Il brano che abbiamo appena ascoltato è Processione sul mare, tratto dall’omonimo Lp di Tony Esposito
registrato nel 1976. Questa splendida esecuzione introduce al tema di come sia
possibile fare musica usando per strumenti oggetti di uso quotidiano. Nel caso
del percussionista napoletano ,l’utilizzo di pentole e padelle è un esperimento molto particolare,
suggestivo, finalizzato ad inventare
nuove sonorità. Ma c’è stato chi,
ben prima di Tony Esposito, ha usato le
più disparate cianfrusaglie per fare musica. In questo caso però la stramberia
non era funzionale ad esperimenti particolari, ma a sbarcare il lunario.
Ci
riferiamo agli straordinari protagonisti di una storia che comincia a New Orleans, agli inizi del secolo
scorso. In quel periodo la città del Delta era
un grande porto internazionale. Qui attraccavano grandi navi pronte a caricare tutte le merci provenienti, oltre che
dall’interno, anche dal traffico fluviale del Mississippi. Una prosperità che
attrasse molti immigrati dal vecchio
continente, italiani, tedeschi, anglosassoni, irlandesi, ma, soprattutto neri, provenienti dal Senegal dal Niger e dal
Congo. Intorno ai commerci procurati dall’attività portuale girava un mondo
fantasmagorico fatto di avventurieri, commercianti , ladri, preti, artigiani,
assassini, suore, ruffiani, prostitute di ogni razza.
A New Orleans c’era sempre musica. In ogni
quartiere i suoni delle bands squillavano
con alla guida i leaders naturali, i cornettisti (progenitori dei
solisti di tromba che per decenni - e in
ultima analisi ancora oggi- furono e sono i veri condottieri dal jazz) . Nei
funerali, o nelle occasioni festose, le bands suonavano soprattutto blues.
Ma
il jazz ebbe ampia diffusione anche in ben altri contesti presenti nella città:
le case di piacere. Qui la nuova musica si suonava in un ambiente lussuoso dove donne
giovani , a volte giovanissime, si offrivano a ricchi borghesi (bianchi per lo
più, ma anche creoli e neri). Uno dei musicisti, consacrato alla storia come inventore del jazz, impegnato ad allietare i clienti di “Lulu White”, fu
Jelly Roll Morton. La prima volta che
Morton riuscì a sedersi davanti ad una tastiera di pianoforte in Rampert Street, si ritrovò in tasca, a fine serata , più di venti dollari. Tanto era l’ammontare delle mance raccolte. La paga
settimanale al porto, dove il pianista creolo si spezzava la schiena nel riempire e
spostare i barili sui moli, era di soli 15 dollari. Ciò da la dimensione di come la
professione del musicista nelle Case a luci rosse di Storyville rendesse bene.
Ma c’erano altri
personaggi che campavano con la musica. Erano i venditori ambulanti. Essi affollavano i moli del porto. Per allettare i passanti, e convincerli all’acquisto della loro mercanzia,, suonavano blues in modo molto elementare. Ecco cosa ricorda il
pianista Jelly Roll Morton:”… imboccavano delle trombette da quattro soldi,
quelle che regaliamo ai nostri bambini come giocattolo, sfilavano il bocchino,
e modulavano (il suono) senza avere a disposizione pistoni, usando cioè solo le
labbra….ma con questo arnese suonavano più blues di quanto io ne abbia sentito
suonare da tanti professionisti. E si facevano sentire a più di tre quattro
isolati di distanza”. Una musica
semplice come semplici erano gli uomini che la suonavano. Suonavano per campare cercando di procurarsi i mezzi necessari a sopravvivere. I loro nomi? Morton ne ricorda alcuni : Jasky Adams, Buddy
Canter, Sam Henry, Garne Kid, Frank Richards.
Poche storie ce li hanno tramandati, ma soprattutto la loro musica non venne mai registrata su disco.
C’erano poi le spams band gruppi di ragazzi di dieci, dodici,
quattordici anni che vagavano sui
marciapiedi, suonando strumenti costruiti con gli oggetti più disparati, così come Tony Esposito suonava le pentole. Il
loro scopo era quello di racimolare qualche dollaro in modo da assicurarsi il
pane e, a volte, il companatico. Scatole di sigari diventavano
violini, canne da zucchero erano la base per contrabbassi, assi per il bucato –i futuri
washboard- si trasformavano in percussioni.
Alcuni di questi ragazzi furono i componenti della band di Stealbread Charlie
(Charlie Paneduro come si evince dal nome). Stealbread si chiamava in realtà
Emile Auguste Lacoume, era creolo suonava la chitarra (le storie però non ci
dicono che chitarra). Con lui c’erano: Cajun (alias Willie Bussey) all’armonica a
bocca, Whisky (cioè Emil Bernod) che suonava un contrabbasso fatto con una
mezza cassa di birra, dei fili di ferro e un ramo di cipresso come archetto, Warm Gravy
(cioè Cleve Glaven ) che strimpellava un banjo costruito con una scatola di
formaggio e Slew-Foot Pete (ovvero Albert Montzulin) il quale suonava, si fa per dire,
una chitarra fatta con una cassetta di
sapone.
In realtà anche questi ragazzi, pur essendone assolutamente ignari,
stavano sperimentando come Tony Esposito.
Dalle loro esibizioni, da
quelle delle bands di quasi
professionisti pronti a proporre la loro musica in ogni occasione, dagli
entertainer dei locali a luci rosse, si costruì una tradizione composita che del jazz, in sostanza, già aveva le
caratteristiche fondamentali. Non lo sapeva ancora Slew-Foot Pete, ma dalla sua chitarra fatta
con una cassetta di sapone stava nascendo il jazz.
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