Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 15 aprile 2013

La paralisi della borghesia e le manovre per un “nuovo” governo


di Valerio Torre

Nelle nostre analisi sull’esito delle elezioni politiche (1), ci eravamo soffermati in particolare su quello che i mezzi di comunicazione definiscono “stallo istituzionale” e che noi preferiamo chiamare col suo vero nome: paralisi. Uno scenario che alla borghesia terrorizzata e impantanata “nella palude dell’impotenza” fa venire in mente la situazione che si produsse nella repubblica di Weimar (2). Proprio per questo il padronato, per bocca del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, ha espresso la sua contrarietà ad elezioni anticipate chiedendo alla politica di “fare presto” e formare subito un governo che centri la sua azione sull’economia (ovviamente, nell’interesse delle imprese), denunciando anche il timore che possano scoppiare violenze sociali.
Gli espedienti della borghesia
Il fatto è che il risultato elettorale, combinato con l’ingorgo istituzionale del semestre bianco, obbliga i partiti della borghesia, nell’impossibilità di trovare una maggioranza coerente per comporre il nuovo esecutivo, a percorrere prima la strada per l’elezione del nuovo capo dello Stato. D’altronde, di andare a nuove elezioni – se pur fosse possibile sciogliere le Camere – nessuno ha realmente voglia: né il Pd, che vuole sfruttare fino in fondo la schiacciante maggioranza guadagnata alla Camera grazie al premio della legge elettorale; né il Pdl, che teme non possa ripetersi il “miracolo” del contenimento in termini accettabili della sconfitta nella competizione di febbraio, oltre a volersi vedere garantita l’impunità del suo leader; e neppure il M5S di Grillo, sia perché prevede di aver tutto da guadagnare dal possibile “inciucio” Bersani-Berlusconi, sia per non dover affrontare eventuali nuove elezioni sotto il fuoco incrociato dell’accusa di aver bloccato il Paese e di tenere ostaggio le Camere appena elette.
Ecco perché, in fondo in fondo, tutti sono stati – sia pure con diversi accenti e al di là delle schermaglie con cui le diverse forze politiche hanno mostrato la loro contrarietà (3) – contenti della soluzione della nomina dei “dieci saggi” uscita dal cilindro di Napolitano: si tratta pur sempre di un escamotage per guadagnare tempo, come non ha mancato di sottolineare la stampa della grande finanza internazionale, dal Wall Street Journal al New York Times, al The Financial Times, che ha evidenziato come l’espediente non farà altro che trasferire sul successore di Napolitano la patata bollente della formazione del governo se frattanto non verrà trovata una soluzione diversa, dal momento che le dimissioni del presidente della Repubblica (pur ventilate in un certo momento) sarebbero state viste dalle cancellerie europee e dai mercati come un evento estremamente negativo e un segnale di forte debolezza del sistema (4).
Ciò che, da parte nostra, non possiamo esimerci dal rimarcare – e senza volerci minimamente avventurare in una disputa giuridica – è il fatto che la borghesia ha un’incredibile capacità di sovvertire le sue stesse regole, visto che persino le norme di rango costituzionale delineano tutto un altro percorso: ciò è reso evidente dal fatto che altri settori della medesima borghesia parlano addirittura di “golpe”.
Certo, l’inutilità di questa pletorica commissione è stata paradossalmente consacrata da uno dei suoi stessi componenti, tanto poco “saggio” da essere caduto in uno scherzo telefonico organizzato da un programma radiofonico: nel corso della telefonata con una finta Margherita Hack, Valerio Onida, ex presidente della Corte costituzionale, in un sussulto di onestà ha definito “inutile” il lavoro dei saggi.
Verso un “nuovo” governo brancolando nel buio?
Intanto, il povero Bersani continua il suo lavorio nel difficile tentativo di consolidare il risultato elettorale per farlo valere non appena se ne presenteranno le condizioni. Il problema è che la sua strada è minata da diversi “nemici interni”.
Innanzitutto, come al solito, il sindaco di Firenze Matteo Renzi, che vede avvicinarsi il suo momento e ha preso ad ingaggiare un duello personale per scalzare il segretario del suo partito e finalmente proporsi come “il nuovo che avanza”. L’altro nemico è lo stesso Napolitano che non ha perso occasione per ricordare al segretario del Pd le “larghe intese” che portarono al compromesso storico fra Pci e Dc, chiaramente preparando i binari entro i quali vuole che il tentativo di formare il governo proceda, cioè il confronto con Berlusconi, che Bersani avrebbe voluto evitare come la peste ma che invece ha dovuto cominciare a praticare per non essere costretto a mettersi contro il Colle. Un primo incontro fra i due c’è stato e, ufficialmente, si è parlato solo dei criteri per la scelta del prossimo inquilino del Quirinale. È chiaro, tuttavia, che le due questioni – presidente della Repubblica, governo – sono intimamente legate e in grado di influire l’una sull’altra.
La crisi del regime e la necessità di un altro governo
La paralisi sembra a questo punto protrarsi per chissà quanto tempo. Indubbiamente, la crisi capitalistica e, nel caso italiano, la crisi politica e di regime, rappresentano un momento di forte debolezza del sistema che le classi subalterne dovrebbero sfruttare se avessero maturato la consapevolezza – al momento espressa solo parzialmente e inorganicamente in alcune importanti lotte radicali – che non c’è via d’uscita nel capitalismo. Eppure, mentre la borghesia è tutta presa dai suoi giri di valzer per assicurarsi un governo che possa imporre ai lavoratori un’altra stagione di violente misure di austerità, continuano ad accumularsi fascine che attendono solo una scintilla per prendere fuoco.
Intanto, i rivoluzionari debbono continuare a lavorare sempre più attivamente perché si sviluppi la coscienza che non il governo borghese che uscirà da questi balletti, ma solo un altro governo, quello dei lavoratori e per i lavoratori, potrà risolvere i problemi immediati e storici delle classi subalterne.
__________
(1) “Le elezioni di febbraio e la lotta di classe”:
http://www.alternativacomunista.it/content/view/1785/1/; ma, soprattutto, “La situazione politica dopo le elezioni e la battaglia dei comunisti” (Risoluzione del Consiglio Nazionale del Pdac del 9-10 marzo 2013): http://www.alternativacomunista.it/content/view/1800/1/.
(2) Esattamente in questi termini Stefano Folli, “Dietro le inutili polemiche sui ‘saggi’ si prepara la battaglia del Quirinale”, Il Sole 24 Ore, 2/4/2013.
(3) È pur vero che Grillo ha bollato i dieci saggi come “badanti della democrazia”, ma è altrettanto vero che il M5S, salutando con favore la decisione del capo dello Stato con la motivazione che essa confermerebbe la tesi dei grillini sulla prorogatio del governo Monti, contraddice tutta la propria campagna elettorale contro il premier uscente: evidentemente, per il comico genovese, la Pasqua ha l’effetto non solo di resuscitare Gesù Cristo, ma anche di far uscire il capo del governo dal suo… “rigor Montis”!
(4) Le cronache raccontano di una “drammatica” telefonata fra Napolitano e il numero uno della Bce, Mario Draghi: telefonata, peraltro, non smentita dallo stesso Draghi, che ha tentato di ridimensionare l’episodio (
http://www.wallstreetitalia.com/article/1537874/crisi-debito/draghi-rischi-al-ribasso-per-economia-fu-napolitano-a-chiamare.aspx).

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