Va detto del resto che la tesi della chiusura e della ristrutturazione come risposta alle lotte non “degli” operai ma di “quegli operai” di “quella” specifica fabbrica era, negli anni dal ’73 al ’76 particolarmente diffusa nella sinistra sindacale e non solo sindacale. Pressoché nessuno si aspetta una lotta dai tempi così lunghi con ogni probabilità non si dà eccessivo affidamento alla reale possibilità di una chiusura. “Una voce seria sulla chiusura non c’è mai stata, sempre per vie di traverso,si diceva che questa fabbrica chiudeva, ma sempre così...non siamo mai stati informati seriamente”. “Quando la Singer è stata occupata io prevedevo fosse una cosa breve, non pensavo fosse una cosa così lunga, io credevo fosse una cosa per spaventare la gente, che si risolvesse prima...”. Di qui un diffuso senso di stupore quando ci si rende conto che la chiusura invece è un fatto reale; si insiste sul fatto che il mercato “tirava” che gli ordini c’erano ed erano stati respinti. “Riguardo la chiusura della fabbrica mai più mi aspettavo. La Singer nel circondario di Torino era una fabbrica abbastanza all’avangiardia, quindi quando hanno chiuso per me è stato più che altro una sorpresa perché abbiamo avuto richieste fino all’ultima settimana”,”l’ultimo giorno di lavoro io ho ricevuto 2000 sportelli di frigoriferi di nuova produzione, quindi richieste di lavoro ne avevano...” Gli operai della Singer iniziano qui a fare i conti con livelli di potere capitalistico del tutto estranei alla loro pratica esperienza: le multinazionali, le loro scelte, la politica economica, le scelte governative diventano una realtà materiale ben determinata che impone i suoi tempi e la sua logica alla classe. Un operaio commenta:”con le divisioni che c’erano alla Singer penso che quando gli americani se ne sono andati potevano concludere poco, dovevano essere di più i partiti politici a risolvere il problema...noi abbiamo bisogno delle multinazionali perché siamo un paese povero ma anche loro devono rispettare le leggi...” Parallelamente al venir meno della fabbrica come luogo di lavoro e di lotta i comportamenti individuali iniziano a divaricarsi ed a non venir più giustificati in nome della pratica collettiva. Se ne ha un primo esempio a proposito dell’assenteismo. Tale pratica da un lato risulta molto diffusa, dall’altro viene pressoché da tutti condannata “quando non è giustificato lo stare a casa”. “Bisogna vedere i punti di vista , bisogna vedere sotto quale forma si dice assenteismo, per noi meridionali l’assenteismo si presentava sempre sotto le feste di Natale, perché a noi ci piaceva stare con la famiglia, l’altro assenteismo può essere la mancanza di strutture sociali, scuole materne eccetera, si dice assenteismo quando un genitore resta in malattia per accudire i figli, ma mancando tutte queste cose come si fa? L’assenteismo dipende anche dal fatto che c’è il lavoro nero c’è per l’insufficienza di paga...”. Ad una posizione di questo genere, che sembra ricercare motivazioni sociali al fenomeno, se ne contrappongono altre assai più convenzionali: “...gli ultimi scioperi che si sono fatti perché licenziavano uno che veniva a lavorare una volta al mese non erano giusti...non parlo di quello che era proprio ammalato ma di quello che non voleva proprio venire...ce ne erano di quelli che andavano a lavorare in altri posti e quelli che se ne stavano al bar...” “la gente non deve stare troppo a casa in mutua, bisogna controllare di più anche da parte dei medici...”, “l’assenteismo io l’ho sempre disapprovato, se è giustificato va bene ma c’è tanta gente che invece sta a casa proprio così...” In altre parole l’incapacità di leggere collettivamente e politicamente i propri comportamenti, tendenza destinata a rafforzarsi con la chiusura della fabbrica. Ma cerchiamo di vedere, a questo punto, come concretamente la classe operaia si comporta di fronte alle scelte imposte dall’attacco portato avanti dalla multinazionale americana. Come sappiamo la Singer rende nota la propria scelta di chiudere il 9 agosto del 1975, in pieno periodo di ferie. Seguono alcuni giorni di confusione in cui non è ben chiaro né agli operai, né al sindacato come muoversi, mentre la maggioranza è in ferie. Con il rientro il 23 agosto, il terreno appare scaldarsi immediatamente, il Consiglio di Fabbrica e l’F.L.M, indicono per il 27,28,29 agosto una serie di assemblee per decidere come rispondere all’attacco padronale. La via scelta sarà – scartata l’ipotesi dell’occupazione – quella del presidio della fabbrica da realizzarsi attraverso l’assemblea permanente: parallelemente viene deciso di puntare sul massimo coinvolgimento di enti locali e forze politiche : già nel pomeriggio del 27 Lucio Libertini assessore al lavoro della Regione Piemonte si incontra con il Consiglio di Fabbrica e nel pomeriggio di venerdì 29 alla Singer si svolge la prima assemblea a cui partecipano esponenti politici. Una scelta di gran peso come quella dell’assemblea permanente viene così presa in questo primi venti giorni, dopo un via vai di notizie contrastanti, e dopo i primi inconcludenti incontri all’Unione Industriali. Bisogna accettare la cassa integrazione - così come del resto proponeva la Singer nell’annunciare il proprio disimpegno – e con l’assemblea permanente limitarsi a realizzare una forma di lotta propagandistica , che privilegia la pressione sulle istituzioni , oppure puntare decisamente su forme di lotta dura sull’occupazine dello stabilimento? Questo è il quesito a cui operai e delegati devono rapidamente dare una risposta. Nel primo caso, sarebbe finito nei fatti con l’accettare la logica dell’azienda , collaborando anzi materialmente allo smantellamento accettando che una parte dei lavoratori portasse a termine i semilavorati e vuotasse i magazzini , con la garanzia quindi – così si pensava allora - del salario e la possibilità di resistere per il tempo – ritenuto breve – in cui la fabbrica sarebbe rimasta inattiva. Con l’occupazione si sarebbe imboccata la linea della lotta dura , dello scontro, al fondo del quale si profilava l’ipotesi di autogestione, in una situazione però in cui l’essere la fabbrica un puro terminale di montaggio, per di più, senza un mercato diretto operante in conto terzi rendeva assai gravi i problemi dell’approvigionamento dei materiali, dato il vasto indotto , e della collocazione del prodotto. Mentre la maggioranza del Consiglio di Fabbrica era disponibile a praticare l’occuoazione, reparti, base operaia spingevano in maggioranza verso l’accettazione della Cassa integrazione. Ci sono stati dei veri e propri cortei interni , in occasione delle assemblee, che avevano al centro la richiesta della Cassa Integrazione. Qual’è il significato che dobbiamo dare a questo comportamento? Senza voler sottovalutare il peso che può aver avuto la destra di fabbrica, due appaiono i fattori centrali , di orientamento di massa: da un lato la paura del salto nel buio, la percezione dell’inadeguatezza della propria forza e del proprio arsenale di lotta di fronte alla “mancanza” del nemico diretto, dall’altra la natura incomprimibile che il reddito operaio appare aver assunto in questa fase, cosa che in passato aveva costituito una delle principali molle delle lotte e che in questo momento si rovesciò in debolezza. Alla Singer il problema della salvagurdia del proprio livello di consumi era tra l’altro reso più impellente dalla contemporanea presenza in fabbrica di più componenti il medesimo nucleo familiare, cosa che rendeva impossibile una compensazione a livello di reddito complessivo della mancanza di salario di un componente. La particolare struttura produttiva ed occupazionale dell’”area di Leinì” inizia qui a pesare in modo significativo sulle scelte di lotta della classe operaia. E non è che il primo esempio. Ma lasciamo la parola agli operai : attraverso le loro dichiarazioni i processi che hanno portato alla scelta in favore della cassa integrazione emergono in tutta chiarezza : “Il giorno prima della chiusura, della messa in cassa integrazione a zero ore da parte della fabbrica, si è discusso molto all’interno della fabbrica ... era uscita una voce ...che dovevamo subito occupare la fabbrica per avere uno sbocco positivo , però ci siamo anche detti che doveva essere la massa a decidere questo.. allora abbiamo deciso che ogni delegato doveva fare un giro per il suo reparto...io assieme ad alcuni delegati feci un giro per la fabbrica . Ed in quasi tutta la fabbrica si trovavano dei carrelli con scritto – no all’occupazione, si alla cassa integrazione -, nonostante tutti gli sforzi che abbiamo fatto per far capire alla gente.....non siamo riusciti a spuntarla...” “Io pure riuscivo a capire che dovevamo rifiutare la cassa integrazione..ma purtroppo devo dire che se non accettavamo la cassa integrazione eravamo abbassati dal punto di vista economico. Così siamo riusciti ancora a tirare avanti, non so,.senza, quanto avremmo resistito...”” La cassa integrazione dava sicurezza visto che si era in due a lavorare alla Singer. Ad occupare c’era la paura di rimanere senza lo stipendio...la cassa integrazione dà una certa sicurezza”.
E’ necessario mettere in rilevo che se queste sono le posizioni iniziali degli operai , ben diverso risulta essere il loro giudizio a posteriori. A distanza di quasi tre anni prevale il rimpianto per non aver occupato lo stabilimento . La Cassa integrazione viene pesantemente criticata per il modo saltuario ed incostante (tre, quattro mesi sa un’erogazione all’altra) con cui viene corrisposta e per l’effetto perverso di divisione degli operai che ha avuto. Nel momento in cui la fabbrica viene chiusa l’indifferenza per tutto ciò che è al di fuori della fabbrica caratteristiche centrali delle lotte precedenti, si rovescia in estraneità ostile. Non a caso nella memoria degli operai, oltre al ricordo delle varie manifestazioni ed assemblee i contenuti della lotta, delle manifestazioni non ci sono. La storia della Singer per gli operai finisce con la chiusura della fabbrica.
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