Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 27 dicembre 2016

Pentole e cassette di sapone, tutto è buono per fare jazz .

Luciano Granieri



Il brano che abbiamo appena ascoltato è Processione sul mare, tratto dall’omonimo Lp di Tony Esposito registrato nel 1976. Questa splendida esecuzione introduce al tema di come sia possibile fare musica usando per strumenti oggetti di uso quotidiano. Nel caso del percussionista napoletano ,l’utilizzo di pentole e padelle è un esperimento  molto particolare, suggestivo, finalizzato ad inventare  nuove sonorità. Ma c’è stato  chi, ben prima di Tony Esposito,  ha usato le più disparate cianfrusaglie per fare musica. In questo caso però la stramberia non era funzionale ad esperimenti particolari, ma a sbarcare il lunario. 

Ci riferiamo agli straordinari protagonisti di una storia che  comincia a New Orleans, agli inizi del secolo scorso. In quel periodo la città del Delta era  un grande porto internazionale. Qui  attraccavano  grandi navi pronte a  caricare  tutte le merci provenienti, oltre che dall’interno, anche dal traffico fluviale del Mississippi. Una prosperità che attrasse molti immigrati  dal vecchio continente, italiani, tedeschi, anglosassoni, irlandesi, ma, soprattutto  neri, provenienti dal Senegal dal Niger e dal Congo. Intorno ai commerci procurati dall’attività portuale girava un mondo fantasmagorico fatto di avventurieri, commercianti , ladri, preti, artigiani, assassini, suore, ruffiani, prostitute di ogni razza. 

A  New Orleans c’era sempre musica. In ogni quartiere i suoni delle bands squillavano  con alla guida i leaders naturali, i cornettisti (progenitori dei solisti di tromba che per decenni  - e in ultima analisi ancora oggi- furono e sono i veri condottieri dal jazz) . Nei funerali, o nelle occasioni festose, le bands suonavano soprattutto blues. 

Ma il jazz ebbe ampia diffusione anche in ben altri contesti presenti nella città: le case di  piacere. Qui la nuova musica   si suonava in un ambiente lussuoso dove donne giovani , a volte giovanissime, si offrivano a ricchi borghesi (bianchi per lo più, ma anche creoli e neri). Uno dei musicisti, consacrato   alla storia come inventore del  jazz, impegnato  ad allietare i clienti di “Lulu White”, fu Jelly Roll Morton. La prima volta  che Morton    riuscì a sedersi davanti  ad una tastiera di pianoforte in Rampert  Street, si ritrovò in tasca, a fine serata ,  più di venti dollari. Tanto era l’ammontare  delle mance raccolte. La   paga settimanale al porto, dove il pianista  creolo si spezzava la schiena nel riempire e spostare i barili sui moli,  era di soli  15 dollari. Ciò da la dimensione di come la professione del musicista nelle Case a luci rosse  di Storyville rendesse bene. 

Ma c’erano altri personaggi che campavano con la musica. Erano i venditori ambulanti. Essi  affollavano i  moli del porto. Per allettare i passanti,  e convincerli all’acquisto della loro mercanzia,, suonavano blues in modo molto elementare. Ecco cosa ricorda il pianista Jelly Roll Morton:”… imboccavano delle trombette da quattro soldi, quelle che regaliamo ai nostri bambini come giocattolo, sfilavano il bocchino, e modulavano (il suono) senza avere a disposizione pistoni, usando cioè solo le labbra….ma con questo arnese suonavano più blues di quanto io ne abbia sentito suonare da tanti professionisti. E si facevano sentire a più di tre quattro isolati di distanza”.  Una musica semplice come semplici erano gli uomini che la suonavano. Suonavano  per campare cercando di procurarsi i mezzi necessari a  sopravvivere. I loro nomi? Morton ne ricorda alcuni : Jasky Adams, Buddy Canter, Sam Henry, Garne Kid, Frank Richards.  Poche storie ce li hanno tramandati, ma soprattutto la loro musica  non venne mai registrata su disco.  

C’erano poi le spams band  gruppi di ragazzi di dieci, dodici, quattordici anni  che vagavano sui marciapiedi, suonando strumenti costruiti con gli oggetti più disparati,  così come Tony Esposito suonava le pentole. Il loro scopo era quello di racimolare qualche dollaro in modo da assicurarsi il pane e, a volte, il companatico. Scatole di sigari   diventavano  violini, canne da zucchero erano la base per  contrabbassi, assi per il bucato –i futuri washboard- si trasformavano in  percussioni. 

Alcuni di questi ragazzi   furono  i componenti della band di Stealbread Charlie (Charlie Paneduro come si evince dal nome). Stealbread si chiamava in realtà Emile Auguste Lacoume, era creolo suonava la chitarra (le storie però non ci dicono che chitarra). Con lui c’erano: Cajun (alias  Willie Bussey) all’armonica a bocca, Whisky (cioè Emil Bernod) che suonava un contrabbasso fatto con una mezza cassa di birra, dei fili di ferro e un ramo di cipresso come archetto, Warm Gravy (cioè Cleve Glaven ) che strimpellava un banjo costruito con una scatola di formaggio e Slew-Foot Pete (ovvero Albert Montzulin) il quale suonava, si fa per dire,  una chitarra fatta con una cassetta di sapone. 

In realtà anche questi ragazzi, pur essendone assolutamente ignari, stavano sperimentando come Tony Esposito.   Dalle loro  esibizioni, da  quelle delle  bands di quasi professionisti pronti a proporre la loro musica in ogni occasione,  dagli  entertainer dei locali a luci rosse,   si costruì una tradizione composita  che del jazz, in sostanza, già aveva le caratteristiche fondamentali. Non lo sapeva ancora  Slew-Foot Pete, ma dalla sua chitarra fatta con una cassetta di sapone stava nascendo il jazz.



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