, la
svendita di larghe fette di paradiso ambientale destinate a servitù militari
che costituiscono il 70% dell’intero presidio su suolo nazionale, hanno
compromesso per sempre ecosistemi unici al mondo, senza neanche il lascito di
un po’ di ricchezza condivisa con le multinazionali del petrolio o delle armi.
Dobbiamo essere onesti, se la politica ha fatto qualche passo sul fronte dei
poligoni militari, è stato sulla spinta di un tenace comitato e di pezzi della
società civile che, insieme alle inchieste di un giornalista cagliaritano,
hanno convinto un risoluto magistrato ad aprire un processo che ha potuto
individuare una parte di responsabilità, politica e militare, per i pesanti
danni dell’inquinamento.
Il tema del ricambio della classe politica è cruciale e non più rinviabile. Ma
non servono un semplice rinnovamento generazionale, o un congresso guidato dai
soliti, intramontabili capicorrente. Serve una svolta culturale, un
affrancamento dal potere del capo locale. È necessario sottrarsi al suo
ricatto, e riconoscere che in nome dei vantaggi che ne possiamo ricevere
(magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro
correnti), accettiamo iniqui favoritismi e arbitrarie discriminazioni.
Quindi, o si cambia profondamente, o si muore. Il presupposto per competere con un centrodestra regionale in ripresa è riconquistare l’attenzione e la fiducia di quelle persone che non ci votano più, rifugiandosi chi nell’astensione, chi nel voto di protesta. Le primarie possono essere, se le lasciamo aperte alla partecipazione di tutti, una straordinaria occasione di rilancio, non solo per chi ne avrà in capo la leadership ma per tutto il centrosinistra.
Quindi, o si cambia profondamente, o si muore. Il presupposto per competere con un centrodestra regionale in ripresa è riconquistare l’attenzione e la fiducia di quelle persone che non ci votano più, rifugiandosi chi nell’astensione, chi nel voto di protesta. Le primarie possono essere, se le lasciamo aperte alla partecipazione di tutti, una straordinaria occasione di rilancio, non solo per chi ne avrà in capo la leadership ma per tutto il centrosinistra.
A patto che si abbiano
lungimiranza e coraggio nel proporre ai sardi persone e programmi credibili,
che segnino una forte discontinuità con quella parte di classe dirigente che
ancora oggi occupa, a vari livelli, le istituzioni, i consigli di amministrazione,
gli enti regionali, le organizzazioni sindacali e, nonostante gli scandali e
l’inopportunità di evidenti contiguità con i partiti, le fondazioni bancarie.
Invece, tutto scorre, come se niente fosse. La scuola e
l’università dovrebbero essere le priorità di un qualunque soggetto politico
che, nel segno dell’innovazione, si voglia candidare a costruire la Sardegna
dei prossimi 30 anni. Diversamente, non ci sarà classe dirigente, formata e
consapevole delle enormi sfide che ci attendono.
A questi temi decisivi,
aggiungerei la difesa dell’ambiente e del territorio, con un progetto di
sviluppo alternativo all’industria chimica e pesante che ha invece
caratterizzato le politiche degli anni della Rinascita fino alla attuale
devastante crisi; un progetto capace di riconvertire, dove si può, impianti
obsoleti e abbandonati da società rapaci e ormai delocalizzate in paesi dove la
manodopera a basso costo consente ampi margini di guadagno con il minimo
investimento.
Serve un’idea di valorizzazione delle nostre risorse naturali che non siano la
ricerca del metano a migliaia di metri di profondità del sottosuolo o la
cessione di ampi territori alle multinazionali dell’eolico e del fotovoltaico,
per di più senza che ci sia una significativa ricaduta sulla nostra economia.
Piuttosto, serve credere e investire sul nostro potenziale nel settore
dell’agricoltura; sulle nostre specialità, sulla cultura e sul turismo, nelle
coste come nelle nostre splendide zone interne. Stiamo invece assistendo, senza
che ci sia stata una vera opposizione, alla svendita e alla mostruosa
cementificazione che, in tutta la Sardegna e in modo particolare in Costa
Smeralda, Cappellacci e il centrodestra stanno consentendo con i vari piani
casa.
Purtroppo, la resistenza al cambiamento è connaturata
all’essere umano. Nonostante milioni di anni di evoluzione ci dicano il
contrario, continuiamo a pensare che la sopravvivenza nostra o del nostro
gruppo, sia più importante del miglioramento di tutta la specie. A questa
convinzione sacrifichiamo qualunque cosa, anche di fronte all’evidenza che non
è più il bene comune ciò che stiamo perseguendo. In fondo, è stato questo il
male che ha colpito i partiti e, alla fine, la nostra società.
Le vicende che nelle
ultime settimane hanno occupato le pagine dei giornali, il Parlamento e l’aula
del Consiglio regionale parlano anche e soprattutto di questo. Da noi, anche il
passaggio vergognoso sulla legge elettorale approvata di recente con
l’esclusione della doppia preferenza di genere ci restituisce il ritratto di una
classe politica, per lo più maschilista e retrograda, arroccata su una montagna
di insopportabili privilegi.
Si capisce che un’assemblea regionale che su 80 consiglieri conta sole 7 donne
e che ha dovuto ridurre sensibilmente il numero dei seggi nel parlamento sardo,
non tema di cancellare la rappresentanza di genere femminile; l’eliminazione
del listino delPresidente renderà questa eventualità
drammaticamente concreta. Il rischio che venisse affossato l’emendamento
esisteva, in tanti l’abbiamo denunciato e si è concretizzato. E quel voto
segreto, anche su una questione come questa, è stato offensivo e vile.
Il Gruppo del Partito Democratico ha poi presentato una nuova
proposta di legge con un solo articolo, proprio sulla doppia preferenza. Era
una nuova occasione, la nostra battaglia di civiltà. Dicevano si sarebbe
discussa nel giro di qualche giorno. Che fine ha fatto? Come in altre
occasioni, dalla Sardegna alla Penisola, assistiamo pressoché inermi a delle
vuote enunciazioni. Sembra tutto finito nel nulla, soverchiato da altri
problemi, affrontati solo per titoli e per distogliere l’attenzione dalle
insufficienze di un Consiglio regionale ormai concentrato quasi esclusivamente
sulle prossime elezioni. Come Presidente del Pd sardo, vivo la contraddizione
tra il sentimento calpestato del militante e la responsabilità del dirigente di
partito.
E
l’equivoco, alimentato da chi pretende il silenzio di fronte a colpevoli
mancanze, che io debba rappresentare chi governa e rovina il Pd piuttosto che i
suoi elettori e la base. Lascio questo Pd perché, pur con il rispetto verso le
tante persone che ho cercato di rappresentare con dignità e onestà e verso le
quali resta immutata la vicinanza, la stima e la disponibilità a un lavoro
comune, non mi riconosco affatto in chi lo governa realmente a livello
nazionale e regionale. Ma le energie che ho profuso in tutti questi anni nella
speranza di poter incidere positivamente sul cambiamento, pur con i miei errori
che certamente non sono mancati, non si esauriranno con la rinuncia al mio
ruolo di rappresentanza. Proseguirò, con rinnovata passione e determinazione,
l’impegno politico.
Solo, proverò a
seguire una strada più coerente con il mio sentire. Perché torniamo a dire,
come Berlinguer: «Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada
per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che
abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati
insieme…»
Valentina Sanna
Nessun commento:
Posta un commento