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Mentre
di legge elettorale non si parla più (ed era una priorità assoluta, a detta
generale)
e sfumano i contorni dei provvedimenti urgenti, per affrontare con
serietà
e decisione l’emergenza sociale (se ne può vedere un lungo elenco,
probabilmente
non esaustivo, nell’articolo domenicale di Scalfari su la
Repubblica), si
corre in tutta fretta attraverso sentieri inesplorati, per fare
qualcosa
che la prassi costante e la stessa Costituzione prospettano in termini
totalmente
diversi
Continua, intanto, il
percorso delle “riforme costituzionali” su cui mi sono già altre volte
intrattenuto. Mentre
ferve la discussione e non mancano commenti critici sull’iter e sulle
prospettive, anche da
fonti assai autorevoli, si continua imperterriti sulla strada intrapresa. E’ stato
nominato il Comitato, definito da molti come quello dei “saggi”, che dovranno
assistere il Governo. Trovo davvero singolare questa vicenda dei “saggi”, non
perché non apprezzi gran parte dei nominati, ma perché nella stessa definizione
si vuol tentare di forzare la mano, lasciando intendere che si costituisce un
organismo, che in realtà non c’è.
Ma le singolarità non si
riducono a questo: si tratta, alla fine, di “consulenti” nominati dal
Governo, che ha il
diritto certamente di nominarli e spesso lo ha fatto nel passato, ma mai ho visto
raggiungere un simile numero (35) di consulenti, in un colpo solo e a maggior
ragione in un periodo in cui tutti parlano di sobrietà (e la sobrietà, se anche
non investisse gli aspetti economici, riguarderebbe quanto meno il numero,
veramente inconsueto). E chi ha mai visto consulenti non separati, settore per
settore, specializzazione per specializzazione, ma tutti impegnati a lavorare
insieme su un tema unico? Personalmente io non sono contrario alle novità; ma
quando sono troppe e sono dotate di grande singolarità, prima mi stupisco e poi
mi preoccupo. Tanto più che questo raggruppamento di esperti dovrebbe preparare
un testo da sottoporre al Parlamento, anticipandone il lavoro.
Una
volta, era il Parlamento che lavorava e poi, magari, su una bozza, interpellava
esperti, faceva audizioni, chiedeva pareri. Adesso, è il contrario: sarà il Parlamento
che si troverà di fronte ad un lavoro (forse) completo e deciderà o di buttarlo
a mare (e sarebbe poco “rispettoso”) oppure dovrà prenderne atto e lavorare
anche su quello. Non è un’altra anomalia, o sono io di gusti troppo sofisticati?
D’altronde,
volendo proprio dirla tutta, se si voleva bypassare la sobrietà, non
sarebbe
stato meglio nominare un Collegio di esperti per trovare il modo migliore per
uscire dalla crisi e dall’emergenza sociale?
Ma non è finita: apprendo
che questo “gruppo” lavorerà come una Commissione vera e
propria; c’è chi parla di
relatori e così via. Anche questo non si era mai visto.
Come non si era mai
visto, che un simile gruppo di Consulenti del Governo venisse addirittura ricevuto
al Quirinale. E’ vero che questo era accaduto poco tempo fa, proprio a
proposito di altri “saggi”; ma quelli erano stati nominati dal Presidente della
Repubblica e dunque non c’era nulla di singolare che vi fosse un incontro e un
contatto. Ma che rapporto ci può essere tra un Presidente della Repubblica e
dei consulenti nominati dal Governo? Francamente
non saprei rispondere.
Infine, tempo addietro,
non si tendeva a ritenere che le riforme costituzionali fossero materia soprattutto
parlamentare e che il Governo, proprio per la sua particolare posizione di “politicità”,
era opportuno che si tenesse fuori dal dibattito, salvo il diritto di
esprimere, nelle forme previste, il suo parere? Anche questo, a quanto pare,
non solo non usa più ma, anzi, si direbbe che le proporzioni si stiano
invertendo, quasi che debba essere il Governo a condurre i giochi, a dettare l’agenda
indicando i contenuti, con buona pace del Parlamento. Infine, se si legge
quanto ha scritto Scalfari (nell’articolo domenicale, sulla “Repubblica” del 9
giugno), le riforme davvero urgenti e praticabili senza stravolgere la
Costituzione nella sua struttura, sarebbero solo tre, (a prescindere dalla
legge elettorale, ovviamente): la fine del bicameralismo perfetto, il taglio
del numero dei parlamentari, l’abolizione delle province. Se fosse davvero
così, a che servirebbe tutto questo apparato e il sistema che si è messo in piedi,
visto che si tratta di riforme sulle quali si discute da anni? In linea di
principio, c’è già una notevole intesa, e si tratterebbe solo di approfondire
gli aspetti particolari e concreti.
Sarebbe dunque una serie
di provvedimenti già matura per una normale discussione in
Parlamento, senza bisogno
di altro che di un accordo tra le parti politiche, sui dettagli più
ancora che sul merito. Si
avvalora il sospetto che in realtà si voglia andare ben oltre e che
proprio a questo dovrebbe
servire la strana impalcatura che si è voluta costruire.
Insomma,
mentre di legge elettorale non si parla più (ed era una priorità assoluta, a
detta generale) e sfumano i contorni dei provvedimenti urgenti, per affrontare con
serietà e decisione l’emergenza sociale (se ne può vedere un lungo elenco, probabilmente
non esaustivo, sempre sullo stesso articolo di Scalfari), si corre in tutta
fretta attraverso sentieri inesplorati, per fare qualcosa che la prassi
costante e la stessa Costituzione prospettano in termini totalmente diversi. Che Dio
ci aiuti, si dovrebbe dire. Ma forse sarebbe meglio confidare che siano
i cittadini, cui dovrà spettare l’ultima parola, a dare una mano definitiva a
quanti sono oggi fortemente preoccupati per questa singolarissima e
inopinata vicenda.
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