Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 18 marzo 2014

Pieno sostegno alla rivoluzione siriana!

Nacho Lavalle (*)

Parla un dirigente della guerriglia siriana

Il 29 novembre abbiamo organizzato, in Argentina, una assemblea in appoggio alla rivoluzione siriana con 220 compagni presenti. E' stato un passo importante nella campagna mondiale che stiamo promuovendo dalla Lit-Quarta Internazionale per circondare di solidarietà un popolo che si sollevò tre anni fa contro  una dittatura sanguinaria come quella di Al Assad e l'intervento imperialista che già hanno spezzato migliaia di vite. 
Il fatto importante in questo caso è stata la visita di Abou Maen che dopo aver svolto incontri ed attività in Svizzera, Spagna, Portogallo e Brasile è arrivato in Argentina. Membro eletto democraticamente del Consiglio Popolare della città di Minbej e comandante della Brigata di Sicurezza della stessa città nella zona liberata. La sua presenza e testimonianza, che ha attraversato fabbriche, università, giornali e conferenze, è una riflessione d'impatto di una  rivoluzione che continua a vivere e si scontra con l'isolamento internazionale. 
Dalla Lit stiamo nel campo politico e militare della rivoluzione. Vicino alle brigate dell'Els che affrontano l'assedio della dittatura di Assad, appoggiata da Russia, Iraq, Iran, Hezbollah ed innumerevoli gruppi. Contro gli estremisti islamici come Al Qaeda, Al Nusra e la Fratellanza Musulmana che lungi dal combattere il regime, cercano di soffocare la rivoluzione. E risolutamente contro ogni intervento imperialista in Siria, nelle parole di Abou Maen: “Abbiamo dichiarato pubblicamente di affrontare in uguale maniera i soldati nordamericani, del regime o di Al Qaeda,  sono tutti nemici della rivoluzione". 
 
La sinistra che piace alla destra 
Da lì lamentiamo insieme a migliaia di combattenti l'astensionismo della sinistra mondiale che volta la schiena a una vera rivoluzione, a un fenomeno di massa. 
Alcuni, i guevaristi o i chavisti, confondono la dittatura di Assad, da più di 40 anni al potere, con un governo socialista, antimperialista e progressivo. Dimenticano che il petrolio siriano lo estrae Shell, che le ditte costruttrici sono francesi e che non è esistito diritto ad organizzarsi in sindacati, associazioni di studenti o partiti in tutte queste decadi nelle quali ha governato la milionaria famiglia Assad. 
Altri, con posizioni realmente vergognose, come il Pts [partito argentino, ndt], tentano dai libri  di esigere dalla rivoluzione che compia una "ricetta da manuale", atteggiamento tante volte respinto dai maestri della rivoluzione russa, Lenin e Trotsky. Esigono espropriazioni sotto controllo operaio, ed Abou Maen risponde con  semplicità e profondità: "Nelle zone liberate non possiamo fare funzionare le fabbriche, ogni volta  che esce fumo da un camino il regime bombarda. Abbiamo ricostruito una raffineria due volte, entrambe le volte distrutta. Quello che molti non capiscono è che in Siria non ci sono mai stati sindacati né organizzazioni operaie, oggi in città come Minbej, i granai, le installazioni elettriche e le dighe di sbarramento sono sotto controllo popolare, dei lavoratori". 
"Con l'inizio della rivoluzione la maggioranza della popolazione rimase senza lavoro, ritornando a  gestire fattorie familiari o a vendere qualcosa per sopravvivere"; "Il Consiglio Popolare lo compongono gli abitanti delle città, operai metallurgici, docenti, venditori. Quando il regime attacca tutti prendiamo le armi, non c'è distinzione tra noi". Così Abou Maen rappresenta la complessa situazione dei lavoratori ed il popolo siriano, che lontano dagli schematismi, ha dato luce, al caldo della rivoluzione alle sue prime federazioni studentesche e unioni di lavoratori. 
 
La questione delle armi 
Un'altra polemica, frutto di accuse da parte della dittatura, è quella sulle armi. Da dove le tirano fuori? Li finanzia l'imperialismo? Abou Maen ha risposto con fatti: "nelle prime città che liberammo, combattevamo con molotov ed armi da caccia, fucili principalmente (…) molte armi  le costruiamo noi stessi, il principale ruolo l'hanno i lavoratori metallurgici, fanno mortai, lancia razzi ed un mese fa costruirono il primo carro armato casalingo (... ) via via che si inasprivano gli scontri, molti gruppi dell'esercito siriano ruppero le file per unirsi all'eterogeneo Esercito Libero Siriano, portando con loro le armi (…) la maggioranza delle armi le otteniamo dopo che sconfiggiamo le truppe del regime, qualunque esperto che venisse in Siria saprebbe subito che le armi che possediamo sono state in Siria da molto tempo, non abbiamo M16, M4 né niente di simile  [riferendosi alle armi dell'esercito nordamericano]". 
Ora tra chi si definisce rivoluzionario c'è una polemica maggiore, bisogna esigere o no le armi dall'imperialismo per affrontare la dittatura? "La peggiore paura nelle città sono gli aeroplani Mig-29, i Sukhoi russi ed i missili Scud, volano a più di 12km di altezza e non c'è modo di abbatterli coi fucili (…) esigiamo armi dal Nord America e da qualunque Paese possa darceli, ma non permetteremo che con esse vengono truppe, vogliamo le armi per lottare per il nostro futuro,  come popolo siriano (... ) se non vogliono che esigiamo armi dal Nord America ci dicano da dove  tirarle fuori, perfino il mercato nero è controllato dall'imperialismo (... ) affrontiamo con fucili e  razzi una dittatura armata fino ai denti con carri armati, aeroplani e missili balistici". 
 
Sui gruppi religiosi  Abou Maen ha raccontato nella conferenza e in chiacchierate precedenti come i supposti gruppi  "antimperialisti estremisti" in realtà funzionano come quinta colonna dell'esercito del regime. "Al Qaeda, Al Nusra e la Fratellanza Musulmana si dedicano a parassitare le zone liberate, non stanno nel fronte di combattimento contro il regime, si stabiliscono in città come Minbej e cercano di distruggere quello che costruiamo (...) Tentarono innumerevoli volte di attaccare il Consiglio Popolare di Minbej, non possono farlo direttamente perché ci appoggia il popolo, ogni volta che ci provarono rispondemmo con manifestazioni con migliaia di persone in città", "è semplice, a Minbej sventola una bandiera di Al Qaeda di 12 per 6 metri, non fu mai bombardata. 
La nostra base, invece, senza bandiera e nascosta, fu bombardata decine di volte", "io stesso ed i miei compagni abbiamo subito ordine di cattura e minaccia di morte da Al Qaeda", "noi prospettiamo una Siria democratica, laica e con libertà di culto, di espressione e di stampa, per quel motivo ci vogliono eliminare". Inoltre spiega come le differenze tra le sette sono sfruttate dal regime chi dà il controllo dell'esercito agli Alauiti ma non permette loro di accumulare ricchezze né di uscire dal Paese. Dicono loro "che vogliamo ammazzarli e per quel motivo devono combatterci, ma questa non è una guerra religiosa, è una rivoluzione contro una dittatura". “Nella mia brigata ci sono due cattolici, un alauita ed un sheik, e poi ci siamo noi atei".
 
La donna nella rivoluzione siriana 
Uno dei dubbi emersi più volte nelle discussioni e nella conferenza è stato sul ruolo della donna nella rivoluzione siriana. “Non è mai agevole rispondere a questo perché non essendo donna non posso sentire realmente quello che loro sentono", “ci sono brigate composte interamente da donne, la zona di Salahadin è sotto il controllo di una brigata di donne, è una delle più forti ed efficaci di tutto l'Els", "a Minbej affrontiamo il ritardo culturale e l'oppressione alle donne, nessuno si domanda perché in così poche votano al consiglio locale, si domandano perché dovrebbero votare?", “noi pensiamo a come far sì che gli uomini imparino a rispettare le donne a Minbej. Le mettiamo al comando dei compiti centrali di rifornimento, una di esse controlla la somministrazione del grano, ogni volta che gli uomini hanno bisogno di grano per panificare devono accettare le condizioni che lei determina". "Senza dubbio le donne affrontano due rivoluzioni contemporaneamente, una contro il regime ed un'altra contro una cultura che le opprime da secoli". 
 
Imparando nella pratica 
Abou Maen ha spiegato come avendo vissuto per anni senza accesso ad esperienze politiche, la rivoluzione ha risvegliato differenti esperienze negli attivisti. "È necessario che si intenda che nessuno di noi ha fatto mai  parte di un partito, di un'associazione studentesca o di un sindacato, prima della rivoluzione non avevamo esperienza politica di nessun tipo." "A Minbej abbiamo provato  differenti forme di organizzazione, oggi quella del Consiglio Popolare, eletto ogni 3 mesi alle urne in maniera democratica, che ha la responsabilità di tutte le decisioni della città" "Sul piano militare, i militari decidono solo gli aspetti tattici, di esecuzione, tutte le altre decisioni le prende il Consiglio popolare perché non crediamo che i militari debbano stare al potere", "le strutture produttive, la diga di sbarramento, il granaio, le installazioni elettriche, le abbiamo poste sotto il controllo dei lavoratori, essi presentano liste e si vota quale sarà quella che dirigerà l'installazione e farà parte del consiglio locale", "quando la Lit è venuta a Minbej ed abbiamo cominicato a conoscere in profondità le opere di Marx, Lenin, Trotsky, Moreno, ci siamo sentiti molto concordi e pensiamo che abbiamo messo in  pratica molto di quello che essi dicono", "in questo giro sto raccontando la realtà siriana che i mezzi di informazione vogliono occultare e sto imparando anche come dobbiamo organizzarci e l'importanza di costruire un partito dei lavoratori  in Siria".
 
(dicembre 2013)
 
(*) da Avanzada socialista, periodico del Pstu, sezione argentina della Lit-Quarta Internazionale
 
(traduzione dallo spagnolo di Mauro Buccheri)

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