1936-2016. Chi erano le brigate? Lavoratori di 53
nazioni riuniti in formazioni militari in appoggio al governo repubblicano
Come ha
scritto Eric Hobsbawm «la guerra di Spagna resta la sola causa politica che,
anche a considerarla retrospettivamente, mantiene la purezza e la cogenza
ideale che ebbe nel 1936». A scolpirla nella memoria fu la più importante prova
di solidarietà internazionale nella storia del movimento operaio, le Brigate
Internazionali: le formazioni militari, composte da lavoratori di cinquantatré
nazioni, che combatterono in appoggio al governo repubblicano spagnolo.
Nonostante
siano passati ottant’anni ormai da quel fatidico 17 luglio la disputa politica
sulle ragioni della sconfitta spagnola non è mai cessata. Alimentata da una
floridissima memorialistica, nella quale può scorgersi la passione e lo slancio
dell’epoca, ha finito tuttavia per assumere contorni romanzeschi. L’intero
conflitto è stato ridotto infatti alla contrapposizione guerra-rivoluzione, in
seno al fronte repubblicano, ignorando completamente i fattori esogeni. Un
contributo alla comprensione degli avvenimenti, suggeriva già trent’anni fa
Luciano Casali, può derivare dalla rilettura degli scritti di alcuni fra i più
avveduti dirigenti politici dell’epoca, come Berneri, Rosselli, Togliatti e
Nenni. Depurati dall’acrimonia di quegli anni possono scorgersi temi e
questioni, elaborati in seguito con la Resistenza: i legami con le masse, la
capacità di organizzarne la lotta, le forme della partecipazione politica, la
disamina dei rapporti di forza, la definizione degli obiettivi di medio e lungo
periodo. Ma la guerra di Spagna va soprattutto inserita nelle relazioni
internazionali dell’epoca. Nel trittico della crisi dell’ordine di Versailles
rappresentò, infatti, la tavola centrale: lo spazio in cui più nitida si fece
la trama politica ordita dai fascismi, dopo l’occupazione giapponese della
Manciuria e l’annessione italiana dell’Etiopia.
Benché le
cause originarie del conflitto spagnolo fossero prevalentemente nazionali lo
svolgimento e la sua soluzione risentirono profondamente della situazione
internazionale. Decisivo fu quindi il meccanismo delle alleanze costituitosi
attorno ai contendenti: da una parte Germania, Portogallo e Italia, dall’altra
l’Unione Sovietica e il Messico. La decisione delle principali potenze
occidentali, coagulatesi attorno al Comitato di Non-Intervento, di vietare la
vendita di armi alle fazioni in conflitto avvantaggiò i franchisti che non
ebbero difficoltà a procurarsele tramite i loro alleati, penalizzando il
legittimo governo impossibilitato ad organizzare un’efficace difesa. Il
Comitato di Non-Intervento, ebbe a scrivere l’ambasciatore statunitense in
Spagna Alexander Bowers, «fu una vergognosa truffa concepita con cinica
disonestà». Uomini e materiali, finché la guerra lo consentì, arrivarono
dall’Unione Sovietica il cui prestigio crebbe enormemente. Nel giro di poche settimane
su un fazzoletto di terra si ritrovarono così i più validi dirigenti e quadri
politico-militari che il movimento operaio all’epoca esprimeva. Immediatamente
si era posto infatti il problema militare. Esiguo era il numero di alti
ufficiali e di reparti delle forze armate regolari che erano rimasti fedeli al
governo legittimo, il Quinto Reggimento divenne così il nucleo dell’esercito
regolare, la prima Compañías de Acero venne composta per intero da operai
metallurgici.
L’eco del
conflitto scosse gli operai italiani, rapporti allarmati alle autorità fasciste
ne diedero conto a Milano, Genova e Taranto. Per molti giovani intellettuali,
in parte provenienti dal GUF, la Spagna fu uno spartiacque: rotti gli indugi
passarono alla lotta antifascista. Un primo afflusso di volontari si registrò
nel corso dell’estate ‘36, il meccanico bolognese Nino Nannetti fu
probabilmente il primo italiano che giunse dall’estero. Partecipò all’attacco a
Huesca bombardando la città con un cannoncino da 76 montato su un camion, insieme
ad un altro compagno si spostavano rapidamente per dare l’impressione ai
fascisti che all’opera fosse un’intera batteria. Morirà sul fronte di Bilbao un
anno dopo: aveva trentuno anni. Dalla fine del settembre ‘36 il Comintern prese
ad occuparsi quasi esclusivamente della costituzione delle Brigate
Internazionali. Parigi divenne quindi la centrale mondiale per lo smistamento
dei volontari: da un piccoloALBERGO sulla
rive gauche, Josip Broz, il futuro Maresciallo Tito, avviava le reclute
attraverso la cosiddetta «ferrovia segreta».
Ma chi erano
dunque i combattenti delle Brigate? Non erano mercenari e neppure avventurieri,
erano «portatori di un sogno di libertà» scrisse Giuliano Pajetta. Combattevano
per una causa di progresso ed emancipazione sociale, internazionale. Ad
Albacete – ricorda Giovanni Pesce – approdavano professionisti, operai, contadini,
minatori; anziani e giovani; militanti comunisti, anarchici, socialisti,
repubblicani; uomini che avevano abbandonato casa e posto di lavoro, miseri
braccianti del mezzogiorno d’Italia, della Croazia, delle pianure d’Ungheria,
minatori tedeschi. Più simile agli odierni foreign fighters era invece il
drappello di volontari, irlandesi e romeni, che, animato da un senso di
crociata e di rivolta contro il mondo moderno, andò in Spagna a combattere a
fianco delle forze di Franco, Mussolini, Hitler e Salazar.
Se, quindi,
la guerra di Spagna fu il nocciolo duro di uno scontro di portata
internazionale, culminato nella seconda guerra mondiale, vale la pena in
conclusione rammentare chi – tra gli altri – quello scontro lo combatté in tre
diversi continenti: Ilio Barontini. La qualifica di «cavaliere della libertà
dei popoli» se l’era guadagnata sul campo di battaglia. Dopo aver appreso le
tecniche di guerriglia dalle forze di Mao in Cina ed essersi distinto in
Spagna, al comando del battaglione Garibaldi a Guadalajara, il suo impegno era
continuato prima in Etiopia, ove aveva organizzato, insieme a Bruno Rolla e
Anton Ukmar, la resistenza popolare contro l’occupante italiano. E poi in
Francia nei Francs-tireurs partisans e in Italia alla direzione del Comando
militare unificato Emilia-Romagna. Un internazionalismo il suo, che non fu
dunque mera aspirazione ideale ma parte costitutiva del più importante progetto
di emancipazione dei subalterni nella storia.
fonte Alias del 16/07/2016.
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