Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 14 luglio 2016

Drum fest, riconosci i batteristi

Luciano Granieri


La storia che voglio raccontare comincia nel 1803 a New Orleans. Nella città deI Delta del Mississipi il Forte di San Ferdinando, eretto dagli Spagnoli nel centro della città, fu demolito con l’idea di allontanare la febbre gialla che si pensava fosse causata dall’acqua stagnante dei fossati e dagli insetti e animali che li popolavano, oltre che dal sudiciume dei bastioni. In breve tempo, nello spazio così ottenuto, sorse un parco che fu,  prima sede di manifestazioni bandistiche , di circhi equestri, e in seguito parco pubblico aperto allo svago domenicale. Il suo nome era Congo Square. Per gli schiavi neri della città, e in seguito per il proletariato libero di colore, il parco divenne luogo di incontri e unico posto in cui si potevano ricreare le atmosfere festose di una cultura che ormai andava perdendosi, cantando e suonando in piena libertà. Giova ricordare che i padroni bianchi  sequestrarono agli schiavi gli strumenti che qualcuno di loro era riuscito a portare dall’Africa. Ma  ciò non costituì una grande difficoltà. Questi   furono ricostruiti anche se in modo  molto artigianale  e richiamavano alla memoria gli antichi fasti della percussione africana: le bambulas, tamburi fatti con barili e pelli di vacca, la washboard, normale asse da lavare sfregata ritmicamente, le claves, che, percosse tra loro, erano il sostegno ritmico per celebrazioni  dionisiache in cui riti pagani, come il voodoo, si mescolavano a misticismi della nuova religione dominante, il cattolicesimo. Poi a qualcuno venne in mente di radunare gli strumenti a percussione,  compresi quelli di derivazione bandistica europea, (rullante grancassa e piatti) , attorno ad uno sgabello e nacque così la prima batteria. Da qui ebbe  inizio una storia appassionante che ancora oggi non è finita e non finirà mai perché come sosteneva Dizzy Gillespie : “Tutto tornerà da dove è incominciato: un uomo che percuote un tamburo”. Del  resto, a pensarci bene, il primo suono che sollecita le nostre  orecchie è un ritmo: il beat cadenzato del cuore materno che ascoltiamo, prima di ogni altra forma sonora,  quando ancora siamo nella pancia di nostra madre. Considerata dunque la capacità atavica nel  riconoscere un battito , un ritmo, non dovrebbe essere difficile capire  quali sono i sette batteristi che suonano in questa clip. Nel video, confusi fra le foto dei drummer che hanno fatto la storia del jazz e non solo, ci sono le immagini di tutti e sette i nostri eroi. Ci sono quattro americani e tre italiani. 
A voi individuarli.

Good Vibrations





Avete qualche difficoltà? Non siete riusciti a capire chi sono i sette batteristi? Ancora un aiutino. Qui sotto proponiamo  un collage delle loro foto.





























Ormai è chiaro no?   Nooo!

E va bene per quei pochi che ancora non fossero  riusciti ad individuare  i magnifici sette. indichiamo chi sono e quali pezzi hanno suonato.

RULLO DI TAMBURI!!!!! 

Ladies and gentlemen ecco a voi:


Gene Krupa : Sing Sing Sing

Max Roach: The Drum Also Waltzes

Jack De Johnette: Shadow Dance

Billy Cobham: Anxiety, Taurian Matador, Searching for the right Door

Massimo Manzi : The Train for The Moon

Roberto Gatto: Seven steps To Heaven, I got rock

Giulio Capiozzo: Mela di Odessa, Mela di Odessa Parco Lambro

Qualcuno di voi si chiederà  (o forse no): in base a quale criterio sono state scelte queste performance? Semplice. A parte Sing sing sing di Gene Krupa, che è un classico, gli altri sono pezzi le cui straordinarie esecuzioni  hanno impressionato notevolmente un vecchio batterista autodidatta come il sottoscritto.
Così è se vi pare, se no è uguale.





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