Ai/lle Compagni/e del Comitato Politico Federale di
Frosinone
Ai/lle Compagni/e del
Collegio Provinciale di Garanzia di Frosinone
Alla Segretaria
Provinciale del PRC di Frosinone – Ornella Carnevale
Ai/lle Compagni/e del
Comitato Politico Regionale del Lazio
Ai/lle Compagni/e del
Collegio Regionale di Garanzia del Lazio
Alla Segretaria Regionale
del PRC del Lazio – Loredana Fraleone
Ai/lle Compagni/e del
Comitato Politico Nazionale del PRC
Ai/lle Compagni/e del
Collegio Nazionale di Garanzia del PRC
Ai/lle Compagni/e della
Segreteria Nazionale del PRC
Al Segretario Nazionale
del PRC – Paolo Ferrero
Alla Direzione Nazionale
del PRC di Roma
OGGETTO: DIMISSIONI DEI
COMPAGNI GIUSEPPE ANTONELLI E MADDE’ GUGLIELMO DAL “C.P.F.” DEL P.R.C. DELLA
FEDERAZIONE DI FROSINONE.
Fra le tante questioni aperte
dai Risultati Elettorali per le Elezioni Politiche (Camera e Senato) e
Regionali del Lazio del 24 e 25 Febbraio 2013, la disfatta della
Lista di “Rivoluzione Civile” ci riguarda direttamente, anche se
non siamo stati noi, né i promotori, né i sostenitori e nemmeno abbiamo
incoraggiato la “missione suicida” (costruita in fretta e in furia) attorno al
candidato Premier Antonino Ingroia, con cui i Partiti della
“Sinistra Radicale” (PRC e PdCI) hanno bissato il fallimento (e senza dubbio
con risultati ben più brucianti) Elettorale delle Elezioni Politiche. La
sconfitta di “Rivoluzione Civile” e di “Rifondazione Comunista”, che ne è stata
parte fondante, ha dimensioni senza appello. Non basta quindi un sussulto d’orgoglio
o uno sforzo volontaristico per mettersela alle spalle e tracciare una
prospettiva credibile, ma è necessario invece andare alla sua radice originaria
e rileggere (alla luce dei dati reali) una realtà che con ogni evidenza, il
gruppo dirigente del nostro partito, da tempo, non era più in grado di vedere.
È necessario rimettere in discussione l’intera strategia politica, che ha
guidato le scelte del gruppo dirigente in questi anni. La conferma della “scomparsa
elettorale” ci riguarda direttamente, come ci riguardano direttamente i
sommovimenti, gli sviluppi e le evoluzioni nel campo della sinistra, nel
movimento operaio e nel movimento Comunista. Nessun Comunista (degno di questo
nome) può sottovalutare l’impegno, la dedizione e lo sforzo che centinaia (e
forse migliaia) di Compagni e Compagne di base del Partito della
Rifondazione Comunista hanno profuso nella campagna elettorale con banchetti,
volantinaggi, attacchinaggi, assemblee e riunioni. Il loro impegno e il loro
sforzo, è la manifestazione sana e positiva di quanto (nonostante il gruppo
dirigente del Partito della Rifondazione Comunista e il progetto
di “Rivoluzione Civile”, ne fossero per certi versi “indegni”) la
prospettiva di usare le elezioni per rafforzare il movimento popolare contro la
crisi e i suoi effetti, sia presente, viva, e vivace in un’ambizione condivisa.
In secondo luogo, nessun Comunista (degno di questo nome) può permettersi di
ironizzare sul fatto che, tanto impegno e tanti sforzi, fossero finalizzati a
realizzare un progetto che non aveva gambe per marciare. La cosa ci compete e
ci riguarda, perché oltre al fallimento elettorale, sarebbe acconsentire, che
la demoralizzazione, la sfiducia, il senso di essere “fuori dalla storia” avesse
il sopravvento su tanti Compagni e le tante Compagne. Le loro energie e
intelligenze, il loro contributo invece, sono necessari come l’aria che
respiriamo per condurre la lotta per il Comunismo (un compito
storico di primaria importanza in Italia) in un paese imperialista. Anche
adesso, dopo l’ennesima catastrofe elettorale che ha travolto le ambizioni di
una “Rivoluzione Civile” in questo Paese, lascia esterrefatti la totale
mancanza di senso di responsabilità. Le dimissioni “doverose e necessarie” di
un gruppo dirigente, non sono per noi un semplice passaggio consolatorio o
l’occasione per rielencare la lunga (e quasi interminabile) lista di errori che
hanno condotto a questo esito. Il punto è che da tempo ormai, era venuta meno
una pietra angolare essenziale alla vita di qualsiasi organizzazione, ossia il
senso di responsabilità che dovrebbe legare un gruppo dirigente al corpo del
suo partito. Questo senso di responsabilità è stato buttato a mare e sostituito
con illusioni, improvvisazioni, fughe dalla realtà, desideri scambiati per
analisi, piccoli e grandi opportunismi. In primis è bene mettere alcune cose al
proprio posto. Il gruppo dirigente del Partito della Rifondazione
Comunista, racchiude e sintetizza le varie “tendenze anticomuniste” che
animano la sinistra borghese. La linea che ha elaborato (se così si può dire) è
una linea di compatibilità con l’esistente. La prospettiva che ha elaborato si
racchiude in una serie di riforme del capitalismo (che all’atto pratico,
diventano il meno peggio, che apre la porta al peggio: “do you remember”
il precedente Governo Prodi). Concepisce il Partito e lo ha plasmato
(non da oggi, a dire il vero è la “deriva” della sinistra borghese
iniziata decenni fa) come un’entità che dipende dagli spazi che la borghesia
gli concede e dal ruolo che la borghesia gli assegna (ecco spiegata in sintesi
estrema l’ossessione di rientrare in Parlamento, che in un Partito come quello
della Rifondazione Comunista di Paolo Ferrero, fuori dal Parlamento
non ha più senso di esistere). Ha prolungato, dalla “crisi mortale” del
2008 a oggi, la situazione di un “partito” scisso tra i militanti che
fanno attività di base e i dirigenti che aspirano essenzialmente a rientrare in
Parlamento a qualunque costo. In questa smania disperata di rientrare in
Parlamento, si sono amplificate tutte le “magagne” dei dirigenti del
Partito della Rifondazione Comunista; analisi della realtà pari a zero, cosa
che ha prodotto e alimentato la guerra contro il Movimento 5 Stelle;
strategia pari a zero, cosa che ha indotto molti a credere e a ragionare, che
una volta “rientrati” gli eletti di “Rivoluzione Civile”,
avrebbero cercato ognuno una sistemazione a propria convenienza e secondo le
proprie inclinazioni all’ombra del Partito Democratico. Rimane da
chiarire il motivo per cui, tanti Compagni e tante Compagne di base del Partito
della Rifondazione Comunista, si sono comunque accodati a una linea generale e
particolare fallimentare. Alla base di questo “adattamento”, ci sta probabilmente
la convinzione che il fattore determinante è essere tanti. Alla prova dei fatti
questa convinzione si è rivelata, o meglio si è confermata sbagliata: è vero
che il numero fa la forza, ma solamente se il numero è guidato da una
concezione, da una strategia, da una linea giusta, avanzata e di prospettiva.
Si può essere in tanti, ma se la concezione, l’analisi e la linea sono
sbagliate si fallisce. Si diventa pochi, ci si disgrega, anziché accumularle si
disperdono le forze, seminando disfattismo e rassegnazione. La concezione
sbagliata è evidente, e sta nel fatto di non concepire come possibile quello
che è necessario anche se difficile, ovvero, costruire la Rivoluzione
Socialista in un Paese Imperialista come l’Italia.
Ma, citando Seneca «”certe imprese, non è perché sono difficili che non
le affrontiamo, al contrario, è perché non osiamo affrontarle che ci sembrano
difficili”». Castrando il necessario in favore di ciò che è difficile,
la loro azione diventa nel migliore dei casi testimonianza dogmatica di
un’idea. Ma quell’idea non viene usata per guidare l’azione e la pratica. Altro
pilastro di quella concezione, è probabilmente la convinzione che la politica è
una cosa solo o principalmente pratica. Cioè la convinzione (i gruppi dirigenti
del Partito della Rifondazione Comunista hanno assecondato e incoraggiato i
tanti compagni militanti in questo grande errore) che la “teoria
rivoluzionaria” non serve. Compagni e Compagne, la teoria
rivoluzionaria non è lo studio accademico dei libri sacri. La teoria
rivoluzionaria: è fare nostri gli insegnamenti del movimento comunista, è
l’analisi concreta della situazione concreta, è la pianificazione della propria
azione, è la definizione degli obiettivi, la definizione
di metodi e strumenti, è il bilancio dell’esperienza. Si moltiplicano gli
aperitivi resistenti e si diradano lo studio individuale e le discussioni
collettive, si moltiplicano le iniziative “per stare a contatto con le
masse, sul territorio” e spariscono lo studio delle contraddizioni del
territorio, l’analisi delle condizioni, la definizione di obiettivi. Il terzo
pilatro della concezione dei dirigenti Nazionali del Partito della Rifondazione
Comunista (educati e formati apposta per quello) è la convinzione che “le
masse non capiscono”, “sono arretrate”, “danno retta al populismo”. Questa
concezione, si traduce nel fatto che, la loro azione rincorre culturalmente e
politicamente i settori più arretrati delle masse (quelli che davvero danno
retta solo al populismo e comprendono più facilmente ragionamenti superficiali
e obiettivi “facili”) e tralasciano gli elementi più avanzati. Ci
opponiamo fermamente a questo tipo di posizioni, perché siamo sicuri che il
movimento operaio e la sinistra, non sono affatto finiti e non lo saranno. Il
conflitto sociale si riproporrà e sarà sempre più all’ordine del giorno.
Compagni e Compagne, i Comunisti hanno il compito di elevare la coscienza delle
masse, non quello di inseguirla. Utile elemento di riflessione, è anche il
fatto che nessun Comunista (degno di questo nome) dà la responsabilità dei
propri fallimenti alle masse popolari. La storia insegna (dall’affermazione del
Nazi-Fascismo in avanti) che dipingere di brutto quello che è già
brutto (senza indicare una via concreta e praticabile per contrastarlo e vincere),
produce i risultati opposti. Chi si lamenta non indica una prospettiva
alternativa, e chi non la indica non ha nulla da dare alle masse popolari. In
definitiva, da qui nasce la concezione (e la cultura) dell’ANTI,
che tralascia e mortifica il PER. Noi siamo Comunisti, per il
Comunismo, siamo semplicemente antifascisti, anticapitalisti e antimperialisti.
Il Comitato Politico Nazionale (CPN), considera chiusa
l’esperienza di “Rivoluzione Civile”. È necessario lasciarci alle spalle
una discussione stantia sui “contenitori” che si è mostrata fallimentare
e potenzialmente liquidatoria del partito, per affrontare il tema del rilancio
della “Rifondazione Comunista” attraverso un confronto sui “contenuti”.
La discussione del congresso, deve ripartire dalla definizione di un programma
anticapitalista, che metta al centro: il tema dell’estinzione del debito, delle
nazionalizzazioni, del controllo pubblico dell’economia, al fine di impedire
che le masse popolari vengano stritolate dalla crisi. Avevamo detto in tempi
non sospetti, che si sarebbero dovuti fare serenamente i conti con i fallimenti
di cui i nostri dirigenti, si sono resi protagonisti e dimettersi. Non lo hanno
fatto, né allora né oggi, e perciò lo facciamo noi per loro, da semplice
iscritti però, dato che agli incarichi dirigenziali ne siamo stati sempre poco
affezionati. È veramente triste fare i conti con il mesto epilogo di un “progetto
nato” con l’ambizione di “rifondare” una “teoria e
prassi” Comunista nel Paese, dopo lo scioglimento traumatico del Partito
Comunista Italiano. Di sconfitta in sconfitta, l’organizzazione
(incaricatasi di rappresentare la palingenesi del marxismo)
militante, si è progressivamente ridimensionata, fino a divenire inutile,
residuale, insignificante. Altro che l’erede del più grande Partito
Comunista dell’Occidente, al massimo ci siamo ridotti a scimmiottare
una delle tante organizzazioni della vecchia sinistra extraparlamentare, con
una non trascurabile differenza: allora c’era anche il PCI, oggi
no. Negli ultimi anni siamo stati impegnati, più che a costruire il nostro
progetto politico e dargli credibilità, a ragionare in termini di
posizionamento rispetto agli altri: PD “Sì”, PD “No”; Governo “Sì”,
Governo “No”. In questo caso potremmo evocare la famosa “Sindrome
di Stoccolma”, per spiegare l’attuale stato d’animo del PRC e
del PdCI, perché la sconfitta e la profonda crisi del Partito
Democratico, ha anzitutto spiazzato chi in questi anni ha
incessantemente incentrato la propria azione politica sulla critica feroce o
l’appiattimento verso questo partito. Se non esistesse più il PD, un buon 70%
degli argomenti al centro delle nostre discussioni, negli ultimi anni verrebbe
meno. Panico: chi siamo, dove andiamo, come fare e soprattutto “Che
fare”? (diceva il Compagno Lenin nel 1929). Fondare o affondare il
proprio progetto sulla politica delle alleanze (alleati sempre e comunque,
oppure mai) è indice di subalternità politica: in entrambi i casi il soggetto
non sono io, bensì l’altro, in ragione del quale, in un senso o nell’altro,
configuro tutte le mie scelte di tattica e strategia. Come in più di
un’occasione mi è capitato di dire, l’idea della Rifondazione Comunista è stata
sconfitta non dalla borghesia, dai poteri
forti, dall’ipoteca moderata nel Paese del Vaticano. Il Partito
della Rifondazione Comunista ha fatto tutto o quasi tutto da solo: anzitutto
perseguendo una linea a zig zag (eclettica, per non dire schizofrenica) dove
abbiamo detto tutto e il contrario di tutto; quindi anteponendo sempre il
momento elettorale a tutto il resto. Prima vengono i progetti politici e poi le
urne. Noi abbiamo preteso di invertire questi due termini, andando avanti con
campagne estemporanee, tirando ogni volta “fuori dal cilindro”, “conigli”
pronti a essere sacrificati nelle urne. Siamo finiti nel “girone
dantesco” dei “Comitati Elettorali”, anziché impegnarci con continuità
e coraggio su un progetto politico di lungo periodo in grado di seminare,
sedimentare e poi, magari, ottenere risultati. La fretta per le esigenze della
scheda elettorale, rispetto alle quali non ci siamo mai sentiti pronti e
adeguati, tanto da dover ogni volta inventare un simbolo e contenitore nuovo (o
privo di contenuti), la fregola di eleggere, o meglio di essere eletti, ci ha
puntualmente fregato. Ogni volta, a pochi mesi dal voto, abbiamo tentato la “mossa
del cavallo vincente”, inventandoci il cartello elettorale di turno,
per poi abbandonarlo successivamente subito dopo. È accaduto alle Elezioni
Politiche del 2008, con la “Sinistra Arcobaleno”, alle Elezioni
Europee, con la Lista “Comunista e Anticapitalista” ed
infine, in questa ultimissima tornata elettorale dove (nel breve volgere di
pochi mesi) abbiamo bruciato ben due soggetti politici inventati
all’occorrenza, ovvero, “Cambiare #Si Può e Rivoluzione
Civile”, dopo aver archiviato una proposta di cui nessuno ha più
nemmeno memoria, il “Fronte democratico”. All’interno di questa
autentica “Via Crucis” l’unico tentativo dotato di un minimo di
prospettiva (se così possiamo definirlo) era la “Federazione della Sinistra”,
su cui però non abbiamo mai investito seriamente, azzoppandola sin da subito
con assurde “competizioni interne”, sgambetti reciproci, rivalità e insensati
personalismi tra i nostri “piccoli leader” (vedi Ferrero, Diliberto,
Salvi e Patta), l’esigenza di tutelare i rispettivi “orticelli di
sovranità” anche a discapito del “Progetto Comune”. Eppure,
proprio la sua nascita, all’indomani delle Elezioni Europee, qualche segnale di
speranza e un minimo di entusiasmo l’aveva suscitata, perché finalmente si
tentava di invertire la tendenza decompositiva delle “scissioni a sinistra” e
perché, finalmente, almeno PRC e PdCI sembravano decisi a costruire una
fraterna “casa comune”. Come tanti altri, anche noi ci abbiamo creduto,
dedicando parte (non trascurabile) del nostro tempo (e delle nostre risorse) a
tale prospettiva, salvo poi scoprire (a pochi mesi dalle elezioni) che ci
eravamo di nuovo sbagliati e che non era più il “tempo” di Federarsi a
Sinistra. Da una parte e dall’altra, la politica delle alleanze è stata posta
al di sopra di tutto, compresa l’esistenza stessa del soggetto politico. In
entrambi i casi (sia per chi bramava gli accordi con il PD, sia
per chi li rifiutava a priori), la malattia era la medesima: istituzionalismo e
smania di protagonismo. In entrambi i casi, è stato un fallimento politico
occultato dallo “stato di necessità” della fase. Per 4 anni, da Roma,
i nostri dirigenti ci hanno martellato (con riunioni, assemblee, chilometri in
auto, treno aereo, ore al telefono, soldi buttati, giornate sottratte a lavoro
e a vita privata) per fare avanzare il “nuovo contenitore federale” della
Sinistra di Classe, spingendoci di girare i paesi per convincere compagni e
compagne, litigando con chi non ne condivideva la prospettiva. Poi, di punto in
bianco (ovviamente a cose fatte e senza alcun mandato congressuale) quel
contenitore è stato svuotato e gettato nel cestino, senza neanche tentare di
spiegarci come sono andate le cose o dirci: «scusate, ci eravamo
sbagliati». Pensiamo, che ci sia stata poca onestà verso quei dirigenti
e quei militanti che nei territori (mentre si dava loro l’indicazione di
costruire la “Federazione della Sinistra”) i vertici dei due
partiti maggiori (PRC e PdCI) facevano tutt’altro, evitando
risolutamente di trasformare un cartello elettorale in soggetto politico. In
realtà, abbiamo come l’impressione che nessuno di loro volesse realmente o
credesse sinceramente in quel progetto. Ovviamente non subito, perché tanto di
tempo ne abbiamo molto, e magari nel mentre ci scappa pure qualche altra
tornata elettorale. Macché, rinviamo tutto a Dicembre, con la speranza di
trovare sotto il prossimo “Albero di Natale”, le masse popolari
allineate e pronte per essere guidate dall’ennesimo “rilancio” della
Rifondazione Comunista. Questo gruppo dirigente ha avuto 5 anni per tentare sia
questa strada, sia quella della più ampia aggregazione a sinistra, raccogliendo soltanto
sconfitte. I Compagni Giuseppe Antonelli e Maddè Guglielmo,
ringraziano tutti i Compagni e tutte le Compagne della Federazione
Provinciale del Partito della Rifondazione Comunista di Frosinone per
l’impegno mostrato, sottolineando, come il risultato pesantemente negativo, non
può essere in alcun modo relazionato allo sforzo profuso in campagna
elettorale, notevole e generoso come sempre. I 1.668 voti di preferenza del
candidato operaio dell’indotto Fiat Guglielmo Maddè, ed i 6.932
voti (2,39%) della Lista Provinciale di “Rivoluzione Civile” della Federazione
di Frosinone ed i 71.219 voti (2,38%) della Lista a livello
Regionale, di fatto sono tre dati che vanno in netta controtendenza
rispetto al risultato raggiunto a livello Nazionale. La percentuale conseguita
in Provincia di Frosinone da “Rivoluzione Civile” alle Elezioni
Regionali del Lazio (nonostante le tante difficoltà incontrate) è un risultato
di tutto rispetto. A differenza del dato Nazionale di 765.188 (2,25%)
della Lista “Rivoluzione Civile”, che non da modo al movimento (del
magistrato Antonino Ingroia) di entrare in Parlamento (perché non raggiunge la
soglia di sbarramento del 4%, provocata da leggi elettorali truffaldine come la
“Porcellum/Calderoli”) aprendo scenari politico-italiani
estremamente rilevanti. Le cause della sconfitta sono puramente politiche. I
Compagni Giuseppe Antonelli e Maddè Guglielmo accettano
pertanto le dimissioni della Segreteria Nazionale, che si riconvoca da qui a un
mese per avviare il percorso del Congresso straordinario da tenersi entro il
mese di Dicembre del 2013. Dopo diversi anni (chi più e chi meno) passati
dentro il Partito della Rifondazione Comunista, i Compagni Giuseppe
Antonelli e Maddè Guglielmo (non certo a cuor leggero)
hanno deciso di dimettersi dal Comitato Politico Federale (entrambi
entrati nel CPF nel 2004) e nella fattispecie dalla Segreteria
Provinciale del PRC della Federazione di Frosinone, come il Compagno Giuseppe
Antonelli, perché mai avevamo pensato (neanche nei momenti più duri di
distanza, quando prevalevano gli elementi di dissenso a quelli di condivisione)
di fare un simile passo. Lo facciamo ora, con grande travaglio personale, per
non renderci ulteriormente complici di una conduzione tanto scellerata e,
soprattutto, continuando (come abbiamo sempre fatto) ad esser presenti nelle
migliaia di manifestazioni, vertenze, lotte politiche e sindacali, in un territorio
economicamente, culturalmente e industrialmente, massacrato da una “classe
dirigente” sorda, incapace e fallimentare. Bisogna finirla di pensare che
abbiamo perso, non perché abbiamo sbagliato, ma perché gli elettori non ci
hanno capito. Forse Compagni e Compagne, al contrario, abbiamo perso
sonoramente perché invece loro, hanno capito benissimo, mentre noi ancora no.
Cassino, lì 20 Marzo 2013
Saluti Comunisti
Giuseppe Antonelli
Segreteria Provinciale
del P.R.C. – Federazione di Frosinone
Responsabile
dell’Organizzazione
Maddè Guglielmo
CPF - PRC Frosinone
Candidato Operaio alle
Elezioni
Regionali
2013 del Lazio
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