Novantasei anni sono trascorsi dal giorno in cui i delegati di 58.783 comunisti - la parte più avanzata e consapevole della classe operaia del nostro paese – si separò dai socialisti e fondò nel Teatro San Marco di Livorno il Partito Comunista d'Italia – Sezione dell'Internazionale Comunista.
Fu una decisione di portata storica, che dette per la prima volta alla classe operaia italiana il suo partito rivoluzionario, fondato sui princìpi di Marx, Engels e Lenin e sulle basi ideologiche e organizzative stabilite dalla Terza Internazionale.
Nei punti 2, 3 e 7 del programma adottato dal nuovo Partito il netto distacco dal riformismo socialdemocratico dei Turati e dei Treves e dall'inconcludente massimalismo dei serratiani veniva espresso con la massima chiarezza:
“2. Gli attuali rapporti di produzione sono protetti dal potere dello Stato borghese, che, fondato sul sistema rappresentativo della democrazia, costituisce l'organo per la difesa degli interessi della classe capitalistica.
3. Il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva il suo sfruttamento, senza l'abbattimento violento del potere borghese.
7. La forma di rappresentanza politica dello Stato proletario è il sistema dei consigli dei lavoratori (operai e contadini), già in atto nella rivoluzione russa, inizio e prima stabile realizzazione della dittatura del proletariato”.
Quattro mesi dopo Livorno, Antonio Gramsci così commentava quelle decisioni congressuali in un articolo dell'Ordine Nuovo, dal titolo tagliente e significativo:“Socialista o comunista?”:
“Credono i proletari che gli organismi della classe borghese possano servire come organi di governo anche per la classe proletaria, che essi possano servire a dare libertà e giustizia ai lavoratori, mentre sino ad oggi sono serviti solo a dare ad essi schiavitù e tormenti? [… ] Bisogna che il potere stesso passi ai lavoratori, ma essi non potranno mai averlo fino a che essi si illudono di poterlo conquistare ed esercitare attraverso gli organi dello Stato borghese.
… Occorre che dominatori di tutta la società diventino gli operai, i contadini, i lavoratori di ogni categoria, che essi abbiano il potere e lo esercitino attraverso istituti nuovi, i quali diano alla società una nuova forma e una disciplina di ordine e di lavoro per tutti. Occorre che ogni altra lotta sia subordinata a quella per la conquista del potere, per la creazione del nuovo Stato, dello Stato degli operai e dei contadini” (13 maggio 1921).
Fu necessaria la scissione? Se, come osservò Gramsci in un altro articolo, il non essere riusciti, i comunisti, a portare nel nuovo Partito la maggioranza dei congressisti di Livorno giovò indubbiamente alle forze reazionarie, non vi è dubbio che la nascita della Sezione italiana dell'Internazionale Comunista fu un grande risultato storico, una grande vittoria dei proletariato italiano. Per quale ragione?
“Perché il Partito Socialista non era che un amalgama di almeno tre partiti; è mancato in Italia nel 1919-20 un partito rivoluzionario ben organizzato e deciso alla lotta. Da questa posizione di equilibrio instabile è nata la forza del fascismo italiano, che si è organizzato e ha preso il potere […] Noi siamo persuasi che sia condizione preliminare per iniziare la trasformazione dell'economia da capitalista in socialista il possesso del governo, la rottura completa degli attuali rapporti politici, lo schiacciamento fisico della reazione e della classe dominante. Il processo di trasformazione sarà più o meno rapido a seconda dello sviluppo delle forze economiche; esso può essere iniziato però in tutti i paesi dell'Europa e dell'America e in una serie di paesi degli altri continenti; ma può essere iniziato dopo la conquista del potere, in regime di dittatura del proletariato” (Gramsci,“L'Unità”, 26 settembre 1926).
E ancora: “L'occupazione delle fabbriche non è stata dimenticata dalle masse e non solo dalle masse operaie, ma anche dalle masse contadine. Essa è stata la prova generale della classe rivoluzionaria italiana. [… ] Se il movimento è fallito, la responsabilità non può essere addossata alla classe operaia come tale, ma al Partito socialista, che venne meno ai suoi doveri, che era incapace e inetto, che era alla coda della classe operaia e non alla sua testa. [… ] Come classe, gli operai italiani che occuparono le fabbriche si dimostrarono all'altezza dei loro compiti e delle loro funzioni. Tutti i problemi che le necessità del movimento posero loro da risolvere furono brillantemente risolti. Non poterono risolvere i problemi dei rifornimenti e delle comunicazioni perché non furono occupate le ferrovie e la flotta. Non poterono risolvere i problemi finanziari perché non furono occupati gli istituti di credito e le aziende commerciali. Non poterono risolvere i grandi problemi nazionali e internazionali perché non conquistarono il potere di Stato. Questi problemi avrebbero dovuto essere affrontati dal Partito socialista e dai sindacati che invece capitolarono vergognosamente, pretestando l'immaturità delle masse; in realtà i dirigenti erano immaturi e incapaci, non la classe. Perciò avvenne la rottura di Livorno e si creò un nuovo partito, il Partito comunista”(Gramsci, “L'Unità,” 1° ottobre 1926).
Di grande importanza per noi comunisti del XXI secolo è anche il processo unitario che portò alla fondazione del nuovo Partito negli anni Venti del secolo scorso. Concorsero alla nascita del P.C.d’I. compagni provenienti da diverse esperienze di lotta che, nei convegni di Milano e di Imola del 1920, seppero costruire insieme quella frazione comunista che si presentò unitariamente a Livorno contro i riformisti e i serratiani.
Né va dimenticato l'importantissimo ruolo propulsivo svolto da Lenin personalmente e dalla Terza Internazionale per incoraggiare i comunisti italiani a rompere politicamente ed organizzativamente con le diverse anime dell’opportunismo riformista.
Oggi, dopo l'affossamento di quel partito rivoluzionario da parte del moderno revisionismo, del togliattiano cosiddetto “partito nuovo” e della sua fallimentare “via pacifica e parlamentare al socialismo”, il problema della costruzione del partito rivoluzionario, marxista-leninista, della classe operaiaè di nuovo all'ordine del giorno.
Le ragioni che portarono alla costituzione del P.C.d’I. nel 1921 sono più valide e attuali che mai! La gravità della crisi generale del capitalismo, la situazione drammatica in cui la borghesia ha trascinato il nostro paese, devono spingere tutti i sinceri comunisti, gli operai d’avanguardia, le donne proletarie, i giovani rivoluzionari a moltiplicare gli sforzi per la costruzione di una forte organizzazione politica indipendente e rivoluzionaria della classe sfruttata, senza la quale non si può avere nessuna prospettiva di abbattimento del barbaro e morente sistema capitalistico.
Il Partito comunista – reparto di avanguardia organizzato e cosciente del proletariato - è lo strumento indispensabile per dirigere la lotta del proletariato per la conquista del potere politico, l’instaurazione della dittatura del proletariato e la costruzione della società pianificata dei produttori, il socialismo!
La nostra Organizzazione lavora per questo Partito e invita tutte le compagne e i compagni che condividono gli stessi principi e obiettivi a separarsi nettamente e definitivamente col revisionismo, il riformismo e l’opportunismo, a confrontarsi, cooperare e organizzarsi insieme a noi per costruirlo!
Gennaio 2017
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