Nell'impero dell'oro rosso, il pomodoro, dove il caporalato
è la legge.
Intervista a Yvan Sagnet, già portavoce dello sciopero di Nardò,
sindacalista di strada. «La visita della ministra Kyenge a Nardò
è stata importante. Si è accorta di persona della
situazione dei lavoratori»
è la legge.
Intervista a Yvan Sagnet, già portavoce dello sciopero di Nardò,
sindacalista di strada. «La visita della ministra Kyenge a Nardò
è stata importante. Si è accorta di persona della
situazione dei lavoratori»
«Sono un sindacalista di strada più che di ufficio.
Cerchiamo di andare incontro alle persone e interveniamo
nei luoghi di lavoro e dove alloggiano».
Così si definisce Yvan Sagnet, nato in Camerun 28 anni fa,
laureato al Politecnico di Torino. Due anni fa Yvan
è stato uno dei portavoce dello sciopero dei braccianti
africani di Nardò partito da un campo organizzato
dalle associazioni Finis terrae e dalle Brigate di solidarietà attiva.
Da giugno lavora nel coordinamento migranti
della Flai-Cgil Puglia e gira nelle campagne pugliesi
a bordo di un camper. La sua storia di community
organizer l'ha raccontata nel libro Ama il tuo sogno (Fandango).
«È un modello che stiamo reinventando giorno dopo giorno.
Di Vittorio faceva così e organizzava il lavoro
nelle campagne. Diciamo così: cerchiamo di
riportare alla luce un modello che abbiamo perso».
Cerchiamo di andare incontro alle persone e interveniamo
nei luoghi di lavoro e dove alloggiano».
Così si definisce Yvan Sagnet, nato in Camerun 28 anni fa,
laureato al Politecnico di Torino. Due anni fa Yvan
è stato uno dei portavoce dello sciopero dei braccianti
africani di Nardò partito da un campo organizzato
dalle associazioni Finis terrae e dalle Brigate di solidarietà attiva.
Da giugno lavora nel coordinamento migranti
della Flai-Cgil Puglia e gira nelle campagne pugliesi
a bordo di un camper. La sua storia di community
organizer l'ha raccontata nel libro Ama il tuo sogno (Fandango).
«È un modello che stiamo reinventando giorno dopo giorno.
Di Vittorio faceva così e organizzava il lavoro
nelle campagne. Diciamo così: cerchiamo di
riportare alla luce un modello che abbiamo perso».
Perché la Cgil ha perso questo modello?
È successo negli anni Novanta quando è iniziato
il processo di delocalizzazione e di precarizzazione
del lavoro tra gli italiani e gli stranieri.
Il sindacato non è riuscito a
reggere e a tutelare i braccianti, soprattutto gli stranieri.
Nel corso degli anni la situazione è peggiorata.
Vengono tutelati di più quelli che lavorano nelle aziende
che i braccianti. La battaglia si vince partendo dal
basso e per noi «il basso» è dove si vive e lavora.
il processo di delocalizzazione e di precarizzazione
del lavoro tra gli italiani e gli stranieri.
Il sindacato non è riuscito a
reggere e a tutelare i braccianti, soprattutto gli stranieri.
Nel corso degli anni la situazione è peggiorata.
Vengono tutelati di più quelli che lavorano nelle aziende
che i braccianti. La battaglia si vince partendo dal
basso e per noi «il basso» è dove si vive e lavora.
È possibile organizzare uno sciopero come quello di Nardò anche in
Capitanata?
Nardò è una piccola realtà rispetto a Foggia.
I lavoratori erano concentrati nella masseria che diventò
un punto di aggregazione. Più c'è contatto, più
c'è consapevolezza della propria condizione.
Questo è fondamentale. In Capitanata il territorio
è vastissimo ed è difficile organizzarsi.
Bisogna presidiarlo, fare una mappatura precisa di tutti i ghetti,
creare assemblee dove si lavora e si dorme.
Bisogna risolvere i bisogni primari: l'assistenza sanitaria,
i corsi di italiano, il permesso di soggiorno.
Molti non sanno come fare perché sono estranei al territorio
e non sanno nulla sul contratto, sul sindacato, sulle leggi.
I lavoratori erano concentrati nella masseria che diventò
un punto di aggregazione. Più c'è contatto, più
c'è consapevolezza della propria condizione.
Questo è fondamentale. In Capitanata il territorio
è vastissimo ed è difficile organizzarsi.
Bisogna presidiarlo, fare una mappatura precisa di tutti i ghetti,
creare assemblee dove si lavora e si dorme.
Bisogna risolvere i bisogni primari: l'assistenza sanitaria,
i corsi di italiano, il permesso di soggiorno.
Molti non sanno come fare perché sono estranei al territorio
e non sanno nulla sul contratto, sul sindacato, sulle leggi.
Come giudichi la visita della ministra Kyenge a Nardò?
È stata importante. Si è accorta di persona della situazione
dei lavoratori a due anni dallo sciopero. Le condizioni non
sono cambiate, la risposta allo sciopero per i diritti da parte dell'aministrazione locale, insieme alla provincia e alla prefettura,
è stata chiudere la masseria Boncuri.
Oggi i lavoratori dormono sotto gli olivi senza luce, gas,
energia. Alla ministra abbiamo presentato il nostro piano di azione: riaprire Boncuri, alloggiare i lavoratori, incentivare le aziende che assumono dalle liste di prenotazione. A Nardò si sono
iscritti in trecento. Oggi cerchiamo di farlo in tutta la regione.
Con il camper portiamo le liste da compilare nei ghetti.
dei lavoratori a due anni dallo sciopero. Le condizioni non
sono cambiate, la risposta allo sciopero per i diritti da parte dell'aministrazione locale, insieme alla provincia e alla prefettura,
è stata chiudere la masseria Boncuri.
Oggi i lavoratori dormono sotto gli olivi senza luce, gas,
energia. Alla ministra abbiamo presentato il nostro piano di azione: riaprire Boncuri, alloggiare i lavoratori, incentivare le aziende che assumono dalle liste di prenotazione. A Nardò si sono
iscritti in trecento. Oggi cerchiamo di farlo in tutta la regione.
Con il camper portiamo le liste da compilare nei ghetti.
Cosa si sta facendo per individuare le aziende?
È stata istituita una task force sulle attività ispettive, con regione
prefetti magistratura e le associazioni di categoria. La Flai lo sta facendo a
livello regionale. Se il caporalato è così forte è perchè non ci sono controlli
nelle aziende e non esiste uno strumento legale per fare incontrare la domanda
con l'offerta di lavoro. A sud il caporalato è una forma di agenzia interinale.
Non è possibile che il 90% dei lavoratori non abbia un contratto. Dove sono gli
ispettori del lavoro? Ci sono comuni di centrodestra che non vogliono nemmeno
sentirne parlare. Il prefetto di Brindisi l'altro giorno ha detto che il
caporalato non esiste. Incredibile.
Hai ricevuto minacce di morte dai caporali. Hai preso delle precauzioni?
Rispetto all'anno scorso la situazione è più tranquilla. Nel 2012 c'è stata
l'inchiesta Sabr a Lecce, i caporali non ci hanno lasciato lavorare. Io stesso
ho ricevuto minacce verbali e sono stato aggredito nel «ghetto Ghana». Allora
ci seguiva una macchina delle forze dell'ordine. Quest'anno facciamo
attenzione, ma presentarsi con la polizia è complicato.
Come valuti i conflitti dei lavoratori migranti nel mondo delle cooperative
e della grande distribuzione?
Tutto converge verso il modello dell'organizzazione dei lavoratori a partire
dai luoghi di lavoro. Questo vale per le cooperative, per il sindacato e per
qualunque associazione. Il contrasto dal lavoro nero partirà dagli stranieri.
Ormai per gli italiani lo sfruttamento e il lavoro nero sono socialmente e
culturalmente accettati. Il welfare familiare glielo permette di fare. Anche
gli autoctoni sono molto frammentati e non c'è una grande unione come in
passato. Tutto è diventato molto individuale. Per loro dovrebbe valere il
modello dell'auto-organizzazione.
Qual è il rapporto tra i sindacati e i movimenti e le associazioni
anti-razziste?
Le associazioni accusano il sindacato di essersi burocratizzato, mentre il
sindacato prende le distanze. È un conflitto che non accetto e non sono mai
riuscito a capire. È come una guerra tra poveri a sinistra. Fa il gioco dei
padroni e dei politici che spesso rappresentano lobby imprenditoriali. Io credo
che bisogna ridefinire un rapporto di collaborazione perché abbiamo lo stesso
obiettivo. Poi bisogna anche distinguere, perché quello delle associazioni è un
mondo. Nella nostra battaglia non c'è solo l'assistenza ai dannati della terra,
ma ci sono anche i diritti del lavoro. Se uno ha una paga può affittarsi una
casa invece di stare in un ghetto. Questo dovremmo fare insieme, non alimentare
la dipendenza dei poveri.
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