Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 23 marzo 2013

DIMISSIONI DEI COMPAGNI GIUSEPPE ANTONELLI E MADDE’ GUGLIELMO


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 Ai/lle Compagni/e del Comitato Politico Federale di Frosinone
Ai/lle Compagni/e del Collegio Provinciale di Garanzia di Frosinone
Alla Segretaria Provinciale del PRC di Frosinone – Ornella Carnevale
Ai/lle Compagni/e del Comitato Politico Regionale del Lazio
Ai/lle Compagni/e del Collegio Regionale di Garanzia del Lazio
Alla Segretaria Regionale del PRC del Lazio – Loredana Fraleone
Ai/lle Compagni/e del Comitato Politico Nazionale del PRC
Ai/lle Compagni/e del Collegio Nazionale di Garanzia del PRC
Ai/lle Compagni/e della Segreteria Nazionale del PRC
Al Segretario Nazionale del PRC – Paolo Ferrero
Alla Direzione Nazionale del PRC di Roma

OGGETTO: DIMISSIONI DEI COMPAGNI GIUSEPPE ANTONELLI E MADDE’ GUGLIELMO DAL “C.P.F.” DEL P.R.C. DELLA FEDERAZIONE DI FROSINONE.

Fra le tante questioni aperte dai Risultati Elettorali per le Elezioni Politiche (Camera e Senato) e Regionali del Lazio del 24 e 25 Febbraio 2013, la disfatta della Lista di “Rivoluzione Civile” ci riguarda direttamente, anche se non siamo stati noi, né i promotori, né i sostenitori e nemmeno abbiamo incoraggiato la “missione suicida” (costruita in fretta e in furia) attorno al candidato Premier Antonino Ingroia, con cui i Partiti della “Sinistra Radicale” (PRC e PdCI) hanno bissato il fallimento (e senza dubbio con risultati ben più brucianti) Elettorale delle Elezioni Politiche. La sconfitta di “Rivoluzione Civile” e di “Rifondazione Comunista”, che ne è stata parte fondante, ha dimensioni senza appello. Non basta quindi un sussulto d’orgoglio o uno sforzo volontaristico per mettersela alle spalle e tracciare una prospettiva credibile, ma è necessario invece andare alla sua radice originaria e rileggere (alla luce dei dati reali) una realtà che con ogni evidenza, il gruppo dirigente del nostro partito, da tempo, non era più in grado di vedere. È necessario rimettere in discussione l’intera strategia politica, che ha guidato le scelte del gruppo dirigente in questi anni. La conferma della “scomparsa elettorale” ci riguarda direttamente, come ci riguardano direttamente i sommovimenti, gli sviluppi e le evoluzioni nel campo della sinistra, nel movimento operaio e nel movimento Comunista. Nessun Comunista (degno di questo nome) può sottovalutare l’impegno, la dedizione e lo sforzo che centinaia (e forse migliaia) di Compagni e Compagne di base del Partito della Rifondazione Comunista hanno profuso nella campagna elettorale con banchetti, volantinaggi, attacchinaggi, assemblee e riunioni. Il loro impegno e il loro sforzo, è la manifestazione sana e positiva di quanto (nonostante il gruppo dirigente del Partito della Rifondazione Comunista e il progetto di “Rivoluzione Civile”, ne fossero per certi versi “indegni”) la prospettiva di usare le elezioni per rafforzare il movimento popolare contro la crisi e i suoi effetti, sia presente, viva, e vivace in un’ambizione condivisa. In secondo luogo, nessun Comunista (degno di questo nome) può permettersi di ironizzare sul fatto che, tanto impegno e tanti sforzi, fossero finalizzati a realizzare un progetto che non aveva gambe per marciare. La cosa ci compete e ci riguarda, perché oltre al fallimento elettorale, sarebbe acconsentire, che la demoralizzazione, la sfiducia, il senso di essere  “fuori dalla storia” avesse il sopravvento su tanti Compagni e le tante Compagne. Le loro energie e intelligenze, il loro contributo invece, sono necessari come l’aria che respiriamo per condurre la lotta per il Comunismo (un compito storico di primaria importanza in Italia) in un paese imperialista. Anche adesso, dopo l’ennesima catastrofe elettorale che ha travolto le ambizioni di una “Rivoluzione Civile” in questo Paese, lascia esterrefatti la totale mancanza di senso di responsabilità. Le dimissioni “doverose e necessarie” di un gruppo dirigente, non sono per noi un semplice passaggio consolatorio o l’occasione per rielencare la lunga (e quasi interminabile) lista di errori che hanno condotto a questo esito. Il punto è che da tempo ormai, era venuta meno una pietra angolare essenziale alla vita di qualsiasi organizzazione, ossia il senso di responsabilità che dovrebbe legare un gruppo dirigente al corpo del suo partito. Questo senso di responsabilità è stato buttato a mare e sostituito con illusioni, improvvisazioni, fughe dalla realtà, desideri scambiati per analisi, piccoli e grandi opportunismi. In primis è bene mettere alcune cose al proprio posto. Il gruppo dirigente del Partito della Rifondazione Comunista, racchiude e sintetizza le varie “tendenze anticomuniste” che animano la sinistra borghese. La linea che ha elaborato (se così si può dire) è una linea di compatibilità con l’esistente. La prospettiva che ha elaborato si racchiude in una serie di riforme del capitalismo (che all’atto pratico, diventano il meno peggio, che apre la porta al peggio: “do you remember” il precedente Governo Prodi). Concepisce il Partito e lo ha plasmato (non da oggi, a dire il vero è la “deriva” della sinistra borghese iniziata decenni fa) come un’entità che dipende dagli spazi che la borghesia gli concede e dal ruolo che la borghesia gli assegna (ecco spiegata in sintesi estrema l’ossessione di rientrare in Parlamento, che in un Partito come quello della Rifondazione Comunista di Paolo Ferrero, fuori dal Parlamento non ha più senso di esistere). Ha prolungato, dalla “crisi mortale” del 2008 a oggi, la situazione di un “partito” scisso tra i militanti che fanno attività di base e i dirigenti che aspirano essenzialmente a rientrare in Parlamento a qualunque costo. In questa smania disperata di rientrare in Parlamento, si sono amplificate tutte le “magagne” dei dirigenti del Partito della Rifondazione Comunista; analisi della realtà pari a zero, cosa che ha prodotto e alimentato la guerra contro il Movimento 5 Stelle; strategia pari a zero, cosa che ha indotto molti a credere e a ragionare, che una volta “rientrati” gli eletti di “Rivoluzione Civile”, avrebbero cercato ognuno una sistemazione a propria convenienza e secondo le proprie inclinazioni all’ombra del Partito Democratico. Rimane da chiarire il motivo per cui, tanti Compagni e tante Compagne di base del Partito della Rifondazione Comunista, si sono comunque accodati a una linea generale e particolare fallimentare. Alla base di questo “adattamento”, ci sta probabilmente la convinzione che il fattore determinante è essere tanti. Alla prova dei fatti questa convinzione si è rivelata, o meglio si è confermata sbagliata: è vero che il numero fa la forza, ma solamente se il numero è guidato da una concezione, da una strategia, da una linea giusta, avanzata e di prospettiva. Si può essere in tanti, ma se la concezione, l’analisi e la linea sono sbagliate si fallisce. Si diventa pochi, ci si disgrega, anziché accumularle si disperdono le forze, seminando disfattismo e rassegnazione. La concezione sbagliata è evidente, e sta nel fatto di non concepire come possibile quello che è necessario anche se difficile, ovvero, costruire la Rivoluzione Socialista in un Paese Imperialista come l’Italia. Ma, citando Seneca «”certe imprese, non è perché sono difficili che non le affrontiamo, al contrario, è perché non osiamo affrontarle che ci sembrano difficili”». Castrando il necessario in favore di ciò che è difficile, la loro azione diventa nel migliore dei casi testimonianza dogmatica di un’idea. Ma quell’idea non viene usata per guidare l’azione e la pratica. Altro pilastro di quella concezione, è probabilmente la convinzione che la politica è una cosa solo o principalmente pratica. Cioè la convinzione (i gruppi dirigenti del Partito della Rifondazione Comunista hanno assecondato e incoraggiato i tanti compagni militanti in questo grande errore) che la “teoria rivoluzionaria” non serve. Compagni e Compagne, la teoria rivoluzionaria non è lo studio accademico dei libri sacri. La teoria rivoluzionaria: è fare nostri gli insegnamenti del movimento comunista, è l’analisi concreta della situazione concreta, è la pianificazione della propria azione, è la definizione degli obiettivi, la definizione di metodi e strumenti, è il bilancio dell’esperienza. Si moltiplicano gli aperitivi resistenti e si diradano lo studio individuale e le discussioni collettive, si moltiplicano le iniziative “per stare a contatto con le masse, sul territorio” e spariscono lo studio delle contraddizioni del territorio, l’analisi delle condizioni, la definizione di obiettivi. Il terzo pilatro della concezione dei dirigenti Nazionali del Partito della Rifondazione Comunista (educati e formati apposta per quello) è la convinzione che “le masse non capiscono”, “sono arretrate”, “danno retta al populismo”. Questa concezione, si traduce nel fatto che, la loro azione rincorre culturalmente e politicamente i settori più arretrati delle masse (quelli che davvero danno retta solo al populismo e comprendono più facilmente ragionamenti superficiali e obiettivi “facili”) e tralasciano gli elementi più avanzati. Ci opponiamo fermamente a questo tipo di posizioni, perché siamo sicuri che il movimento operaio e la sinistra, non sono affatto finiti e non lo saranno. Il conflitto sociale si riproporrà e sarà sempre più all’ordine del giorno. Compagni e Compagne, i Comunisti hanno il compito di elevare la coscienza delle masse, non quello di inseguirla. Utile elemento di riflessione, è anche il fatto che nessun Comunista (degno di questo nome) dà la responsabilità dei propri fallimenti alle masse popolari. La storia insegna (dall’affermazione del Nazi-Fascismo in avanti) che dipingere di brutto quello che è già brutto (senza indicare una via concreta e praticabile per contrastarlo e vincere), produce i risultati opposti. Chi si lamenta non indica una prospettiva alternativa, e chi non la indica non ha nulla da dare alle masse popolari. In definitiva, da qui nasce la concezione (e la cultura) dell’ANTI, che tralascia e mortifica il PER. Noi siamo Comunisti, per il Comunismo, siamo semplicemente antifascisti, anticapitalisti e antimperialisti. Il Comitato Politico Nazionale (CPN), considera chiusa l’esperienza di “Rivoluzione Civile”. È necessario lasciarci alle spalle una discussione stantia sui “contenitori” che si è mostrata fallimentare e potenzialmente liquidatoria del partito, per affrontare il tema del rilancio della “Rifondazione Comunista” attraverso un confronto sui “contenuti”. La discussione del congresso, deve ripartire dalla definizione di un programma anticapitalista, che metta al centro: il tema dell’estinzione del debito, delle nazionalizzazioni, del controllo pubblico dell’economia, al fine di impedire che le masse popolari vengano stritolate dalla crisi. Avevamo detto in tempi non sospetti, che si sarebbero dovuti fare serenamente i conti con i fallimenti di cui i nostri dirigenti, si sono resi protagonisti e dimettersi. Non lo hanno fatto, né allora né oggi, e perciò lo facciamo noi per loro, da semplice iscritti però, dato che agli incarichi dirigenziali ne siamo stati sempre poco affezionati. È veramente triste fare i conti con il mesto epilogo di un “progetto nato” con l’ambizione di “rifondare” una “teoria e prassi” Comunista nel Paese, dopo lo scioglimento traumatico del Partito Comunista Italiano. Di sconfitta in sconfitta, l’organizzazione (incaricatasi di rappresentare la palingenesi del marxismo) militante, si è progressivamente ridimensionata, fino a divenire inutile, residuale, insignificante. Altro che l’erede del più grande Partito Comunista dell’Occidente, al massimo ci siamo ridotti a scimmiottare una delle tante organizzazioni della vecchia sinistra extraparlamentare, con una non trascurabile differenza: allora c’era anche il PCI, oggi no. Negli ultimi anni siamo stati impegnati, più che a costruire il nostro progetto politico e dargli credibilità, a ragionare in termini di posizionamento rispetto agli altri: PD “Sì”, PD “No”; Governo “Sì”, Governo “No”. In questo caso potremmo evocare la famosa “Sindrome di Stoccolma”, per spiegare l’attuale stato d’animo del PRC e del PdCI, perché la sconfitta e la profonda crisi del Partito Democratico, ha anzitutto spiazzato chi in questi anni ha incessantemente incentrato la propria azione politica sulla critica feroce o l’appiattimento verso questo partito. Se non esistesse più il PD, un buon 70% degli argomenti al centro delle nostre discussioni, negli ultimi anni verrebbe meno. Panico: chi siamo, dove andiamo, come fare e soprattutto “Che fare”? (diceva il Compagno Lenin nel 1929). Fondare o affondare il proprio progetto sulla politica delle alleanze (alleati sempre e comunque, oppure mai) è indice di subalternità politica: in entrambi i casi il soggetto non sono io, bensì l’altro, in ragione del quale, in un senso o nell’altro, configuro tutte le mie scelte di tattica e strategia. Come in più di un’occasione mi è capitato di dire, l’idea della Rifondazione Comunista è stata sconfitta non dalla borghesia, dai poteri forti, dall’ipoteca moderata nel Paese del Vaticano. Il Partito della Rifondazione Comunista ha fatto tutto o quasi tutto da solo: anzitutto perseguendo una linea a zig zag (eclettica, per non dire schizofrenica) dove abbiamo detto tutto e il contrario di tutto; quindi anteponendo sempre il momento elettorale a tutto il resto. Prima vengono i progetti politici e poi le urne. Noi abbiamo preteso di invertire questi due termini, andando avanti con campagne estemporanee, tirando ogni volta “fuori dal cilindro”, “conigli” pronti a essere sacrificati nelle urne. Siamo finiti nel “girone dantesco” dei “Comitati Elettorali”, anziché impegnarci con continuità e coraggio su un progetto politico di lungo periodo in grado di seminare, sedimentare e poi, magari, ottenere risultati. La fretta per le esigenze della scheda elettorale, rispetto alle quali non ci siamo mai sentiti pronti e adeguati, tanto da dover ogni volta inventare un simbolo e contenitore nuovo (o privo di contenuti), la fregola di eleggere, o meglio di essere eletti, ci ha puntualmente fregato. Ogni volta, a pochi mesi dal voto, abbiamo tentato la “mossa del cavallo vincente”, inventandoci il cartello elettorale di turno, per poi abbandonarlo successivamente subito dopo. È accaduto alle Elezioni Politiche del 2008, con la “Sinistra Arcobaleno”, alle Elezioni Europee, con la Lista “Comunista e Anticapitalista” ed infine, in questa ultimissima tornata elettorale dove (nel breve volgere di pochi mesi) abbiamo bruciato ben due soggetti politici inventati all’occorrenza, ovvero, “Cambiare #Si Può e Rivoluzione Civile”, dopo aver archiviato una proposta di cui nessuno ha più nemmeno memoria, il “Fronte democratico”. All’interno di questa autentica “Via Crucis” l’unico tentativo dotato di un minimo di prospettiva (se così possiamo definirlo) era la “Federazione della Sinistra”, su cui però non abbiamo mai investito seriamente, azzoppandola sin da subito con assurde “competizioni interne”, sgambetti reciproci, rivalità e insensati personalismi tra i nostri “piccoli leader” (vedi Ferrero, Diliberto, Salvi e Patta), l’esigenza di tutelare i rispettivi “orticelli di sovranità” anche a discapito del “Progetto Comune”. Eppure, proprio la sua nascita, all’indomani delle Elezioni Europee, qualche segnale di speranza e un minimo di entusiasmo l’aveva suscitata, perché finalmente si tentava di invertire la tendenza decompositiva delle “scissioni a sinistra” e perché, finalmente, almeno PRC e PdCI sembravano decisi a costruire una fraterna “casa comune”. Come tanti altri, anche noi ci abbiamo creduto, dedicando parte (non trascurabile) del nostro tempo (e delle nostre risorse) a tale prospettiva, salvo poi scoprire (a pochi mesi dalle elezioni) che ci eravamo di nuovo sbagliati e che non era più il “tempo” di Federarsi a Sinistra. Da una parte e dall’altra, la politica delle alleanze è stata posta al di sopra di tutto, compresa l’esistenza stessa del soggetto politico. In entrambi i casi (sia per chi bramava gli accordi con il PD, sia per chi li rifiutava a priori), la malattia era la medesima: istituzionalismo e smania di protagonismo. In entrambi i casi, è stato un fallimento politico occultato dallo “stato di necessità” della fase. Per 4 anni, da Roma, i nostri dirigenti ci hanno martellato (con riunioni, assemblee, chilometri in auto, treno aereo, ore al telefono, soldi buttati, giornate sottratte a lavoro e a vita privata) per fare avanzare il “nuovo contenitore federale” della Sinistra di Classe, spingendoci di girare i paesi per convincere compagni e compagne, litigando con chi non ne condivideva la prospettiva. Poi, di punto in bianco (ovviamente a cose fatte e senza alcun mandato congressuale) quel contenitore è stato svuotato e gettato nel cestino, senza neanche tentare di spiegarci come sono andate le cose o dirci: «scusate, ci eravamo sbagliati». Pensiamo, che ci sia stata poca onestà verso quei dirigenti e quei militanti che nei territori (mentre si dava loro l’indicazione di costruire la “Federazione della Sinistra”) i vertici dei due partiti maggiori (PRC e PdCI) facevano tutt’altro, evitando risolutamente di trasformare un cartello elettorale in soggetto politico. In realtà, abbiamo come l’impressione che nessuno di loro volesse realmente o credesse sinceramente in quel progetto. Ovviamente non subito, perché tanto di tempo ne abbiamo molto, e magari nel mentre ci scappa pure qualche altra tornata elettorale. Macché, rinviamo tutto a Dicembre, con la speranza di trovare sotto il prossimo “Albero di Natale”, le masse popolari allineate e pronte per essere guidate dall’ennesimo “rilancio” della Rifondazione Comunista. Questo gruppo dirigente ha avuto 5 anni per tentare sia questa strada, sia quella della più ampia aggregazione a sinistra, raccogliendo soltanto sconfitte. I Compagni Giuseppe Antonelli e Maddè Guglielmo, ringraziano tutti i Compagni e tutte le Compagne della Federazione Provinciale del Partito della Rifondazione Comunista di Frosinone per l’impegno mostrato, sottolineando, come il risultato pesantemente negativo, non può essere in alcun modo relazionato allo sforzo profuso in campagna elettorale, notevole e generoso come sempre. I 1.668 voti di preferenza del candidato operaio dell’indotto Fiat Guglielmo Maddè, ed i 6.932 voti (2,39%) della Lista Provinciale di “Rivoluzione Civile” della Federazione di Frosinone ed i 71.219 voti (2,38%) della Lista a livello Regionale, di fatto sono tre dati che vanno in netta controtendenza rispetto al risultato raggiunto a livello Nazionale. La percentuale conseguita in Provincia di Frosinone da “Rivoluzione Civile” alle Elezioni Regionali del Lazio (nonostante le tante difficoltà incontrate) è un risultato di tutto rispetto. A differenza del dato Nazionale di 765.188 (2,25%) della Lista “Rivoluzione Civile”, che non da modo al movimento (del magistrato Antonino Ingroia) di entrare in Parlamento (perché non raggiunge la soglia di sbarramento del 4%, provocata da leggi elettorali truffaldine come la “Porcellum/Calderoli”) aprendo scenari politico-italiani estremamente rilevanti. Le cause della sconfitta sono puramente politiche. I Compagni Giuseppe Antonelli e Maddè Guglielmo accettano pertanto le dimissioni della Segreteria Nazionale, che si riconvoca da qui a un mese per avviare il percorso del Congresso straordinario da tenersi entro il mese di Dicembre del 2013. Dopo diversi anni (chi più e chi meno) passati dentro il Partito della Rifondazione Comunista, i Compagni Giuseppe Antonelli e Maddè Guglielmo (non certo a cuor leggero) hanno deciso di dimettersi dal Comitato Politico Federale (entrambi entrati nel CPF nel 2004) e nella fattispecie dalla Segreteria Provinciale del PRC della Federazione di Frosinone, come il Compagno Giuseppe Antonelli, perché mai avevamo pensato (neanche nei momenti più duri di distanza, quando prevalevano gli elementi di dissenso a quelli di condivisione) di fare un simile passo. Lo facciamo ora, con grande travaglio personale, per non renderci ulteriormente complici di una conduzione tanto scellerata e, soprattutto, continuando (come abbiamo sempre fatto) ad esser presenti nelle migliaia di manifestazioni, vertenze, lotte politiche e sindacali, in un territorio economicamente, culturalmente e industrialmente, massacrato da una “classe dirigente” sorda, incapace e fallimentare. Bisogna finirla di pensare che abbiamo perso, non perché abbiamo sbagliato, ma perché gli elettori non ci hanno capito. Forse Compagni e Compagne, al contrario, abbiamo perso sonoramente perché invece loro, hanno capito benissimo, mentre noi ancora no.
Cassino, lì 20 Marzo 2013
Saluti Comunisti
Giuseppe Antonelli
Segreteria Provinciale del P.R.C. – Federazione di Frosinone
Responsabile dell’Organizzazione
Maddè Guglielmo
CPF - PRC Frosinone
Candidato Operaio alle Elezioni
Regionali 2013 del Lazio



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