Non tutti se l’aspettavano ma, appena insediato, Donald
Trump ha iniziato a menare fendenti terribili. In sequenza: ha abolito l’Obamacare (il sistema sanitario che
estendeva la protezione alle persone più povere), ha interdetto per 120 giorni l’ingresso di immigrati ,con visto, provenienti da sette paese a
maggioranza islamica, Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, ha
bloccato i finanziamenti del governo
federale alle organizzazioni non governative internazionali che praticano o
informano sull’interruzione di gravidanza all’estero. E, fra le altre cose, ha deciso la costruzione del muro ai confini con
il Messico per fermare l’ingresso degli immigrati, prevedendo di far
sostenere i costi di edificazione ai messicani stessi, imponendo una tassa del 20% sulle merci importate dal
Paese centro americano.
Costernazione e
stupore hanno pervaso nella comunità internazionale. Le facezie che si riteneva
fossero materia di campagna elettorale,
sono diventati provvedimenti veri. Ma non tutto quanto sopra descritto è farina
del sacco di Trump. Ad esempio la costruzione di 1100 km di barriere,
fortemente presidiate, ai confini con il
Messico, è stato oggetto della legge “Secure Fence Act”
presentata dall’amministrazione Bush il
29 settembre del 2006. Il provvedimento fu votato anche da ventisei senatori
democratici, fra cui Barack Obama e Hillary Clinton, cioè dall’attuale
rimpianto iperdemocratico Presidente
uscente, e da colei che avrebbe dovuto sostituirlo se non avesse perso le elezioni.
Come mai questa presa di posizione degli eminenti, aperti, spiriti democratici a
favore del muro, in linea con l’attuale
posizione del becero, beluino Trump?
Quel muro serviva. Ne iniziò la costruzione nel 1994 un altro democratico, Bill Clinton, il consorte della candidata perdente alle ultime
elezioni. Erano i tempi in cui entrava
in vigore il Nafta, l’accordo di libero commercio nord-americano fra
Stati uniti, Canada, Messico. In quell’accordo era prevista la libera
circolazione dei capitali , dei capitalisti, ma non dei lavoratori. A questo serviva il muro.
L’economia messicana fu devastata da
quel programma . Il Paese centro-americano venne
invaso dai prodotti agricoli statunitensi e canadesi a basso costo, perché sovvenzionati dei
rispettivi Paesi di provenienza. Ciò determinò il crollo
della produzione locale. Lungo la linea
di confine, nella parte messicana, quella fortificata dal muro, si
moltiplicarono le maquilladoras, aree
in cui sorgevano insediamenti industriali
posseduti e controllati delle
multinazionali statunitensi. Qui operava, e opera, manovalanza messicana a basso costo, composta per lo più da
ragazze e giovani donne, soggette a turni massacranti, con salari da fame e diritti sindacali
inesistenti.
Il muro non impediva alle grandi multinazionali di esportare, in
regime di esenzione fiscale,
semilavorati o componenti da assembleare nelle loro fabbriche delle maquilladoras. Il prodotto finito, realizzato a costi irrisori, grazie allo sfruttamento delle lavoratrici e
dei lavoratori messicani , ripassava il muro dal Messico agli Stati Uniti e qui veniva commercializzato consentendo alle grandi compagnie di realizzare profitti altissimi. Le miserrime condizioni delle maquilladoras, spingevano i lavoratori a
tentare di scavalcare le barriere per cercare
miglior fortuna in America, ma qui trovavano l’esercito e la
polizia a rimandarli indietro o ad
eliminarli.
Certo il muro di Trump è
meno permeabile, perché, oltre a interdire il passaggio delle persone, blocca
anche quello delle merci, o almeno impone dazi elevatissimi. Ma siamo certi che
gli effetti della barriera voluta dai Clinton, marito e moglie, Bush e Obama siano meno crudeli di quelli
provocati da Trump?
Non voglio osannare Re Donald, come fanno i cosiddetti
populisti di casa nostra, la cosa mi ripugna. Sono convinto anch’io che ci troviamo in
una fase molto complicata, con la
sicura regressione di quei pochi diritti,
civili e sociali , che un’America sempre prigioniera del pregiudizio razziale e
di censo, aveva concesso ai "diversamente" bianchi e ricchi nell’era
Obama . Però i miliardari sostenitori democratici,
fautori del muro permeabile ai capitali
e non ai lavoratori, se la sono voluta. Hanno favorito, attraverso primarie
taroccate, la corsa del loro cavallo
preferito Hilary Clinton, contro il blasfemo, per la religione
liberista, Bernie Sanders, e ora
si trovano a contrastare un moloch fascista e razzista.
Se Sanders avesse vinto
le primarie, cosa che sarebbe potuta accadere senza imbrogli, sono sicuro
avrebbe prevalso su Trump. Oggi il muro con il Messico non sarebbe un problema,
i lavoratori avrebbero potuto circolare liberamente, forse i capitali un po’
meno. Le multinazionali avrebbero
realizzato meno profitti, ma l’America sarebbe diventata un Paese molti più
civile e democratico.
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