Dallo scontro nasce la creatività. E’ una trasposizione del
pensiero eracliteo a cui l’evoluzione
musicale degli Stati Uniti negli anni ’60,
determinata dalle lotte per i diritti civili e per
l’eguaglianza sociale, dà piena e incontrovertibile legittimità.
L’elemento veramente fondante del processo conflittuale di quel decennio è
costituito da un fatto innovativo
enorme. Le lotte dei neri e delle altre minoranze per i diritti civili e per una vita dignitosa, confluiscono in un
unico grande conflitto. Quello che si
coagula sotto le ragioni dell'antimperialismo.
Il contesto storico e sociale
La paura del "rosso", messo fuori legge dal "Comunist Act" del 1954, non fu mai percepita sul serio dalla società americana. Era un
sotterfugio per bollare come comunisti
coloro i quali non erano contigui alla borghesia statunitense . Ma dopo la rivoluzione cubana del 1959, che
aveva rovesciato la dittatura di Fulgencio Batista e consacrato l’era di Fidel
Castro, il pericolo comunista era arrivato due passi dalla Florida. Non è da
sottovalutare l’aspetto per il cui il
Lider Maximo aveva cacciato dall’isola i gangsters americani i quali facevano
affari con la droga, la prostituzione, e
soprattutto aveva espulso le
multinazionali che a Cuba erano diventate
padrone di tutto . A questa improvvisa minaccia
per l’establishment si unirono le violente
proteste delle classi subalterne contro l’ingiustizia sociale e la ghettizzazione. Sommosse che non erano alimentate solo dai neri, ma dal
proletariato in generale. Da Harlem,
ma anche dai ghetti
di Chicago, Filadelfia, Dayton , Atlanta, si sollevò una rivolta generalizzata. Lo storico Charles
Silberman nel suo libro “Crisi in bianco
e nero, il problema negro negli Stati Uniti” ha scritto
: “ I dimostranti erano i
disoccupati, i poveri, gli analfabeti, coloro i quali avevano sempre represso
il loro odio per salvare la pelle. Essi
non avevano partecipato alle pacifiche dimostrazioni condotte da Martin Luther King e dai suoi
sostenitori , che del resto non li volevano tra le loro file”. Il
batterista Kenny Clarke, descrivendo gli
aspri incidenti di Harlem del 1964 affermò
: “L’estate del 1964 portò violente
proteste nei ghetti delle città d’America, non sottoforma di mobilitazione di
una vera e propria forza, ma come
scoppio di una rivolta spontanea. Non fu un sommossa razziale nel senso di una folla di negri lanciati
all’assalto di una folla di bianchi, tuttavia il fatto razziale fu preponderante. Gli incidenti di Harlem del 1964 furono più spaventosi di una sommossa
razziale”. L’invettiva si rivolgeva in modo incontrovertibile alla
borghesia in generale, compresa quella di
colore. Esisteva
, infatti, una middle class nera, il cui archetipo era
l’attore Sidney Potier, e lo ziotomismo era un
atteggiamento consolidato nelle
espressioni artistiche, nella musica in
particolare. Louis Armostrong fu un
tipico esponente del fenomeno. La
borghesia nera rifiutava apertamente il contatto con la grande massa di gente dal loro
stesso colore di pelle relegati nei
ghetti. Essi consideravano i neri del
sottoproletariato povero come individui
incapaci, che non avevano “saputo” accettare sia le regole della società stessa,
che la sua religione dell’acquiescenza. A
fianco delle rivendicazioni per i diritti civili e sociali, montava la protesta
contro la guerra in Vietnam . Il popolo vietnamita era considerato vittima
dell’imperialismo alla stessa stregua
del proletariato, bianco o nero che fosse. La protesta contro l’America delle
multinazionali e della vessazione verso le classi più povere, proliferava anche nel mondo accademico bianco
. Nell’università di Berkley, situata nella iperconservatrice California, si ebbe
nel 1964 una prima significativa occupazione. Gli studenti chiedevano di poter
intervenire sui metodi d’insegnamento, sulla finalità della ricerca
universitaria, di poter usare l’ateneo
per discutere dei problemi di fondo della società. In quel periodo l’università usufruiva di un
finanziamento annuo di 650 milioni di dollari utilizzato dai docenti per far
eseguire agli studenti ricerche
finalizzate all’attività bellica. Il collegio dei reggenti era composto dall’amministratore
delegato della Bank of America , del vice
presidente della Lockheed e da altri manager illuminati del mondo economico e finanziario.
Uno dei leader studenteschi Mario Savio, in merito all’occupazione
dell’università così si espresse: “L’estate
scorsa andai nel Mississippi per partecipare alla battaglia per i diritti
civili. Alcuni crederanno che i campi di battaglia siano diversi. Non è vero.
Si tratta di una lotta contro lo stesso nemico, una minoranza potente e
autocratica che opprime una larga
maggioranza praticamente inerme” Dunque
questa potente aggregazione di conflitti costituì lo sfondo sociale su cui si
sviluppò un movimento musicale di protesta imponente. Gli indirizzi sonori che il popolo di Harlem
usò come vessilli di lotta furono due, il rhythm’n’blues ed il free jazz o new thing. Espressioni forti ma dalle caratteristiche e dalle
potenzialità rivendicative molto diverse. A queste si affiancherà il folk song
bianco il cui precursore fu l’anarcoide Woody
Guthrie. Bob Dylan e Joan Baez furono i
musicisti più rappresentativi. Ma la trattazione che ora vogliamo sviluppare
riguarda la musica nera.
Il Rhythm’n’blues
Le Roi Jones ne “Il popolo del blues “ offre una sintetica ma efficace rappresentazione di
questo stile: “Il R&B rappresentò una
sorta di frenesia e di volgarità sconosciuta alle vecchie forme del blues .
Come se la guerra avesse cancellato d’un tratto quella patina umanistica
euro-americana che la musica afroamericana aveva assorbito. I cantanti di
R&B dovevano letteralmente urlare
per non essere sopraffatti dal fragore degli strumenti elettrici e dal crepitio delle sezioni ritmiche. Il
blues era sempre stato musica vocale , e anche se l’accompagnamento strumentale
rientrava nella tradizione, la voce umana doveva combattere, urlare per essere
udita” . Combattere e urlare era ciò che facevano i neri nei ghetti per
sopravvivere. Nella voglia di urlare si può intravedere anche una sorta di scontro
generazionale . Per i giovani neri il dinamismo del R&B incitava alla lotta, a scendere in strada per
rivendicare con forza i propri diritti calpestati. Atteggiamento in pieno contrasto
con i lamentosi rimuginamenti del blues che aveva accompagnato la vita della
generazione precedente. Nel blues le
madri e i padri dei giovani contestatori vedevano più una forma intimistica dove
rifugiarsi nel rassicurante alveo delle proprie radici. La nuova espressione trovò un’ampia diffusione grazie anche alla sua
struttura musicale estremamente semplice. Da Harlem si trasmise in tutti gli altri ghetti d’America,a
Detroit a Chicago, a Filadelfia a Baltimora. La musica di Muddy Waters, Otis Redding, Ray Charles, Aretha Franklin e
molti altri, divenne la colonna sonora delle proteste antirazziali
nei ghetti. I combattenti neri del Black
Panther Party e di altre simili
organizzazioni fecero del R&B la loro musica distintiva. In realtà i protagonisti del R&B, pur inviando
messaggi politici e descrivendo bene la loro condizione subalterna, dalla quale
volevano affrancarsi , raramente uscivano dall’ambito musicale per rivendicare i propri diritti . Come sempre
accade nel mondo culturale americano, dopo una breve resistenza al musical
business il R&B, grazie alla sua struttura
genuina ed accattivante, divenne fonte di enormi affari per i bianchi. Il successo
commerciale, ovviamente, determinò la
completa depurazione dei brani dalle
note conflittuali, ne venne depotenziata, fino ad annullarla, la valenza di
forte contestazione . Il caustico
R&B aprì la strada al rock and roll, una miniera d’oro per il musical buisiness bianco. Ancora una volta i bianchi si erano impossessati di
una originale espressione nera per realizzare immani guadagni.
La New
thing, il free jazz.
Alcuni musicisti, nati e cresciuti attraverso il R&B,
decisero di compiere un passo ancora più conflittuale inserendo la protesta
proprio nel modo di concepire la composizione musicale. Ne nacque un’espressione tipicamente
jazzistica ma del tutto rivoluzionaria, inizialmente definita come New Thing o Black Music . Alcuni protagonisti, fra i più politicizzati di questo stile, avrebbero voluto non utilizzare il termine
jazz nel qualificare la nuova musica. Un
termine che aveva consentito
appropriazioni e mistificazioni da parte dei bianchi per cui il popolo nero non
la riconosceva più come sua. L’atteggiamento zio tomistico del “Jim Crow” che
si esibisce per compiacere i bianchi, era
un retaggio che non doveva più esistere.
Il sassofonista Archie Shepp, una delle icone del nuovo jazz ebbe a dire
in un’intervista “E’ finita per i figli
dei bianchi: non balleranno più con la musica
del pagliaccio nero. E’ finita con i battelli del Mississippi e le sale da ballo di Chicago o di Manhattan,
con lo sfruttamento, con l’alcool, con la fame, con la morte. E’ durato
cinquant’anni il viaggio del nero verso il Nord. I figli del battelliere e dell’emigrante hanno valicato i confini
folkloristici del jazz” In realtà storicamente oltre che New Thing si
continuerà ad usare la parola jazz per definire il nuovo corso. Ma a jazz si
anteporrà il termine free. New thing e
free jazz quindi. Un’operazione di abbattimento
dei confini armonici e melodici, operato grazie allo studio e alla conoscenza profonda della musica (per
distruggere qualcosa bisogna conoscerla profondamente). Strutture musicali che, nella vita del ghetto, erano
la metafora degli staccati innalzati dall’ingiustizia sociale, dall’arroganza
imperialista. Veri e propri muri eretti contro
il dispiegamento di una vita dignitosa e libera. Free appunto. Molti
musicisti di free jazz, dopo essersi fatti le ossa nei
gruppi di R&B, avevano studiato, si erano diplomati nei conservatori. Ciò che è
riportato sulla copertina del disco “Free Jazz”, il manifesto della nuova
musica inciso dall’alto-sassofonista Ornette Coleman nel dicembre del 1960, offre
una precisa descrizione di quale fosse il significato di tale linguaggio: “Free jazz a collective improvisation by the
Ornette Coleman Double quartet”. Nell’improvvisazione
jazzistica tradizionale esiste un tema,
un giro armonico su cui i musicisti improvvisano. Nel caso di free jazz, si parte direttamente
dall’improvvisazione, la quale ogni
tanto esprime dei temi su cui ci si sofferma, per poi riprendere ad inventare di nuovo liberamente. In pratica ne sortisce
un’improvvisazione fiume di 38 minuti. E’ la libertà assoluta divisa nelle due
facciate del disco “free jazz 1” “free jazz 2”. E’ quella libertà basata
sul rifiuto di ogni valore prestabilito, allo stesso modo in cui gli
avvenimenti della società in quegli anni dicevano all’allibito cittadino
americano, aduso a considerare immutabili
certi valori, che quei valori -
tutti- dovevano essere messi in discussione, e nulla doveva essere considerato
intangibile. Per completare il discorso
su free jazz citiamo i componenti dei
due quartetti : Il primo allineava Don
Cherry alla tromba, Coleman al sax alto, Scott
La Faro al contrabbasso e Billy
Higgins alla batteria, il secondo Freddie Hubbard alla tomba, Eric Dolphy al
clarino basso, Charlie Haden al
contrabbasso, Ed Blackwell alla batteria. In realtà il discorso politico
legato consapevolmente alla musica jazz era nato già nel decennio precedente
con il tenor-sassofonista Sonny Rollins. Anche il contrabbassista Charlie
Mingus fu jazzista politico, fra l’altro Eric Dolphy , uno dei protagonisti di
free jazz, si fece
conoscere proprio nei jazz workshops mingusiani. Al batterista Max Roach e alla moglie, la cantante Abbey Lincoln, si deve la prima suite dove si
inneggiava alla libertà sociale associata alla libertà musicale . Il titolo è
inequivocabile. Freedom now suite. I
musicisti free più politicizzati avevano maturato una vera e propria ideologia
antimperialista. Dalle rivendicazioni del ghetto passarono direttamente al marxismo, perfettamente consapevoli
delle grandi contraddizioni che flagellavano il clima internazionale . Al pianista Cecil Taylor un giornalista chiese se appartenesse ai Black
Muslim o al Black Panther Party. Egli rispose perentoriamente: “Nooo…..I’m marxist”. Sempre nella stessa
intervista rilasciata in occasione del primo concerto di Taylor in Italia a Bologna, il pianista, commentando
una manifestazione organizzata dai
francesi contro la guerra in Vietnam, osservò” Ma come fanno i francesi
a giustificare le loro manifestazioni contro la guerra in Vietnam, tenendo
conto del loro atteggiamento , della loro condotta in Algeria, e quando essi
sono fra i maggiori fornitori di armi al governo razzista dell’Africa del Sud?”. Il già citato Archie Shepp fu un altro
artista estremamente politicizzato. Come molti freeman si formò nei gruppi di
R&B, per poi, nel 1960, costituire un sodalizio consolidato proprio con
Cecil Taylor. Tutta la sua musica ed il suo comportamento sul palco sono un
vero manifesto politico. Il tenorsassofonista,
nato in Florida nel 1937, alla stregua di molti musicisti del free iniziò ad affermarsi in Europa, a Copenhagen per l’esattezza, con il suo gruppo “New York Contemporary Five” composto da: Don Cherry alla tromba, John Tchicai al sax alto , Don Moore al
contrabbasso, e J.C. Moses alla
batteria. Shepp si presentava sul palco ricoperto dal daishikj, un abito
di origine swahili. Emblematico
in questo contesto il brano The Funeral esplicitamente realizzato in memoria di Medgar
Evers il segretario dell’Naacp assassinato dai razzisti. Archie Shepp è anche
un notevole poeta e commediografo. Ha composto testi da sovrapporre alle sue
musiche come ad esempio Malcom, Malcom
always Malcom, chiaramente dedicato a Malcom X. Nel panorama free
lasciarono un segno indelebile anche musicisti che cercavano di risolvere la
precarietà che la società imponeva loro, in quanto neri, attraverso una esasperata rivoluzione mistica.
E’ il caso di John Coltrane. Il
sassofonista nato ad Hamlet in North Carolina nel 1926, fu realmente il primo a
proporre un linguaggio nuovo. Nel disco Kind of Blue registrato con Miles Davis
nel 1959 Coltrane iniziò ad esplorare le strade dell’improvvisazione modale. Continuò
poi la propria ricerca con gruppi propri, il più famoso vide come suoi compagni
di viaggio Mc Coy Tyner al pianoforte,
Elvin Jones alla batteria Art Taylor e Jimmy Garrison al contrabbasso e
l’immancabile Erich Dolphy al clarinetto basso. Coltrane fu uomo estremamente
religioso affascinato dalle religioni
indiane , la sua ricerca espressiva si concentrò
proprio sullo studio delle tecniche strumentali indiane. Tanto che dopo
l’incisione di capolavori come Africa
Brass, Spiritual o Alabama, legate ancora alla radici blues e comunque comprese nell’area free, nel 1965 e
nel 1966 realizzò A love supreme (a cui partecipò anche lo stesso Archie Shepp), Ascension , OM. Opere ispirate al misticismo orientale. Fu
la prima volta nella storia del jazz che delle incisioni si staccassero
completamente delle radici africane e afroamericane. La rivoluzione mistica fu tipica anche del
linguaggio dell’allievo di Coltrane
Farrell “Pharoah” Sanders. A
differenza del R&B il free non ebbe mai una presa e una diffusione tale da
trasformarlo in una bandiera per la
lotta di un popolo che stava combattendo duramente per la propria dignità. Il Free jazz era indubbiamente una musica
“contro”, qualificata non solo dalle dinamiche musicali ma anche dalle
dichiarazioni e dagli atteggiamenti dei jazzisti che lo suonavano. Citiamo
ancora Archie Shepp: “ Il jazz è contro
la guerra, contro quella del Vietnam, perché è per Cuba, per la liberazione di
tutti i popoli . Perché il jazz è una musica nata essa stessa dall’oppressione,
è nata dall’asservimento del mio
popolo”. Una musica così
smaccatamente “contro” negli Stati Uniti
naturalmente venne presto cancellata
dai circuiti musicali, costringendo i suoi interpreti a trasferirsi in
Europa. Qui a differenza degli Stati Uniti il movimento giovanile studentesco
del ’68, in particolare in Francia, si riconosceva pienamente negli stilemi
anticonformisti e dissacratori del free. Non solo in Francia il nuovo jazz
trovò diritto di cittadinanza. In Danimarca il Jazhus Montmatre di Copenaghen
sarebbe diventato un punto nevralgico per la diffusione della musica
d’avanguardia. Stesso successo si ebbe in Germania dove l’etichetta
discografica ECM, si incaricò di dare
spazio in sala d’incisione, a tanti
freeman. Anche in Italia, il movimento d’avanguardia ebbe un buon
successo, esprimendo musicisti notevoli , Enrico Rava, Paolo Diamani, Gianluigi
Trovesi, fra gli altri.
Morale della favola
Siamo dunque giunti alla fine di questo percorso musicale.
La black music negli anni ’60 in America costituì una svolta culturale di
rottura come poche altre. Il filone free
continuò anche negli anni ’70 con gli Art Enesemble of Chicago, il trombettista Don Cherry, e altri
musicisti, ma la granitica società
borghese americana, basata sui valori consolidati della razza bianca e di un ipocrita perbenismo conformista, aveva
ancora una volta imposto la sua dura
legge. Il R&B, pur lasciandoci molte
incisioni memorabili si consegnò allo show business , prese ogni sua forza d’urto diventando
uno dei filoni che generarono il miliardario, per agenti e musicisti, rock and roll . Il free jazz fu
praticamente sfrattato dagli States costringendo gli artisti o a ritirarsi dalla scena o ad emigrare in
Europa. Al di la di ogni considerazione
di tipo artistico, sociale e politico è un fatto che da quel decennio di
conflittualità nacque una forza musicale
creativa senza pari.
Archie Shepp nel 1965 ebbe a dire
“Le manifestazioni del jazz
debbono essere sviluppate per farle coincidere con un contesto artistico,
culturale, sociale ed economico
completamente nuovo. Non si può negare
che la nostra musica e i suoi successivi sviluppi abbiano le radici nelle
strutture sociali”. Lo sviluppo auspicato da Shepp non si è ancora
realizzato e forse mai si realizzerà . E’ un fatto però che la forza creativa del free condizionò
tutta la musica che venne dopo, anche
quella colta europea. Per un’espressione folklorica come quella afroamericana questo tipo di colonizzazione
di ritorno è estremamente significativa sulla
ineluttabilità della contaminazione
culturale e dell’abbattimento dei confini espressivi ed artistici. Questi muri sono
stati abbattuti, ora si aspetta di abbatterne altri, quelli razzisti che stanno ingolfando i confini della Nazione americana con il Centro America e degli
Stati Europei. Barriere innalzate per evitare che immigrati,
vittime delle guerre e delle privazioni ordite dall’imperialismo occidentale giungano a turbare il quieto e ipocrita
scorrere della vita borghese di tutti i giorni.
Di seguito abbiamo selezionato tre brani espressione del R&B del free politicizzato e del free mistico. Muddy Waters, Archie Shepp e John Coltrane ne sono i protagonsti.
Good Vibrations.
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