Il 5 gennaio di
quarant’anni fa moriva Charlie Mingus, musicista poliedrico, sensibile, irascibile,
magmatico, una caleidoscopica macchina
jazzistica. Contrabbassista, ma anche pianista ed artista a tutto tondo, l'importanza che Mingus rivestì nella storia del jazz non fu solo musicale ma
anche politica. Il be bop negli anni ’40
aveva segnato una rivoluzione espressiva scaturita da un moto di ribellione
alle prevaricazioni che i neri, musicisti e non, stavano subendo dalla
borghesia bianca . Charlie Parker, Dizzy e tutti gli altri rimasero però nel campo strettamente musicale, anche se i
loro atteggiamenti da palco erano significativamente politici. Con Sonny Rollins e Max Roach Mingus fu il primo musicista a impegnarsi nella lotta
per i diritti civili del popolo nero e
non solo. La sua azione di forte
contrapposizione si rivolse in generale
verso i potenti, fu il primo musicista ad usare il termine “fascista”. Ciò si deve in particolare alle sue origine sociali che fin dall’infanzia generarono in lui una situazione psicologica particolare.
Un bastardo più bastardo degli altri
Il titolo del suo libro autobiografico Beneath the Underdog (Al di sotto di un bastardo) è
emblematico nel descriverne le predisposizioni.
Charles Mingus era un “negro
giallo”aveva nelle sue vene sangue
messicano e pellerossa. Nacque nel 1922
a Nogales in Arizona, al confine con il Messico, città in cui oggi passa il
muro di Trump voluto per chiudere il
passaggio agli immigrati messicani. Crebbe
nel ghetto nero di Watts in California dove la segregazione razziale fu
sempre ferocissima. Mingus si considerava un “bastardo
più bastardo degli altri”, più chiaro dei neri, ma non abbastanza slavato da poter essere accettato dai bianchi. Riuscì a collaborare con tutti i più celebrati jazzisti attraversando
le varie tappe che la musica
afroamericana percorse nella storia degli Stati Uniti. A diciannove anni suono
con Armstrong , forse il jazzman più “zio
tomistico” della storia. Passò dal
clarinettista di Ellington, Barney Bigard alle orchestre di rhythm and blues .
Nel 1948 era nell’orchestra di Lionel Hampton, un musicista che più allineato
non poteva essere, e solo verso la fine della parabola di Charlie Parker, nel
1953, riuscì ad esprimersi con il sassofonista di Kansas
City.
Il maestro Duke Ellington
La particolarità del
contrabbassista pellerossa stava nel
fatto che, a differenza dei suoi colleghi, più che Parker ebbe come stella
polare Duke Ellington. Apprezzava il sound delle orchestre ellingtoniane che cercò di rielaborare in modo del tutto
originale. Per anni la sigla delle sue esibizioni concertistiche fu ” Take The A Train. Riuscì pure a suonare nell’orchestra del Duca,fra il 1952 ed il 1953 ma a causa
del suo carattere impulsivo ebbe a che dire con l’altrettanto impulsivo
portoricano Jaun Tizol , arrangiatore e
trombonista dell’orchestra. Il
contrabbassista di Nogales ebbe l’ardire di trasporre ad un ottava superiore l’assolo
di contrabbasso con l’archetto che Tizol
aveva scritto per lui. Ciò per renderlo
più “cantabile” alla stregua di un’esecuzione di violoncello. La cosa non piacque all’arrangiatore di Ellington,
il quale accusò Mingus di “essere come il
resto dei neri della banda, cioè di non saper leggere la musica”La colluttazione
seguita a questa dichiarazione, portò Tizol ad aggredire Mingus con un
coltello, e Mingus, schivata la coltellata, a spaccare la sedia di Tizol con un
ascia. Per il mite e rassicurante Ellington, un atteggiamento del genere non
poteva proprio essere tollerato. Costrinse
Mingus a dimettersi dall’orchestra. La
formazione tecnico strumentale di
Mingus, pur incardinandosi nello swing, grazie ai suoi primi maestri, Red
Callender su tutti, usufruì di una robusta influenza classica. Fra i suoi
maestri figurò Herman Reinshagen, primo
contrabbassista dell’orchestra filarmonica di New York . Partendo da un linguaggio così
particolarmente formato Mingus era
sempre in cerca di nuove idee, concezioni armoniche, ma anche di talenti. Per
svincolarsi dai compromessi imposti dalle case discografiche dei bianchi, con
Max Roach , diede vita ad una piccola etichetta la Debut
attraverso la quale registrò il famoso concerto al Massey Hall di
Toronto con Parker, Gillespie, Powell e
lo stesso Roach. La casa fallì quasi
subito, le difficoltà delle imprese
costituite dai neri erano indicibili, per cui quelle straordinarie incisioni furono rilevate dalla Fantasy.
Quasi sconfitto dal razzismo
Le sue capacità tecniche emersero presto in particolare all’interno del trio con i
bianchi Red Norvo, al vibrafono e Tal
Farlow alla chitarra la cui collaborazione
, nel 49’, lo indusse a trasferirsi a
New York. Nonostante l’indubbia capacità
tecnica Mingus trovò enormi difficoltà ad imporsi soprattutto per i pregiudizi
razziali. Lui nero fra due musicisti
bianchi dovette subire diversi soprusi ed ingiustizie. Ad esempio quando Il trio riuscì ad ottenere
un ingaggio per una importante trasmissione televisiva, durante le prove, uno
dei produttori disse che Mingus non avrebbe potuto suonare perché nero . I
gruppi interrazziali non erano graditi agli spettatori razzisti ed ipocriti
dell’epoca. La disillusione e la delusione fu tale da convincerlo ad abbandonare la musica. Fu
Charlie Parker a tirarlo fuori dall’ufficio postale in cui aveva trovato un
modesto lavoro per rilanciarlo nel panorama jazzistico mondiale che lo vide
protagonista fino alla metà degli anni ’70. I suoi brani raggiunsero altissimi valori artistici e furono il frutto
di un’iniziativa che nell’epoca della massima diffusione del jazz bianco
californiano, suonò veramente rivoluzionaria. Mingus costituì il “Jazz Workshop” (laboratorio del jazz) che, con il trascorrere
degli anni, divenne prima “Composer Workshop” ed infine “Jazz Composer
Workshop” I Workshops furono per Mingus il “mezzo” per realizzare le sue idee
musicali. Li usava così come Ellington usava
la sua orchestra. Erano dei veri e
propri laboratori nei quali ci si confrontava, si dibatteva, si cercava insomma
di creare una musica veramente diversa che avesse come elemento fondante il
collettivo.
Laboratori affollati e creativi
I Workshops mingusiani non
ebbero mai un organico fisso. A partire dal 1953 in essi si avvicendarono
jazzisti come il trombettista Thad Jones, trombonisti come Jimmy Knepper, un
numero notevole di sassofonisti da John La Porta, a Benny Golson a Pepper
Adams. Anche i pianisti furono di notevole spessore a cominciare dal quel Bill
Evans che nel 1959 dette vita con Miles Davis al capolavoro Kind of Blue, ma
anche Paul Bley, Horace Parlan ed altri offrirono un contributo estremamente
creativo . In relazione ai batteristi, a
parte Kenny Clarke, nessuno riuscì ad eguagliare la straordinaria dinamica
ritmica di Dannie Richmond. Un musicista entrato nel Workshop a 21 anni e mai
più uscito, accompagnando fino alla fine tutte le formazioni mingusiane. Nei
Workshops ebbero spazio anche strumenti particolari come il violoncello di
Jackson Wiley, l’oboe di Harry Schumann ma soprattutto il flauto e il clarino basso di
Eric Dolphy. Il critico Demètre Ioakimidis definì efficacemente la musica di
Mingus come : “ Una sfida sardonica
gettata contro l’ascoltatore”. Lo
stesso Mingus rivelò quale fosse la
sua precisa fonte ispiratrice: “Io non posso suonare questa musica se non penso ai pregiudizi, all’odio, alle
persecuzioni, a tutto quanto è iniquo. Quando ho finito di suonare io, di
solito penso. ‘ Gliel’ho detto, speriamo che mi abbiano ascoltato” .
La musica e la rivolta
Nonostante
queste prese di posizioni a chi gli chiedeva se davvero la
sua musica fosse espressione della rivolta dei neri negli Stati Uniti Mingus rispondeva: “L’arte non ha niente a che vedere con la politica e, in ogni caso, non
dovrebbe avere niente a che fare con essa”. Al di là delle dichiarazioni
tutto ciò che Mingus farà come uomo e
come musicista, si tradurrà sempre in azione "musical-politica”. L’esempio più
clamoroso è il brano Fables of Faubus una sprezzante pièce musicale dedicata con
sdegnoso atteggiamento insultante al governatore razzista dell’Arkansas Orval
Faubus. Le “favolette” raccontando di
quando il Faubus inviò la guardia nazionale per impedire il
legittimo accesso all’università ad alcuni ragazzi afroamericani, dopo che una sentenza della Corte Federale
aveva abolito il segregazionismo nei Campus. La reazione nera fu decisa tanto
che dovette intervenire anche il presidente Eisenhower, inviando l’esercito
federale per permettere l’accesso agli
studenti afroamericani. A Mingus veniva
molto naturale rilasciare dichiarazioni
politiche,disse una volta : “Io non sono
un nazista, certo ho sempre pensato che
non sarei capace di uccidere , anche se
ne ho avuto l’occasione quando hanno cercato di uccidere me , ma ora quando
Wallace (George Wallace governatore dell’Alabama che aveva tentato di
opporsi nel 1963 a tremila soldati inviati dal Presidente Kennedy a Birmingham per sostenere
la legalità dell’integrazione nelle scuole) dice uccidete tutti i neri , non
mi si chieda di restare li ad aspettare come fecero gli Ebrei al tempo
di Hitler; io posso andare ad ascoltarlo, ma con una bomba sotto la camicia , e
se ciò che dice non mi va bene io
accenderò una sigaretta e farò esplodere tutto”. Assumere Mingus come
simbolo della contestazione nera è abbastanza azzardato. Ma la determinazione
nell'esporre con forza le sue idee attraverso la musica significò moltissimo,
sia per lo sviluppo del jazz stesso che
per una parte della società americana vittima di ingiustizia e soprusi. Capolavori come Black Sanits and the Sinner Lady (con il sax alto del bianco
Charlie Mariano) e l’agghiacciante Meditation
on a Inner Peace , che concluse il ciclo mingusiano degli anni ’60,
furono esecuzioni probanti della lotta politica insita nelle sue note. Dunque 40 anni fa se ne andava un gigante non
solo della musica , ma anche di quel modo di
raccontare le vicende sociali e politiche di un intero popolo con il linguaggio
rivoluzionario del jazz. Chissà se musicisti e soprattutto politici di tale
spessore torneranno a nascere?
Good Vibrations
Nessun commento:
Posta un commento