La storia che voglio
raccontare comincia nel 1803 a New Orleans. Nella città deI Delta del
Mississipi il Forte di San Ferdinando, eretto dagli Spagnoli nel centro della
città, fu demolito con l’idea di allontanare la febbre gialla che si pensava
fosse causata dall’acqua stagnante dei fossati e dagli insetti e animali che li
popolavano, oltre che dal sudiciume dei bastioni. In breve tempo, nello spazio così ottenuto, sorse un parco che fu, prima sede di manifestazioni bandistiche , di
circhi equestri, e in seguito parco pubblico aperto allo svago domenicale. Il
suo nome era Congo Square. Per gli schiavi neri della città, e in seguito per
il proletariato libero di colore, il parco divenne luogo di incontri e unico
posto in cui si potevano ricreare le atmosfere festose di una cultura che ormai
andava perdendosi, cantando e suonando in piena libertà. Giova ricordare che i
padroni bianchi sequestrarono
agli schiavi gli strumenti che qualcuno di loro era riuscito a portare
dall’Africa. Ma ciò non costituì una
grande difficoltà. Questi furono ricostruiti anche se in modo molto artigianale e richiamavano alla memoria gli antichi fasti
della percussione africana: le bambulas, tamburi fatti con barili e pelli di
vacca, la washboard, normale asse da lavare sfregata ritmicamente, le claves,
che, percosse tra loro, erano il sostegno ritmico per celebrazioni dionisiache in cui riti pagani, come il voodoo,
si mescolavano a misticismi della nuova religione dominante, il cattolicesimo.
Poi a qualcuno venne in mente di radunare gli strumenti a percussione, compresi quelli di derivazione bandistica
europea, (rullante grancassa e piatti) , attorno ad uno sgabello e nacque così
la prima batteria. Da qui ebbe inizio
una storia appassionante che ancora oggi non è finita e non finirà mai perché
come sosteneva Dizzy Gillespie : “Tutto tornerà da dove è incominciato: un uomo
che percuote un tamburo”. Del resto, a
pensarci bene, il primo suono che sollecita le nostre orecchie è un ritmo: il beat cadenzato del
cuore materno che ascoltiamo, prima di ogni altra forma sonora, quando ancora siamo nella pancia di nostra madre.
Considerata dunque la capacità atavica nel riconoscere un battito , un ritmo, non dovrebbe essere
difficile capire quali sono i sette
batteristi che suonano in questa clip. Nel video, confusi fra le foto dei
drummer che hanno fatto la storia del jazz e non solo, ci sono le immagini di
tutti e sette i nostri eroi. Ci sono quattro
americani e tre italiani.
A voi individuarli.
Good Vibrations
Avete qualche difficoltà? Non siete riusciti a capire chi sono i sette batteristi? Ancora un aiutino. Qui sotto proponiamo un collage delle loro foto.
Ormai è chiaro no? Nooo!
E va bene per quei pochi che ancora non fossero riusciti ad individuare i magnifici sette. indichiamo chi sono e quali pezzi hanno suonato.
RULLO DI TAMBURI!!!!!
Ladies and gentlemen ecco a voi:
Gene Krupa : Sing Sing
Sing
Max Roach: The Drum Also Waltzes
Jack De Johnette: Shadow Dance
Billy Cobham: Anxiety, Taurian Matador, Searching for the right Door
Massimo Manzi : The Train for The Moon
Roberto Gatto: Seven steps To Heaven, I got rock
Giulio Capiozzo: Mela di Odessa, Mela di Odessa Parco Lambro
Qualcuno di voi si chiederà (o forse no): in base a quale criterio sono state scelte queste performance? Semplice. A parte Sing sing sing di Gene Krupa, che è un classico, gli altri sono pezzi le cui straordinarie esecuzioni hanno impressionato notevolmente un vecchio batterista autodidatta come il sottoscritto.
Così è se vi pare, se no è uguale.
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