Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 29 giugno 2012

Succhia il sangue e scappa

Luciano Granieri



Se ancora ci fosse bisogno di un ulteriore testimonianza delle delinquenziali e criminali dinamiche che muovono il capitalismo, è sufficiente venire nella nostra terra, la Ciociaria. Una terra ricca di risorse turistiche, agro alimentari, mai valorizzate. Il nostro territorio, dalla fine degli anni ’60 è stato saccheggiato da il fior fiore della imprenditoria delinquenziale mondiale che grazie ai fondi messi a disposizione della cassa del mezzogiorno, fondi costituiti con i soldi dei cittadini, ha distrutto ettari ed ettari di campi, aprendo  fabbriche e assumendo i contadini che da quei campi traevano benessere. Dopodiché distrutto il territorio, sotterrato da  tonnellate di cemento e amianto, multinazionali e grandi imprese  hanno  preso i soldi e sono scappate   in altri siti in cui  rinnovare  il  loro piano di rapina, lasciando in Ciociaria, desolazione e disoccupazione. E’ la classica regola capitalista  per cui i profitti sono sempre e comunque privati mentre le perdite sono sempre e comunque pubbliche. Un tipico esempio di queste dinamiche è la vicenda della Videocon, ex Videocolor.  Alla fine dell’epoca d’oro del boom economico, grazie ai fondi della cassa del mezzogiorno si insedia ad Anagni un impianto specializzato nella produzione di televisori. Grazie all’enorme diffusione di quell’elettrodomestico la fabbrica diventa il secondo sito produttivo del Lazio dopo la Fiat di Cassino. Arriverà ad impiegare 2.400 persone nel periodo di massimo fulgore. Nella metà degli anni ’70 migliaia di italiani a loro insaputa  avevano  in casa un televisore  Videocolor   rivestito da scatole recanti i marchi   Saba, Panasonic, Nordmende e tanti altri ancora. Purtroppo a causa della gestione scellerata e truffaldina  dei vari manager d’assalto chiamati a pompare  una gallina dalle uova d’oro, e  in particolare,  a causa dell’asfissia di investimenti in innovazione tecnologica  che un sito produttivo del genere richiederebbe, inizia il declino. In ogni caso nel 2005, la francese Thomson, proprietaria dell’impianto ancora riesce a trarne profitto. Ma il predomino della speculazione finanziaria sul guadagno da lavoro  convince i manager della ditta Francese a mettere in campo un’operazione estremamente vantaggiosa dal punto di vista dei profitti azionari, ma letale per i lavoratori. Cede il sito produttivo alla plurimiliardaria famiglia indiana Dooth. Mentre gli azionisti della Thomson, grazie a questa operazione intascano dividendi milionari  il futuro di 2.400 operai diventa a rischio. I Dooth sotto il marchio “Videocon” promettono la riconversione dell’unità produttiva in un sito che provvede alla costruzione di condizionatori, all’ assemblaggio di TV, fino alla produzione di schermi al plasma. Grazie a questa promessa la Videocon ottiene fondi  dalle istituzioni pubbliche locali, linee di credito illimitate dalle banche e un finanziamento, come contro partita dell’investimento ad Anagni di 179,8 milioni di euro dall’unione europea per l’apertura di un nuovo stabilimento a Rocca D’Evandro. Ma in realtà il processo di riconversione non parte mai. La famiglia Dooth  acquista ai saldi una vecchia fabbrica di Taiwan e comincia a trasferire i macchinari, obsoleti dalla Cina allo stabilimento di Anagni. Quando, i container pieni di tale ferraglia arrivano in Ciociaria, ci si rende conto che l’ attrezzatura è obsoleta e dunque inutile per produrre quanto previsto dal piano industriale. I container pieni di macchine inservibili rimangono tristemente depositati presso l’area dello stabilimento.  Allora gli indiani tentano un’altra via. Prima di scappare con i soldi dello Stato, della Provincia, dell’unione europea e della banche, cercano di rivendere al migliore offerente i macchinari presenti nello stabilimento. Se la cosa riesce solo parzialmente è grazie alla caparbietà degli operai, ormai in cassa integrazione dal 2005 che presidiano la fabbrica e impediscono che questa venga svenduta al migliore offerente. Intanto i manager indiani, spendono e spandono i nostro denari nel nostro territorio senza remore. Uno di questi gaglioffi, subìto il furto della sua Porsche Cayenne, il giorno successivo si presenta al concessionario, “SOLDI IN BOCCA”  e ne acquista seduta stante un’altre più costosa e più equipaggiata, un gingilletto di oltre 150mila euro . Tutto questo nel più totale silenzio delle istituzioni pubbliche le quali a fronte di immani investimenti concessi avrebbero dovuto vigilare sull’evoluzione della faccenda. Il resto è storia recente. Dopo l’ultimo saccheggio della famiglia Dooth, perfino il distributore degli snack è stato svuotato , 1197 operai rimangono in attesa di un futuro che non verrà mai. Centottanta di loro, per protesta nell’ottobre 2009 occupano l’autostrada A1 per alcune ore. Ottengono un’ ulteriore proroga della cassa integrazione straordinaria, in luogo del licenziamento, ma su di loro si abbatte la mannaia della giustizia con una condanna, per occupazione di suolo pubblico e interruzione di pubblico servizio, in quel frangente transitava sull’autostrada occupata un pullman del Cotral società che denunciò gli operai per i danni subiti a seguito del ritardo del loro mezzo , il tutto tradotto in una condanna a 15 giorni di carcere o 3570 euro di multa. Qualche navigante affezionato di Aut, ricorderà la nostra iniziativa “Arancia metalmeccanica” organizzata per raccogliere fondi necessari alla difesa di questi operai. Un’ ultimo tentativo per salvare il sito produttivo anagnino è fallito per colpa delle  banche. Nella primavera del 2010, la Ssim, un gruppo Arabo-canadese firmò, un accordo preliminare per rilevare lo stabilimento e riconvertirlo in fabbrica per la produzione di impianti fotovoltaici e per la produzione di energia eolica. L’unica condizione era che il sito fosse libero da ipoteche bancarie, il che significava che la Videocon, prima di cedere le strutture avrebbe dovuto appianare i suoi debiti verso la banche. Gli indiani acconsentirono a pagare ma chiesero agli istituti di credito un’ulteriore dilazione che fu irrimediabilmente rifiutata dalle banche del tutto insensibili al destino di 1.300 operai.  Ciò provocò il ritiro dalla Ssim ed oggi dopo, l’istanza di fallimento presentata da una ditta creditrice, sommersa da cento milioni di debiti, la Videocon, ex Videocolor chiude, dichiara fallimento  gettando definitivamente sul lastrico 1.300 famiglie. Un dramma sociale senza paragone, capace di mettere in ginocchio l’economia di un intero territorio. Gli operai continuano ad occupare la fabbrica cercando disperatamente di difendere il proprio lavoro.  Fa rabbia sentire le dichiarazioni dei politici locali e nazionali che si riempiono la bocca con proclami di sincero rammarico e di sdegno. Viviana Fuoco dell’Idv si spinge a dire. “Non è solo il fallimento della Videocn, ma è il fallimento della politica” Ma loro dove stavano in questi anni. E’ più di un decennio che la vicenda dello stabilimento di Anagni angustia il nostro territorio. Dove erano i vari Marrazzo, Scalia, e tutto gli amministratori ragionali provinciali e cittadini che a questa classe delinquenziale pseudo imprenditoriale hanno concesso tutto? Perché la provincia di Frosinone, ad esempio non denuncia gli Indiani per appropriazione indebita di denari pubblici? Perché le istituzioni locali non impongono al ministro delle attività produttive Passera una decisa presa di posizione contro questo scempio sociale? E’ molto semplice, sarà banale, ma è lapalissiano, classe politica e classe imprenditoriale e finanziaria a tutti i livelli fanno parte dello stesso sistema. E allora ABBATTIAMOLO QUESTO SISTEMA!!!! Ci siamo stancati di essere presi per culo dalle esternazioni di una isterica professoressa di economia  assurta a ministro del lavoro  la quale sostiene che il lavoro non è un diritto ignorando l’articolo 1 della Costituzione repubblicana. Non se ne può più di sentire da Marchionne, che le leggi di uno Stato non sono altro che espressione folcloristica di una comunità provinciale e arretrata. Allora forse hanno ragioni i miei amici dei CARC quando sostengono che la società deve tornare in mano ai lavoratori i quali devono esercitare il loro potere nelle fabbriche e nelle banche e nella vita sociale in genere . EVVIVA LA DITTATURA DEL PROLETARIATO SANTOIDDIO!!!!!


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