Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 17 marzo 2016

Comune di Parigi: primo governo operaio

Scintilla Onlus


Nel 145° anniversario della Comune di Parigi (18 marzo 1871), primo governo rivoluzionario della classe operaia vi proponiamo in allegato la poesia di Arthur Rimbaud “L’orgia parigina ovvero Parigi si ripopola”.
Questa magnifica poesia del maggio 1871 fa parte del trittico di Rimbaud consacrato alla Comune, insieme con “Le mani di Jeanne-Marie” e “Canto di guerra parigino”. Il poeta descrive il ritorno dei versagliesi e della marcia borghesia parigina dopo la feroce repressione dei comunardi. Ma la poesia è anche un inno commosso in onore della Comune vinta ma non morta, ed anzi preparatoria di lotte future.




L’ORGIA PARIGINA OVVERO PARIGI SI RIPOPOLA


Vigliacchi, eccola! Riversatevi nelle stazioni!

Il sole ripulì coi suoi polmoni ardenti

i viali che una sera pullularon di Barbari.

Ecco la Città santa, assisa in occidente!



Su! impediremo il riflusso d’incendio,

ecco i Lungosenna, ecco i viali, ecco

le case sull’azzurro lieve che s’irradia

e che una sera il rossore delle bombe costellarono!



Nascondete i palazzi morti nelle cucce di tavolati!

L’antica luce sbigottita rinfresca i vostri sguardi.

Ecco la truppa fulva di chi dondola le anche:

siate folli, sarete strambi, essendo truci!



Torma di cagne in foia che mangiano cataplasmi,

il grido delle magioni auree vi reclama.



Volate! Mangiate! Ecco la notte gioiosa spasimante

Ecco che cala ovunque! O tetri bevitori,


trincate! Quando la luce arriva intensa e folle,

frugando accanto a voi i grondanti sfarzi,

voi non sbaverete dietro, immobili, muti,

nei vostri boccali, gli occhi spersi in scialbe lontananze?



Tracannate, alla Regina dalle chiappe cascanti!

Ascoltate il lavorio dei rutti stupidi

e laceranti! Ascoltate saltare nelle notti ardenti

gli idioti che farfugliano, i vecchi, i fantocci, i lacchè!



O cuori di sudiciume, bocche spaventose,

funzionate con più vigore, bocche di putridume!

Un po’ di vino per questi ignobili torpori, sulle tavole…

O Vincitori, le vostre pance son colme di vergogna!



Aprite le vostre narici alle nausee superbe!

Inzuppate di micidiali veleni le corde dei vostri colli!

Sulle nuche infantili abbassando le sue mani in croce

Il Poeta vi dice: “Vigliacchi, siate folli!



Perché voi rovistate nel ventre della Donna,

voi temete che ancora lei abbia una convulsione

che gridi, asfissiando la vostra infame nidiata

sul suo petto, in un orribile stretta.



Sifilitici, pazzi, re, buffoni, ventriloqui,

che gliene frega a Parigi la puttana,

delle anime, dei corpi, dei veleni e dei cenci vostri?

Tutti voi si scrollerà di dosso, ringhiosi marci?



E quando sarete a terra, in gemito sulle vostre budella

sfiancati, reclamando i vostri soldi, sconvolti,

la cortigiana rossa dai seni turgidi di battaglie

lungi dal vostro stupore torcerà i suoi alti pugni!



Quando i tuoi piedi hanno ballato sfrenati nell’ira,

Parigi! quando tu hai preso tante coltellate,

quando tu cadesti, trattenendo nelle tue chiare pupille

un po’ della bontà della fulva primavera,



o città in dolore, o città quasi morta,

la testa e i due seni scagliati all’Avvenire

che schiude sul tuo pallore miliardi di porte,

città che l’oscuro Passato potrà benedire:



corpo rimagnetizzato per le atroci pene,

tu dunque ti abbeveri all’orrida vita! Tu senti

sgorgare il flusso di lividi vermi nelle tue vene,

e sul tuo chiaro amore scorrere le dita glaciali!



E non è un male. I vermi, i lividi vermi

non fermeranno più il tuo soffio di Progresso

come le Strigi non spegnevano l’occhio delle Cariatidi

su cui lacrime d’oro astrale scendevano dagli azzurri gradini.



Anche se è orrendo vederti tanto oppressa,



anche se non si è mai fatto di una città

ulcera più fetida nella verde Natura,

il Poeta ti dice: “Splendida è la tua Bellezza!”



La tempesta ti ha consacrato come suprema poesia;

l’immenso agitarsi di forze ti soccorre;

la tua opera pulsa, la morte ringhia. Città eletta!

Ammassa gli stridori nel cuore della tromba sorda.



Il Poeta prenderà il singhiozzo degli Infami,

l’odio dei Forzati, il clamore dei Maledetti;

e i suoi raggi d’amore flagelleranno le Donne.

Le sue strofe balzeranno: Ecco, Ecco! Banditi!



Società, tutto è ristabilito: le orge

rimpiangono i vecchi rantoli nei vecchi bordelli:

e i gas in delirio, contro i muri insanguinati,

fiammeggiano sinistri verso quel cielo squallido!


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Video clip  a cure di Luciano Granieri editata il 30 marzo 2011



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