Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 2 ottobre 2014

Elezioni in Brasile La candidatura di Ze Maria

Il programma dei trotskisti
per dare una prospettiva rivoluzionaria alle lotte

Adriano Lotito

Domenica 5 ottobre si terranno in Brasile le elezioni per il nuovo governo. Pensiamo sia utile tornare nuovamente sul tema e offrire un quadro generale della situazione in corso nel maggior Paese latinoamericano, data l'importanza che questo ha assunto nell'arena della lotta di classe mondiale a partire dalle imponenti mobilitazioni del giugno 2013, che hanno segnato, per il Brasile e per l'intero continente, l'inizio di una nuova fase conflittuale.
Il processo di lotte in Brasile dal giugno 2013 alla Coppa del Mondo
Tutto è iniziato con un'apparente inezia: l'aumento del 20percento del costo dei biglietti dei trasporti pubblici. Una misura che insieme a tante altre è stata volta a sostenere le immani spese pubbliche in vista dei mondiali di calcio. Una misura però che ha rappresentato la classica “goccia che ha fatto traboccare il vaso”: centinaia di migliaia di persone, tra cui studenti e lavoratori, sono scesi nelle strade e nelle piazze di oltre cento città tra le più importanti del Paese, a partire da San Paolo e Rio de Janeiro, per protestare contro questo ingiustificato aumento di un bene fondamentale per la maggioranza della popolazione (il trasporto pubblico).
Ben presto però la mobilitazione ha allargato le proprie prospettive, finendo per investire l'intero sistema politico messo in piedi in più di un decennio dai governi del Pt, il Partito dei lavoratori, (prima con Lula e poi con la “delfina” Dilma Roussef). Si è trattata dunque di una mobilitazione popolare e urbana, che ha espresso il profondo scontento di rilevanti settori di massa nei confronti di una situazione ormai diventata intollerabile, per quanto occultata dall'imponente macchina propagandistica del governo e del Pt.
In seguito, nei mesi successivi, si è avuto l'ingresso nella lotta di alcuni settori operai sindacalizzati e organizzati intorno a direzioni alternative (tra cui quella della Csp-Conlutas, il più grande sindacato di base del continente, diretto dai nostri compagni del Pstu). Questo sicuramente ha rappresentato un salto di qualità nella mobilitazione e si è espresso nelle giornate di sciopero generale dell'11 luglio e del 30 agosto, boicottate dalla Cut (il più importante sindacato brasiliano, filogovernativo, una sorta di Cgil verdeoro).
Nei mesi successivi del 2013 e per tutti i primi mesi del 2014, le mobilitazioni sono continuate con ritmi diseguali: sebbene ci sia stata una diminuzione della partecipazione da un punto di vista numerico, si sono avuti importanti progressi al livello delle avanguardie di lotta, alcune delle quali si sono velocemente radicalizzate e politicizzate. In questo periodo abbiamo avuto una importante mobilitazione studentesca, lo sciopero politico dei professori contro la repressione militare del governo e diverse lotte di settore. Se infatti ci addentriamo nelle singole categorie vediamo che il numero degli scioperi è aumentato notevolmente e che di sciopero in sciopero si è approfondita la radicalità politica delle rivendicazioni operaie; non solo, si sono avute importanti ribellioni di base in cui gli operai hanno lottato contro gli apparati burocratici dei propri sindacati, scavalcandoli in numerose occasioni; questa è un’indicazione importante che ci dà la cifra dei processi di radicalizzazione in atto nella classe operaia. Lo sciopero dei lavoratori della pulizia a Rio de Janeiro ne è un esempio, come anche la lotta dei lavoratori dei trasporti di Porto Alegre, lo sciopero degli edili, ecc., sono tutti casi in cui i lavoratori sono andati oltre la direzione sindacale.
Un'importante accelerazione di questo processo si è avuto con le giornate di lotta contro la Coppa del Mondo di calcio nel giugno di quest'anno: il governo Dilma ha voluto utilizzare il palcoscenico di questa iniziativa mondiale per rilanciare il prestigio perduto e per cercare di ristabilire una situazione di pace sociale. Possiamo dire che i sogni di Dilma sono stati infranti dai lavoratori in lotta e da tutti quei settori che fin dalla primavera di quest'anno si sono accordati e coordinati per organizzare la lotta durante il mondiale.
“Na Copa vai ter luta!”, “Durante la Coppa ci sarà la lotta!”, era la parola d'ordine che risuonava nelle numerose assemblee (con migliaia di partecipanti) che hanno scandito la preparazione delle mobilitazioni! In prima linea nello Spazio di unità di azione (che raggruppava tutte le organizzazioni decise a scendere in lotta) anche Conlutas e il Pstu.
L'intenzione è stata quella di approfittare della visibilità mediatica della Coppa del Mondo per riaffermare una prospettiva critica e di lotta contro un governo ed un intero sistema politico, sociale ed economico, che ha sperperato milioni di soldi pubblici per la costruzione di stadi, impianti sportivi, per la pubblicità e la preparazione di quel gran galà delle multinazionali che passa sotto il nome di Coppa del mondo di calcio. A spese chiaramente dei servizi pubblici, trasporti, sanità, scuole, che versano in una situazione sempre più disagiata. A spese di un sistema sopraffatto dall'indebitamento e dalla dipendenza dalle grandi multinazionali e che in tempo di crisi economica è costretto a mostrare il suo autentico volto neoliberista e antipopolare; un volto che aveva mascherato quando le condizioni di relativa crescita e prosperità avevano permesso di fare alcune “concessioni” alle masse popolari (come la cosiddetta Bolsa familia).
Ritornando alla lotta contro il Mondiale, il primo grande anteprima si è avuto con la straordinaria mobilitazione dei lavoratori della metro di San Paolo, diretta da Altino de Prazeres, dirigente di Conlutas e del nostro partito, il Pstu. Per cinque giorni, dal 5 al 10 giugno, i lavoratori della metro hanno scioperato, riuscendo a bloccare una metropoli di dieci milioni di abitanti, respingendo la repressione e coordinandosi con altri settori operai e di movimento che hanno espresso la loro solidarietà: gli edili di Santos, gli operai della General Motors, i netturbini di Rio, gli insegnanti e i lavoratori della Petrobras in lotta contro la privatizzazione della compagnia petrolifera. E' proprio di queste ore la notizia della riammissione di altri 23 lavoratori della metro che erano stati licenziati per rappresaglia: un successo della lotta anche internazionale per il loro reintegro.
Le lotte sono poi state rilanciate il 12 giugno, giorno di apertura della Coppa, quando in solidarietà con le manifestazioni in corso in Brasile si sono avuti presidi e iniziative in varie città in tutto il mondo. Da parte nostra abbiamo partecipato al presidio organizzato da No Austerity e Si Cobas sotto il consolato brasiliano a Milano, esprimendo una solidarietà militante ai lavoratori brasiliani in lotta e ai compagni e alle compagne del nostro partito fratello.
Anche nel periodo successivo si sono avute mobilitazioni e lotte in diversi settori sociali e di movimento e tuttora, mentre le forze politiche borghesi si scannano nei salotti televisivi per le immediate elezioni, i lavoratori della Petrobras continuano a lottare contro la svendita della loro compagnia, mentre i lavoratori dell'Università di San Paolo sono riusciti, dopo una dura lotta e anche con il sostegno degli studenti, ad ottenere un importante aumento salariale (solo per citare alcune delle ultime vertenze in corso).
Chi ha paura delle mobilitazioni in Brasile? O con Dilma o con la classe operaia!
Per questo riteniamo inaccettabili le prese di posizione di gran parte della sinistra riformista e di movimento, anche in Italia, che hanno sostenuto il governo Dilma, tacciato le mobilitazioni operaie e studentesche di essere strumenti di un complotto ordito dal partito di destra per le elezioni (il quale guardacaso ha visto diminuire, e non crescere, i propri consensi) e che dunque si sono schierate nettamente dalla parte delle multinazionali e contro i lavoratori che venivano repressi, picchiati e licenziati per aver osato alzare la testa contro un governo subordinato alle banche e al grande capitale.
Una posizione che è stata dominante nel castrochavismo. Il presidente del Venezuela (che alcuni ancora considerano la patria del socialismo del XXI secolo, sic!) Nicolas Maduro, e i presidenti di Ecuador e Bolivia, i populisti Rafael Correa ed Evo Morales, si sono apertamente schierati dalla parte di Dilma e contro i lavoratori in lotta, accusando “la sinistra minoritaria e settaria di ricevere appoggi finanziari dall'estero, fornendo argomenti sfruttati dalla manipolazione mediatica contro il Brasile, organizzando minoritarie e violente manifestazioni contro la Coppa”. Non a caso sono gli stessi governi che nei rispettivi Paesi stanno cercando di frenare con la repressione la nuova ondata di lotte che ha scosso il continente latinoamericano e che per questo si sentono scivolare il terreno da sotto i piedi quando vedono settori importaanti della classe lavoratrice pronti a contestarli. Purtroppo queste non sono voci isolate nel coro (come proclamano di essere), ma caratterizzano tuttora la narrazione dominante all'interno di una certa sinistra (1).
D'altra parte non possiamo condividere nemmeno le posizioni di coloro che differenziano Lula da Dilma, ritenendo l'operato del primo più sinceramente vicino alle istanze popolari e operaie e la politica della seconda una sorta di capitolazione ad alcuni interessi di compromesso con il grande capitale. Effettivamente c'è stato un cambiamento tra Lula e Dilma ma non riguarda il Pt e la politica di classe che esso ha condotto in questi anni (politica sempre orientata allo sviluppo del capitale e agli interessi di banche e grandi imprese): il grande cambiamento è stato provocato dalla crisi economica che ha attraversato anche il Brasile e che ha ridotto considerevolmente i margini per poter mettere in atto una politica di concessioni sociali, facendo emergere tutti i problemi economici e sociali che in un periodo di crescita (quello del governo Lula) erano stati sufficientemente occultati (2).
Incredibile, infine, il silenzio sul processo in corso in Brasile e sulla candidatura dei rivoluzionari osservato nel nostro Paese da forze che si dichiarano non solo rivoluzionarie ma persino "trotskiste", ma che a quanto pare per non dover riconoscere il ruolo del nostro partito fratello e della nostra Internazionale hanno fatto finta di non accorgersi delle lotte di massa che scuotono il più grande Paese dell'America Latina.
Le elezioni e la nostra partecipazione
Chiunque sarà dunque, il vincitore di queste elezioni, chiunque andrà al governo, non potrà che attuare lo stesso programma: un programma già scritto dalle banche e dalle grandi imprese e che prevede di scaricare i costi della crisi economica sulla pelle dei lavoratori e delle nuove generazioni. I tre candidati principali sono appunto Dilma Roussef, Marina Silva e Aècio Neves.
Il Pt di Dilma, nonostante sia ancora considerato un partito di “sinistra” dalla maggioranza della popolazione e governi da 12 anni, è stato profondamente toccato dalle mobilitazioni iniziate l'anno scorso: dopo quell'imponente processo di lotta, il rapporto tra il Pt e la classe lavoratrice non potrà più essere quello di prima, nonostante non si sia verificato ancora uno scollamento a livello di massa, ma solo tra alcuni settori di avanguardia. In ogni caso ha perduto molti consensi e non è più tanto difficile dimostrare la sua ingiustificabile compromissione con gli interessi delle banche e del grande capitale. Secondo la Economatica (l’istituto più attendibile in questo campo) le banche hanno guadagnato durante i due governi di Lula il 550% in più rispetto ai due precedenti governi del Psdb (l’opposizione di destra). Lo stesso è avvenuto con il governo di Dilma: il Bradesco, principale banca privata nazionale, ha realizzato nel primo semestre del 2014 i maggiori guadagni della sua storia.
Di questo calo dei consensi non è riuscita ad approfittare l'opposizione di destra, con il suo candidato Aécio Neves. Affare diverso per quanto riguarda Marina Silva: è lei il volto nuovo della politica brasiliana e alcuni dati la danno in vantaggio su Dilma. Marina è stata raffigurata dalle televisioni come una nuova speranza in particolare per quanto riguarda il suo profilo “ambientalista”. Ma come scrivono i nostri compagni del Pstu, “si tratta di un’altra farsa della democrazia borghese. Anche Marina è una candidata della destra. Non ha avuto niente a che fare con le mobilitazioni del giugno 2013, dalle quali si è tenuta distante per tutto il tempo. Il suo candidato alla vicepresidenza è Beto Albuquerque, un uomo delle grandi imprese agricole in Brasile. La coordinatrice della campagna elettorale di Marina è la milionaria Maria Alice Sétubal, ereditiera dell’Itaú, la seconda più grande banca privata del Paese. Marina è vista come la “paladina dell’ecologia”. Eppure, quando è stata ministro dell’Ambiente (2003-2008) nel governo Lula, si sono verificati alcuni dei maggiori disastri ecologici della storia del Paese, come la liberalizzazione dei prodotti transgenici in agricoltura. E’ di questo periodo anche la Legge per la Gestione delle Foreste Pubbliche, che favorisce la privatizzazione di intere foreste a vantaggio del settore privato” (3).
A differenza dei tre candidati borghesi, il Pstu, il nostro partito fratello, sezione brasiliana della Lega Internazionale dei Lavoratori, presenta un candidato operaio, Zè Maria, in prima linea nelle mobilitazioni che si sono avute in Brasile, e un programma realmente dei lavoratori e per i lavoratori. Come scritto nell'appello della direzione nazionale del Pstu:
“Vogliamo rivolgerci ai movimenti socialisti di tutto il mondo per lottare assieme anche sul terreno elettorale. Le candidature borghesi hanno il sostegno politico e materiale delle multinazionali e dei governi imperialisti. Noi vogliamo il sostegno politico dei movimenti socialisti e rivoluzionari di tutto il mondo. Vogliamo rafforzare un’alternativa dei lavoratori puntando ad un governo dei lavoratori stessi, traguardo che non può essere raggiunto attraverso la prospettiva elettorale. Utilizziamo le elezioni per divulgare un programma socialista e rivoluzionario e di sostegno alle lotte tuttora in corso (…)  Zé Maria è un candidato operaio, un simbolo di lotta nel Paese. Una candidatura dei lavoratori per i lavoratori in lotta. Una candidatura socialista che non tace sulla necessità di nazionalizzare le imprese multinazionali e le banche del Paese per affrontare la crisi; che si schiera in modo chiaro per il non pagamento dei debiti alle banche, in modo da poter garantire il 10% del Pil per l’educazione pubblica, e un altro 10% per la sanità pubblica; che difende l’espropriazione delle grandi imprese agricole e la riforma agraria nel Paese.
Questa candidatura è internazionalista. Zé Maria è stato personalmente ad Haiti per sostenere la lotta di questo eroico popolo nero contro l’occupazione militare da parte dei soldati brasiliani al servizio dell’imperialismo. Ha partecipato alle marce di solidarietà con il popolo palestinese contro il massacro di Israele a Gaza. Zé è stato parte importante della campagna di sostegno alla lotta delle masse popolari siriane contro la dittatura assassina di Assad.
La candidatura di Zé Maria si caratterizza anche per la forte lotta contro l’oppressione dei neri, delle donne e degli omosessuali. Non è un caso che la candidata del Pstu alla vicepresidenza, Claudia Durans, sia donna e nera”.
Il nostro programma, il programma dei rivoluzionario, può dunque essere propagandato anche sul terreno elettorale, per poter essere conosciuto da una fetta più larga della popolazione, ma in nessun caso potrà essere realizzato tramite una crocetta su un voto o qualche discussione parlamentare.
Il programma socialista, anche in Brasile, può essere imposto solo con le lotte dei lavoratori e dei movimenti contro il capitalismo ed è per questo che riteniamo importantissimo il processo di lotte apertosi e ancora in corso nel Paese e crediamo che solo con un programma rivoluzionario e radicalmente anticapitalistico sia possibile portare questa imponente mobilitazione alla vittoria e al potere!
Note
1) Uno dei più strenui difensori del castrochavismo in Italia e del governo Roussef, è l'associazione politico-culturale Marx XXI, residuo caricaturale dello stalinismo di un tempo, già tristemente nota per le sue posizioni a difesa di Assad in Siria e di Yanukovic in Ucraina (nonché dei separatisti fascisti del Donbass al servizio di Putin). Riportiamo il link in questione: http://www.marx21.it/internazionale/america-latina-e-caraibi/24236-dal-venezuela-alla-bolivia-lamerica-latina-progressista-contro-laggressione-al-brasile-di-dilma-rousseff.html . Da segnalare anche la posizione ambigua espressa dal sito ilcorsaro.it, punto di riferimento di un importante settore del movimento studentesco nel nostro Paese:http://www.ilcorsaro.info/sport-3/mondiali-di-calcio-ovunque-ma-non-in-brasile.html
2) http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=5084 : questo articolo ad esempio mette in evidenza come con Dilma le politiche di inclusione sociale siano state considerevolmente ridotte e siano aumentati i problemi legati all'esclusione, al razzismo e alla corruzione, rispetto agli anni di governo di Lula; pensiamo che questo approccio sia sbagliato perchè non affronta la questione della crisi economica e non mette in luce che anche con Lula, il prevalente (vale a dire l'interesse strutturale delle sue politiche di governo) è stato funzionale all'arricchimento delle banche e del grande capitale, mentre l'accidentale (le politiche sociali a favore dei lavoratori) è stato possibile appunto perchè non vi era la situazione di crisi che vi è oggi.
3) 
http://www.alternativacomunista.it/content/view/2047/1/

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