Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

mercoledì 20 giugno 2018

Alitalia un anno dal referendum

Daniele Cofani



È passato da poco un anno dallo storico risultato del referendum in Alitalia dove quasi 7000 lavoratori, dopo un duro percorso di lotta che li ha visti protagonisti in 4 scioperi, hanno rigettato l’ennesimo piano di licenziamenti, tagli ai salari e alla normativa propinato loro da una compagine azionaria (Alitalia-Sai) che racchiudeva in se banche (Mps, Intesa), la peggiore imprenditoria italiana (Colaninno, Benetton, Montezemolo…) e l’azionista emiro Etihad. Un mostro industriale nato dopo il fallimento della prima Alitalia privatizzata (quella dei «capitani coraggiosi») e rilanciato dall’allora premier Renzi che dichiarò, durante la presentazione in pompa magna della nuova compagnia, «finalmente ci possiamo allacciare le cinture che Alitalia decolla e con essa anche l’Italia»!!! Peccato che anche la privatizzazione 2.0 di Alitalia fù un tracollo. Da quel 24 aprile 2017 ad oggi sono successe molte cose che tenteremo di riassumere e analizzare.

Ci ricordiamo bene gli attacchi congiunti contro il voto dei lavoratori da parte dei rappresentanti del governo, dei segretari dei sindacati confederali (Furlan della Cisl in testa) e della maggioranza dei mass media, invece ne facciamo tesoro dell’immediata solidarietà ricevuta  da lavoratori di altri settori, furono importanti la manifestazione a Roma il 27 maggio e lo sciopero dei trasporti il 16 giugno entrambi in solidarietà della lotta in Alitalia, come fù importante, inoltre, la solidarietà internazionale ricevuta da colleghi del settore aereo, e non solo, di altri paesi. Fù incontenibile invece, il giorno dopo del referendum, il livore ideologico contro i lavoratori Alitalia che con un solo colpo avevano messo in discussione le tante decantate privatizzazioni e la rappresentanza politica e sindacale. Il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda si impegnò da subito, in prima persona, per punire i lavoratori Alitalia colpevoli di aver bocciato un accordo siglato dentro il suo dicastero, tra l’altro il secondo dopo la precedente bocciatura da parte dei lavoratori Almaviva nel dicembre 2016, mettendo Alitalia da subito (3 maggio 2017) in amministrazione straordinaria nominando come commissari straordinari l’allora presidente di Alitalia-Sai e Ad in pectore Gubitosi, il consigliere di amministrazione di Cai, azionista Alitalia-Sai, Laghi e Paleari professore universitario consulente all’aeroporto low cost di Orio al Serio.
Il primo e vero attacco contro la volontà espressa dal voto dei lavoratori, lo abbiamo a giugno 2017 quando i commissari, attraverso un mancato accordo (non lo siglò nessuna delle organizzazioni sindacali), misero in cassa integrazione 1400 lavoratori, 400 a zero ore e la rimanenza a rotazione addirittura andando ben oltre la proposta bocciata dal referendum. Di fatto questa azione dei commissari è stato l’unico taglio ai costi, oltre la rivisitazione del contratto per il carburante, in ormai un anno di commissariamento, quando invece sono emersi, attraverso degli studi di professori universitari, che sono ben altri gli extra costi in Alitalia, non di certo quello del lavoro tra i più bassi in Europa, che vanno dai contratti di leasing degli aeromobili fino ai contratti di manutenzione, in gran parte terziarizzata durante la privatizzazione.
Di fronte a tutto ciò le organizzazioni sindacali confederali e autonome (piloti e assistenti di volo) pur non avendo firmato l’accordo della cassa integrazione, nulla fanno per contrastare il chiaro piano di ridimensionamento e smembramento che stanno mettendo in campo i commissari, progetto che prende ancora più corpo a settembre 2017, momento in cui i commissari modificano il bando di vendita inserendo la possibilità di vendere Alitalia divisa per settori. Non a caso subito dopo la modifica del bando cominciano ad arrivare le prime proposte (Lufthansa, EasyJet, fondo Cerberus, Airport Handling…) e nessuna di queste prevede l’acquisto dell’intero perimetro aziendale ma solo di specifici settori con la conseguente mattanza sociale.
Ad ottobre arriviamo al vero e proprio tradimento da parte delle organizzazioni sindacali  confederali, ma anche alcune di base (Usb) che avevano sostenuto, anche se all’ultima curva, il NO al referendum e quindi al diniego dell’utilizzo di cassa integrazione. È proprio così, alla fine di ottobre viene firmato un accordo di proroga di cassa integrazione fino al 30 aprile per 1600 lavoratori (200 unità in più del precedente mancato accordo) da tutte le organizzazioni sindacali confederali più Usb. Questo accordo viene firmato, non a caso, proprio in un momento delicato della lotta che andava avanti al ritmo di uno sciopero al mese, infatti proprio tra ottobre e novembre, a causa della decisione delle dirigenze del sindacalismo di base di confluire su 2 date differenti per lo sciopero generale di autunno (il tema del contendere era il testo unico sulla rappresentanza), in Alitalia ci si trova a gestire 2 scioperi a distanza di pochi giorni, uno della Cub il 27 ottobre e uno di Usb il 10 novembre. Nulla è servito il tentativo della Cub Trasporti di evitare questa ipotesi che veniva contestata dalla base dei lavoratori ritenendola assurda e controproducente, e infatti proprio il 30 ottobre, dopo la scarsa adesione allo sciopero del 27, viene firmato l’accordo di proroga della cassa integrazione. 
Un lotta e una votazione tradita da una totale miopia sindacale ad ogni livello dove da una parte ci troviamo organizzazioni sindacali complici ed asservite, dall’altra organizzazioni sindacali opportunistiche che mirano solo al mantenimento e alla salvaguardia della propria struttura, in tutto ciò emerge la coerenza della Cub Trasporti e di AirCrew Committee (comitato di lavoratori di volo) che mai hai cessato di battersi contro i piani di ridimensionamento di tagli e licenziamenti, rivendicando dal primo minuto come unica soluzione la nazionalizzazione della compagnia attraverso scioperi, manifestazioni, iniziative di dibattito e confronto, l’ultima il 10 Aprile con al centro proprio la tematica della nazionalizzazione, data simbolica scelta appositamente perché era il termine ultimo per presentare offerte vincolanti da parte degli eventuali acquirenti. Ad oggi, quella di Lufthansa, rimane l’unica proposta presa in considerazione dall’ormai «scaduto» ministro Calenda, ma la compagnia tedesca propone per Alitalia lo spezzatino e migliaia di esuberi. In questa fase, per la continuazione della lotta, non aiuta la totale assenza di un governo, i lavoratori sono sfiancati e confusi tra tradimenti e promesse elettorali, bisogna quanto prima ricreare la coscienza che ha caratterizzato tutta la vertenza Alitalia in modo che si ricreino le condizioni per ripartire con mobilitazioni di massa. Proprio da poco, il 24 aprile 2018, le organizzazioni sindacali hanno firmato un ulteriore proroga di 6 mesi della cassa integrazione per 1480 (120 in meno dal precedente accordo) in previsione della summer season, da questa firma si dissocia Usb dopo aver difeso fino al giorno precedente la firma del precedente accordo: bipolarismo sindacale o solito opportunismo? Ai posteri l’ardua sentenza.
Nota positiva il 4 maggio anche i lavoratori Air France hanno vinto un referendum, respingendo con il 55% di NO una proposta di aumento salariale del 7% suddiviso in 4 anni, mentre tutte le organizzazioni sindacali presenti in Air France, rivendicavano da subito un aumento salariale del 5,1%. Decisamente anch’essa è stata una grande vittoria ottenuta soprattutto grazie ad un duro percorso di lotta che prevede ancora scioperi nel mese di maggio. Anche in Francia però, il giorno dopo la votazione, è partita la criminalizzazione dei lavoratori, «colpevoli» di rivendicare salari e condizioni di lavoro migliori: spiccano le parole del ministro dell’economia francese, che dichiara che lo Stato francese, che detiene il 14% di Air France, non investirà più nella compagnia di bandiera presagendo la possibilità che possa avere la stessa sorte di Alitalia. I compagni della Cub Trasporti in luglio si erano incontrati a Roma proprio con i colleghi di Air France del sindacato Sud Arién per scambiarsi informazioni sulle due vertenze in corso con l’impegno di supportarsi a vicenda nei mesi a seguire, è stata sicuramente un’esperienza internazionale vincente da ripetere ed allargare.

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