Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 10 gennaio 2011

Singer. I nuovi orizzonti della lotta operaia contro le multinazionali

Inchiesta a cura di  Domenico Carosso, Cristiana Cavagna, Dino Invernizzi, Brunello Mantelli

Composizione politica  e crisi produttiva alla Singer di Leinì

La Singer di Leinì era una fabbrica metalmeccanica di 2300 operai, situata presso Torino. L’azienda chiuse  nell agosto ’75.  Dopo di allora gli operai rimasero in assemblea permanete fino al settembre 1978. Viene qui preso in esame il periodo agosto ’75 – gennaio ’76; in questo mesi gli operai si scontrano bruscamente con l’assenza della controparte consueta, capi e dirigenti, e devono imparare a confrontarsi con i politici. Nella fabbrica non si lavora più, si è cessato di essere forza-lavoro e si sopravvive come pura composizione politica, grazie alla forza accumulata nel passato, forza che quasi subito inizia a disperdersi.  Non tanto le vicende istituzionali quanto gli effetti di queste sulla soggettività operaia costituiscono il centro di questo capitolo. Le parti virgolettate sono estratti da interviste a operaie ed operai della Singer. 

Non sembra azzardato dire  che i tempi e gli esiti della lotta della Singer si sono tutti specificati e definiti nei primi mesi successivi alla chiusura. In questo periodo si sono giocate pressoché tutte le carte  che hanno deciso l’esito finale della partita, alla cui conclusione stiamo assistendo proprio ora. Dall’agosto al dicembre 1975 gli operai misurano fino in fondo l’inadeguatezza della propria composizione politica ad affrontare l’abrgazione della fabbrica; l’esperienza consolidata nella memoria operaia – memoria di lotte ed organizzazione  - era pesantemente insufficiente. “Io ho fatto tutti gli scioperi, quando sono entrata era finito il periodo dell’accordo, la lotta del ’69 l’ho fatta tutta... allora non ci sono mai stati cortei interni o lotte contro la direzione, queste cose si sono fatte dopo , 3 o 4 anni fa...dopo il ’69 è cambiato tanto, quando si è formato il Consiglio di Fabbrica al posto della Commissione Interna...chiamavi il delegato per reclamare, anche solo per chiedere come andava la linea e te lo dicevano....”;
“Adesso quando si lavora si hanno delle paure, ma quando lavoravamo noi si lavorava male....perché c’era il caldo, c’era la produzione...c’erano ritmi veloci...non c’erano ancora i jolly...” Dalle dichiarazioni per quanto frammentate  e filtrate dalla memoria di questi operai emerge chiaramente come gli elementi centrali dell’esperienza  1969-1975 fossero costituiti dall’allentarsi del controllo della gerarchia aziendale  sugli operai e di conseguenza  dall’allargarsi dei “pori” nel tempo di lavoro (pause maggiori, ritmi più sopportabili), dal sostituirsi  ad una organizzazione sindacale separata ed estranea (la Commissione interna) del Consiglio dei delegati, realtà più vicina, controllabile, ed indiscutibilmente sentita come propria.  Va comunque precisato, a scanso di equivoci organizzativistici, che con ogni probabilità il vero salto qualitativo si verificò non  nel ’70 anno in cui venne formato il primo  Cdf, ma nel ’72-’73, quando i delegati vennero in gran parte sostituiti e la fabbrica attraverso ulteriori assunzioni, acquistò in pieno le caratteristiche  di  grande unità produttiva. Ciò rappresentò con ogni probabilità il definitivo stabilizzarsi della figura di operaio-massa come asse centrale degli operai Singer. E’ significativo tra l’altro il carattere contraddittorio che hanno molti dei giudizi che gli operai danno sulle assunzioni del ’73, si va da affermazioni quali “per vivere bene bisogna eleminare la disoccupazione e anche al più presto possibile...” ad  altre di tono  assai diverso, magari fatte dal medesimo operaio “Siccome sono meridionale ero sempre per le assunzioni ma bisognava pensarci bene, se si doveva sollevare la Singer si doveva fare lo staordinario perché la Singer doveva guadagnare di più per fare nuove assunzioni in seguito...”.  Il perno della specifica coscienza collettiva che si forma alla Singer sembra essere la percezione di aver sottratto, per quanto in modo parziale, le variabili salario e intensità di lavoro al totale dispotismo della direzione di fabbrica, attraverso l’impatto materiale delle vertenze e degli scioperi. In altri termini tutte le esperienze attraverso cui gli operai passano hanno in comune la percezione concreta di una controparte interna, sempre presente ed a cui contrapposi momento per momento, nelle sue articolazioni paternalistiche e repressive, nelle sue interne modificazioni quali cambi di dirigenti e rafforzamenti nella struttura di comando. In questo senso anche quelle che appaiono osservazioni marginali e di poco conto, quando non addirittura segno di una cultura “prepolitica”, come le ricorrenti e puntuali analisi di questo o quel dirigente e del suo rapporto con gli operai si configurano realtà come articolazioni del punto di vista operaio che quotidianamente fa i conti con la gerarchia di fabbrica. I capi si mostravano paternalistici anche quando parlavano con gli operai, gli dicevano siete dei padri di famiglia ma non appena questi operai si allontanavano avevano sempre qualcosa da dire”.
Se prendiamo adesso ultimamente c’erano dei capi che....ma parliamo del maresciallo, quando era qua in divisa aveva già la strada fatta, allora si è congedato  e lo hanno assunto...”.
“Nel periodo che sono entrato io, diciamo dal ’70 all’anno dopo, ed oserei dire nel ’72 i capi gli operai li bastonavano dandogli delle multe...ce n’è uno che ha preso tre giorni di sospensione... poi è cambiato capo, è venuto un paternalista uno che andava dall’operaio, cercava di farsi capire...e riusciva sempre ad ottenere quel che voleva...” Con la chiusura invece, ed è qui che si consuma la più netta rottura, una controparte di questo genere sparisce. Gli operai si ritrovano come sperduti ed alla ricerca faticosa e spesso inconcludente di punti di riferimento su cui costruire una efficace strategia di risposta. All’inizio, indiscutibilmente prevale un atteggiamento di sorpresa; anche quando si afferma che C’erano in giro delle voci in proposito” è palese che la tendenza era rimuoverlo: “qui andavamo già preoccupati – per gli spostamenti...si andava già a parlare...che la fabbrica ci si poteva tirare avanti ancora sei mesi, un anno...per il i reparto dove lavoravo io si andava sventolando questa voce, che l’azienda andava a cercare scuse per poter chiudere definitivamente...” E’ importante notare come si apra qui la significativa divaricazione tra quegli operai, una  minoranza, che portavano con sé il bagaglio di precedenti esperienze di fabbrica e gli altri lavoratori, la più parte, per i quali la Singer di Leinì aveva rappresentato la prima esperienza di lavoro salariato in una grande unità produttiva industriale. Un bel giorno il direttore ha chiamato il consiglio di fabbrica per dire che voleva fare gli straordinari...naturalmente...ciò voleva dire non fare assunzioni di altri lavoratori...il padrone ha cercato di tagliare la strada ed ha fatto una proposta al consiglio di fabbrica di aumentare l’organico della fabbrica, questo significava smaltire le commesse che aveva e poi licenziare in tronco i lavoratori...io prevedevo che quando il padrone raddoppia il personale senza investire una lira significa che deve disfarsi dei lavoratori. Io avevo l’esperienza del cantiere Tosi di Taranto, che in un certo periodo raddoppiò l’organico poi venne chiuso...secondo il mio punto di vista bisognava costringere la direzione ad allargare la fabbrica, mettere dei capitali, in poche parole a mettere un investimento di miliardi, di modo da non permettere all’azienda di scappare, perché investimenti significava dare garanzia di lavoro... Così un operaio di 40 anni, originario di Taranto, ci ha esposto il suo punto di vista, mentre diversamente la vede un altro trentenne, venuto a Torino da Napoli nel’68: Si sapeva che la Singer avrebbe chiuso, ma si cercava sempre di sperare. Uno dei punti che si può rimproverare al consiglio di fabbrica è di non aver accettato la mobilità interna, perché è giusto che un operaio lavori le otto ore all’interno della fabbrica...” L’operaio sembra attribuire alle lotte la responsabilità della chiusura, e più avanti così ritorna sull’argomento, per la verità non senza contraddizioni: “C’era una precisa volontà della direzione, però è vero che il costo del lavoro è diventato un pochettini alto in Italia... Si percepisce in questa seconda testimonianza come il dubbio che la chiusura fosse dovuta realmente a livelli di forza materiale sviluppati dalla classe sia circolato realmente nella testa degli operai, magari come rovescio della medaglia della consapevolezza della propria potenzialità di conflitto e quindi di speranza di poter imporre al capitale i propri tempi ed i propri bisogni. Nell’assenteismo io vedo un po’ la mancanza di volontà dell’operaio, un po’ lo vedo male sul dottore che magari dà con troppa facilità dei giorni di mutua, a delle persone che non ne avrebbero bisogno  e in certo casi ci sarà qualcuno che avrà avuto dei malori che realmente disturbavano. Noi sovente al mattino alle sei quando si arrivava non si riusciva ad incominciare a lavorare perché mancavano sempre da trenta a quaranta persone e su una linea quando manca così tanta gente non si riesce ad incomincaire la lavorazione, si doveva aspettare le sette e un quarto per avere a disposizioni”.  Più oltre però è  la stessa operaia ad affermareLa colpa è del governo che lascia che le multinazionali vengano a sfruttare la nostra mano d’opera e poi gli fa comodo ritirarsi e lasciare tanti operai allo sbaraglio”. Da qui, da questo timore di aver causato essi stessi, almeno in parte, la fuga della multinazionale, venne con ogni probabilità un pesante impatto sulla stessa volontà di resistenza operaia, che determinò uno spostarsi complessivo degli operai più a “destra” del ceto politico di fabbrica, dei delegati. Crediamo che in questo modo possa essere letto il confuso e contraddrittorio episodio dei cartelli contrari alla occupazioni e favorevoli alla cassa integrazione comparsi nei reparto nell’agosto-settembre1975, quando una scelta di tal genere era all’ordine del giorno. Ne parleremo diffusamente più oltre: basti per ora notare come la maggioranza del Consiglio di fabbrica fosse, sostanzialmente schierata a favore dell’occupazione mentre tra gli operai i rapporti erano rovesciati. Ovvio che questo contribuì in misura non irrilevante ad approfondire le spaccature  tra i lavoratori e lasciò uno strascico di tensioni destinate a perpetuarsi nel tempo. 



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