Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 17 novembre 2015

Tutto l'appoggio alla lotta palestinese, verso una Terza Intifada

Segretariato della Lit-Quarta Internazionale *


La storica resistenza delle masse popolari palestinesi, da alcuni anni, mostra di muoversi in direzione di una nuova Intifada (sollevazione popolare). Potremmo essere all'inizio di una terza Intifada (la prima tra il 1987 e il 1993, la seconda tra il 2000 e il 2004). È necessario che i sindacati, i partiti di sinistra ed i movimenti di massa di tutto il mondo appoggino decisamente questa lotta.  
   Il fallimento degli Accordi di Oslo  
Da più di 67 anni  - dalla nakba (catastrofe) palestinese, con la creazione dello Stato di Israele il 15 maggio del 1948 -, le masse popolari palestinesi subiscono quotidianamente una pulizia etnica, con ordini di demolizione delle loro case, espulsioni, apartheid, colonizzazione ed occupazione.
La vittoria del primo ministro Benjamin Netanyahu alle ultime elezioni israeliane ha esposto con maggior chiarezza la politica da sempre espressa da Israele: garantire Israele, in tutta la Palestina storica, come un Stato sionista omogeneo e, pertanto, senza palestinesi.
Per darsi un'aria "democratica" di fronte al mondo, Israele non può sterminare tutti i palestinesi. Così, cerca di mantenere una minoranza senza diritti, in ghetti, come faceva il regime dell'apartheid in Sud Africa, per servire da manodopera economica. Ma lo sterminio continua, o attraverso i bombardamenti periodici su Gaza e gli attacchi di coloni in Cisgiordania, o con l'avvelenamento dei carcerati nelle prigioni israeliane e la pulizia etnica nei campi di rifugiati - con la collaborazione dei regimi arabi, come quello di Bashar al Assad e la monarchia giordana – oppure attraverso l'imposizione di una vita di miseria.
La politica dell'imperialismo per la regione si esprime negli Accordi di Oslo, firmati nel settembre del 1993 tra il governo di Israele ed il presidente dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), Yasser Arafat. Oggi è evidente di fronte al mondo il fallimento di questa politica. L'oppressione sui palestinesi è aumentata, la miseria anche. Più di 20 anni dopo, i risultati sono: più di 7.000 palestinesi morti, più di 12.000 case distrutte. Tra il 1993 e il 2000, il numero di insediamenti israeliani costruiti è raddoppiato, ed oggi è di 600.000. Quegli insediamenti sono occupazioni di territori palestinesi da parte di israeliani armati fino ai denti ed appoggiati dall'esercito sionista. Israele devia l'acqua dei palestinesi verso quegli insediamenti. La chiusura delle frontiere ai lavoratori palestinesi, che vengono sostituiti da nuovi immigrati russi, determina effetti catastrofici per l'economia palestinese. Dal 1993, come scrive la giornalista Naomi Klein, il PIL pro capite nei territori occupati è caduto quasi del 30 percento. La povertà tra i palestinesi ha raggiunto il 33 percento. Nel 1996, il 66 percento dei palestinesi era in condizione di disoccupazione o sottoccupazione. Oslo ha rappresentato meno lavoro, meno libertà e meno terra.
I palestinesi vivono oggi una situazione simile a quella che gli ebrei soffrivano nel ghetto di Varsavia oppressi dai nazisti. Si tratta di un crimine contro i palestinesi e contro l'umanità.  

La gestazione di una nuova Intifada  
Per affrontare il governo di Netanyahu - che palesa una politica di apartheid e alimenta gli attacchi dei coloni contro i palestinesi - ed il fallimento degli Accordi di Oslo, l'eroica gioventù palestinese diventa protagonista di un processo che si muove in direzione di una nuova Intifada.
I sintomi di questa terza Intifada si manifestano dal 2011, come uno dei segnali di ascesa del processo rivoluzionario nel mondo arabo. In quell'anno, il 15 maggio (anniversario della nakba), migliaia di rifugiati - soprattutto, giovani - marciarono dai campi di Giordania, Siria, Libano ed Egitto verso le frontiere della Palestina occupata, mostrando al mondo come dalla creazione dello Stato di Israele sia stato loro negato il legittimo diritto al ritorno nelle terre dalle quali furono espulse le loro famiglie. Il movimento fu soffocato violentemente dai governi arabi. Dopo, la lotta palestinese ha accompagnato le ascese e i riflussi del processo rivoluzionario nel mondo arabo, restando a volte in stallo.
Nel 2014, la risposta alla nuova offensiva israeliana a Gaza fu la resistenza eroica espressa non solamente in quello specifico territorio. Grandi mobilitazioni in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nei territori occupati dallo Stato di Israele dal 1948, mostrarono che il processo verso una nuova Intifada non si era placato.
Nella notte del 24 luglio 2014 e nel corso della giornata seguente, 25.000 palestinesi scesero nelle strade in Cisgiordania. Il canto più popolare tra i giovani era "O Qassam, O, habib, Bombardi Tel-Aviv", manifestazione di un morale alto e di una carica combattiva (Ezzedine al-Qassam è il nome delle brigate militari di Hamas, responsabili della maggioranza dei razzi lanciati contro le aree occupate da Israele dal 1948).
La manifestazione principale raccolse 10.000 persone a Kalandia (cittadina tra Ramallah e Gerusalemme che abbraccia un campo di rifugiati palestinesi ed anche il più importante posto di blocco dell'esercito israeliano). L'esercito israeliano aprì il fuoco contro i manifestanti, assassinando cinque palestinesi. Anche in altre città si registrarono dei morti. Due manifestanti furono assassinati ad Hawara, vicino a Nablus, ed altri tre a Beit Omar, vicino ad Al Khalil (nome arabo di Hebron).
Mustapha Barghouti, deputato palestinese e segretario generale dell'Iniziativa Nazionale Palestinese, affermò che era stata la più grande manifestazione palestinese in tutta la storia della Cisgiordania.
Quella mobilitazione fu preceduta da altre, quasi ogni giorno dopo l'assassinio del giovane palestinese Mohammad Khdeir, bruciato vivo a Gerusalemme da tre sionisti, e i due bombardamenti contro Gaza cui seguì l'invasione terrestre.
Nel 2015, l'impulso verso una nuova Intifada prese nuovo alito. Il giornalista palestinese Ahmad Melhem, nel reportage per il sito Al-monitor, descrive le manifestazioni sviluppatesi nei giorni 11 e 12 luglio e represse dalle forze israeliane in 30 città e cittadine palestinesi, tanto in Cisgiordania come a Gerusalemme e nei territori occupati nel 1948. Gli scontri furono particolarmente violenti a Betlemme, Al Khalil (Hebron), Gerusalemme e Ramallah. Il posto di blocco tristemente celebre a Kalandia fu attaccato con pietre e bombe molotov, ed i manifestanti lo presero per un breve periodo.
Nei territori occupati nel 1948, le prime manifestazioni si svilupparono nella Galilea, con scontri con la polizia israeliana a Nazareth, Arara, Umm al-Fahem, Taybeh e Qalanswa. La polizia usò gas lacrimogeni e pallottole di gomma mentre i manifestanti bruciavano pneumatici e cantavano in arabo "il popolo vuole la fine di Israele". In seguito, le manifestazioni si estesero verso altre città e cittadine palestinesi, come Haifa e Jaffa, e nel Nagab (Negev).
Il 3 Luglio poi, nella città di Duma, nel governatorato di Nablus, un colono israeliano diede fuoco alla casa di una famiglia palestinese, bruciandola viva. Un bimbo di 18 mesi, suo fratello di quattro anni e la mamma morirono. L'intensificazione negli ultimi mesi degli attacchi di coloni israeliani contro i palestinesi e la violazione di uno dei principali luoghi sacri per musulmani, la Moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme, hanno accelerato quel processo verso la Terza Intifada.
Esiste la possibilità che questa Intifada, nel caso in cui si realizzi, raggiunga una dimensione maggiore, per vari motivi, rispetto a quelle precedenti. In primo luogo perché dai suoi inizi sta raggiungendo i territori palestinesi occupati nel 1948, e non solo Gaza e la Cisgiordania, annessi nel 1967, come nelle due intifade precedenti.
In secondo luogo perché può incorporare - oltre alle eroiche azioni della gioventù palestinese - anche la mobilitazione diretta dei lavoratori palestinesi. Lo sciopero generale di un giorno dei lavoratori di Al Khalil (Hebron) lo scorso ottobre è stata un'espressione di questa possibile dinamica.
In terzo luogo perché l'isolamento politico di Israele a livello mondiale aumenta, nonostante tutto l'appoggio dato dall'imperialismo e dalla grande stampa borghese. Durante l'ultima invasione a Gaza, per esempio, lsraele perse la battaglia a causa della consapevolezza delle masse nel mondo. Le dichiarazioni di Netanyahu, che attribuiscono ai palestinesi le responsabilità per la soluzione finale realizzata da Hitler e rifiutata persino dai suoi alleati, dimostrano non solamente le bugie di questo dirigente assassino ma anche che niente ci si può aspettare da questo Stato. Al lato di Netanyahu si contendono la popolarità dirigenti come Lieberman, che propone apertamente l'espulsione sommaria di tutti i palestinesi dai loro territori. Il carattere nazi-fascista di questo Stato si sta rivelando con crescente evidenza.
Per questi motivi, è possibile che una Terza Intifada abbia un peso maggiore, rispetto alle precedenti, in quella regione ed in tutto il mondo.  

Rivoluzioni arabe e resistenza palestinese, una sola lotta
Non è possibile dissociare questo movimento dal processo rivoluzionario nel mondo arabo. I poderosi nemici della causa palestinese, denunciati dal rivoluzionario palestinese Ghasan Kanafani analizzando la rivoluzione del 1936-1939, continuano ad essere gli stessi: la borghesia palestinese, i regimi arabi e l'imperialismo/sionismo.
La maggior parte della sinistra in tutto il mondo ha dichiarato che la rivoluzione araba è finita, per l'impasse e i riflussi congiunturali che esistono in tutti i processi rivoluzionari. Si tratta di un errore, come dimostrato ulteriormente da questa nuova Intifada.
Nella ricerca della stabilità nella regione, che garantisca la sicurezza di Israele, si cerca di soffocare la rivoluzione in Siria ad ogni costo. Dopo la rapida caduta di quattro dittatori - in Tunisia, Egitto, Yemen e Libia - con la Primavera Araba iniziata alla fine del 2010, l'imperialismo interviene direttamente o indirettamente per contenere l'effetto domino. Lo Stato Islamico è un elemento controrivoluzionario che finisce per fare il gioco dell'imperialismo e facilitarne l'intervento militare. In Siria, la rivoluzione che cerca di abbattere il dittatore sanguinario Bashar al Assad, si trasformò in guerra civile nel 2011. Il pretesto utilizzato dall'imperialismo, di voler combattere lo Stato Islamico, adesso è servito affinché la Russia e gli altri alleati del regime siriano possano bombardare le aree libere dal giogo di Bashar al Assad.
La Russia e gli Stati Uniti hanno realizzato fra loro un accordo militare per "coordinare" l'uso dello spazio aereo in Siria, una divisione di compiti sulla base dei quali “voi bombardate qui e noi lì". [1] Russia, Stati Uniti ed Israele si coordinano militarmente in Siria per soffocare la lotta contro il dittatore Assad.
Qui si rivela la farsa della sinistra castro-chavista che difende il dittatore siriano Assad spacciandolo per "antimperialista". Il genocida Assad che sta distruggendo il Paese, ammazzando ed espellendo milioni di persone per mantenersi al potere, viene sostenuto dall'alleanza militare di Stati Uniti e Russia, con l'appoggio anche di Israele. Lo stesso Assad che ha accerchiato e vuole distruggere il campo di rifugiati di Yarmuk (bastione storico della resistenza palestinese in Siria). Lo stesso Stato di Israele che massacra i palestinesi, offre sostegno ad Assad.
Ora, una nuova Intifada deve rappresentare una nuova ascesa nel mondo arabo, e può aiutare a riattivare la resistenza in tutta la regione. Avrebbe un'enorme importanza, data l'autorevolezza politica dei palestinesi in tutto il mondo arabo. I segnali si moltiplicano, come quello relativo al 16 ottobre in Giordania: in diverse città ci sono state grandi manifestazioni per esigere la fine degli accordi con Israele. 
Per un unico Stato palestinese, laico e democratico  
A differenza delle due Intifade palestinesi precedenti, adesso il movimento verso una nuova sollevazione popolare si sviluppa senza alcun leader e, indirettamente, mette in discussione soprattutto la collaborazione dell'Autorità Nazionale la Palestina, ANP, con Israele. I giovani non si vedono rappresentati da nessun partito tradizionale.
La gioventù, alleata alla classe lavoratrice, deve costruire, all'interno di questo processo, una direzione rivoluzionaria per portare avanti la lotta per la liberazione della Palestina.
È nel caldo della lotta contro l'occupazione che si sviluppano le condizioni affinché si possa forgiare una nuova direzione per il movimento palestinese, una direzione che respinga la conciliazione col nemico ed unifichi le masse popolari palestinesi nella prospettiva della liberazione di tutte le terre palestinesi, dal fiume al mare.
La soluzione per venire incontro alla totalità dei palestinesi, la cui maggioranza vive fuori dalle sue terre, è un Stato unico palestinese, laico e democratico, con diritti uguali per tutti e tutte coloro i quali vogliano vivere in pace coi palestinesi. Questo implica la distruzione dello Stato nazi-fascista di Israele. La convivenza di un Stato palestinese con lo Stato di Israele – come fu definito negli Accordi di Oslo - si è dimostrata impossibile, così come sosteniamo da sempre.
Non si può convivere col fascismo, è necessario distruggerlo. Non si riuscì a vivere col nazismo, fu necessario annientarlo. Non si tratta di un conflitto religioso bensì della necessaria distruzione dello Stato di Israele, bastione militare dell'imperialismo nel mondo arabo. È possibile che gli ebrei ed i musulmani convivano pacificamente in un Stato palestinese laico e democratico, come già fecero nel passato.  

Solidarietà  La solidarietà internazionale è un elemento fondamentale. È necessario che tutti i sindacati e i partiti di sinistra denuncino le atrocità dello Stato israeliano. È necessario costruire giornate internazionali di lotta articolate con le mobilitazioni palestinesi. È fondamentale la più ampia unità d'azione in solidarietà con la lotta palestinese.
È possibile e necessario discutere le differenze programmatiche tra tutti i settori, democraticamente, senza che queste ostacolino la più ampia unità d'azione contro lo Stato israeliano.
Inoltre, si possono rafforzare campagne come quella del BDS, Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, nei confronti di Israele. È importante unirsi in una campagna globale per impedire la sua presenza alle Olimpiadi del 2016, nel Brasile. Con l'appoggio del governo brasiliano, è previsto che un'impresa di sicurezza israeliana opererà nell'ambito del grande evento.
La LIT si schiera incondizionatamente dalla parte della resistenza palestinese e si unisce in tutto il mondo alle azioni in appoggio a questa lotta. 
Nota
* Dal sito della Lit-Quarta Internazionale: www.litci.org

(traduzione dallo spagnolo di Mauro Buccheri)

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